Bella scoperta! Un italiano su due non arriva a fine mese e il 40 per cento vorrebbe tornare alla lira

EuroscetticiSfiduciati, impoveriti e sempre più pessimisti: uno su due denuncia di non riuscire ad arrivare a fine mese, stessa percentuale per chi vorrebbe emigrare all’estero e addirittura al 40 per cento la quota di chi vorrebbe uscire dall’euro per tornare alla lira.

Sempre più poveri. Nell’ultimo anno sette italiani su 10 (71 per cento del campione) hanno visto diminuire la capacità di affrontare le spese con le proprie entrate. L’erosione del potere d’acquisto non colpisce solo gli acquisti un tempo definiti voluttuari come le cene al ristorante o la palestra, ma sono in calo anche le spese tramite e-commerce e negozi dell’usato. In crescita, il ricorso agli outlet o ai discount (84,5 per cento contro il 75,3 per cento del 2014) e vengono rinviati persino gli acquisti ai saldi: si guardano le vetrine, ma non si compra.

Commento

La percentuale del 40% di coloro che vorrebbero tornare alla lira, mi sembra sottostimata, nonostante la continua disinformazione della stampa di regime che, quasi quotidianamente, parla genericamente di chissà a quali catastrofi andrebbe incontro l’Italia in caso di uscita dall’euro, mentre illustri e stimati economisti dimostrano, documenti alla mano, tutti i pro che sono nettamente superiori ai contro.

Gli ex privilegiati che rischiano di perdere tutto. Non si parla dei regionali ma vi consiglio di leggere l’articolo

C’è stata una adesione “altissima, al 90%” allo sciopero nazionale dei lavoratori del settore bancario proclamato per protestare contro la decisione unilaterale dell’Abi “di disdettare e di disapplicare, a partire dal prossimo primo aprile, i contratti collettivi di lavoro, un provvedimento senza precedenti in nessun altro settore. Dei 416 contratti in vigore nel privato e nel pubblico, solo quello dei bancari è stato, infatti, disdettato”.

I bancari provano a difendere il potere d’acquisto del loro salario “messo a rischio dal blocco permanente della crescita automatica degli stipendi in tema d’inflazione, che l’Abi vuole attuare e contro cui si sono mobilitati i sindacati”.

Il vero obiettivo dell’Abi sarebbe quello di smantellare il contratto nazionale di categoria e le tutele contrattuali vigenti, sostituendolo con contrattazioni azienda per azienda, che creerebbero un’enorme disparità di trattamento economico e normativo tra i lavoratori e le condizioni per ulteriori e selvaggi tagli di posti di lavoro.

Manifestazioni e cortei si sono svolti nelle principali città.

A Milano con indosso una maglietta con su scritto «io non sono “un banchiere” hanno attraversato la città, in ordine, partendo dalla sede milanese di Abi in via Olona. Parlando alla gente e cercando di spiegare le loro ragioni: non vogliamo difendere privilegi, ma vogliamo difendere il contratto e il lavoro.

Commento

Che dire.

Dovremmo prendere esempio dai bancari.

Non dovremmo avere paura, come sostiene qualcuno, di attraversare in corteo Palermo, e cercare di spiegare alla gente (commercianti, artigiani e, persino ai disoccupati) che con la politica del blocco dei contratti dei dipendenti pubblici e con la politica dei tagli agli stipendi dei dipendenti regionali, i primi a rimetterci, immediatamente dopo i diretti interessati, sono proprio loro (il commerciante e l’artigiano non vendono e il disoccupato non troverà mai un lavoro).

Dovremmo fare capire all’opinione pubblica che i privilegiati, i nemici da combattere non siamo noi ma i politici incapaci e papponi che ci stanno riducendo in mutande, quelli che permettono allo Stato di prendersi i soldi della Sicilia (es. le multinazionali che raffinano il greggio in Sicilia pagano miliardi di tasse allo Stato senza che a noi resti un solo centesimo lasciandoci solo i veleni della raffinazione) che poi è costretta a mendicarli al Renzi o Delrio di turno.

Per Ingroia niente tetto allo stipendio. Una volta tanto Sunseri parla della “casta”

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L’ex magistrato, rivela il settimanale l’Espresso ha incassato l’anno scorso una retribuzione di 201 mila 892 euro. Un trattamento di favore ritagliato su misura per lui. La legge regionale, infatti, impone un tetto di 50 mila euro per gli amministratori delle società pubbliche. Un limite che è stato aggirato, a quanto risulta al settimanale, da un’ indennità di risultato di 110 mila euro.