DDL sul personale. Crocetta stupito. Perché – afferma – i sindacati dovrebbero opporsi a misure volontarie di fuoriuscita?

Crocetta è stupito. «Perché – afferma – i sindacati dovrebbero opporsi a misure volontarie di fuoriuscita? Sia pure se esse introducono il principio che in modo progressivo, si debba applicare il sistema di pensionamento contributivo? Sinceramente non lo comprendiamo. In tanti sono interessati al prepensionamento, altri non lo sono. Si dia possibilità a quei lavoratori di poter fuoriuscire».

Poi continua: «Non possiamo avere un approccio ideologico per i problemi dei dipendenti».

C’è da chiedersi: ma lo ha letto il disegno di legge prima di illustrarlo alla stampa?

Tfr, permessi, promozioni: tutti i privilegi che sopravvivono ai tagli. Doverose alcune precisazioni all’articolo di Repubblica

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Dice Fraschilla nel suo articolo: “La proposta del governatore è quella di calcolare l’assegno con il metodo retributivo anche per gli anni di servizio che vanno dal 1996 al 2004, recuperando il gap con gli statali.

Per i sindacati la norma è incostituzionale perché retroattiva.

Secondo i calcoli del fondo pensione, se un regionale va oggi in pensione con la norma Dini, perde dai 400 ai 500 euro al mese.

Diverso il discorso per i dirigenti, che prenderebbero pochi euro. Il motivo? Grazie alle buste paga sempre più pesanti hanno un montante contributivo elevato che mantengono. Si salverebbero dalla scure i volontari che andranno in pensione con la norma pre-Fornero, quindi anche con meno di 65 anni di età, grazie alla finestra che il governatore vorrebbe aprire con una norma della prossima Finanziaria: per loro è previsto un taglio del 10 per cento dell’assegno, comunque inferiore a quello che subirebbero con i parametri statali”.

Un paio di precisazioni:

  1. una norma che modifica il sistema di calcolo dell’assegno pensionistico con effetto retroattivo è incostituzionale non perché lo dicono i sindacati ma perché lo dice la Corte Costituzionale (Pensioni. Retroattività bocciata dai giudici. Va rispettato il pro rata);
  2. non è vero che chi andrà in pensione con i requisiti pre fornero avrà solo un taglio del 10% dell’assegno di pensione, dal momento che, per come è formulata la norma, è inclusa la decurtazione del 10% anche della liquidazione. Inoltre è prevista dal momento dell’entrata in vigore della legge (e quindi applicabile anche a coloro che andranno in pensione con i requisiti pre fornero) l’integrazione della contingenza nello stipendio i cui effetti sono illustrati in questo articolo.
  3. non è vero che tutti i dirigenti sarebbero favoriti dal sistema di calcolo contributivo, ma solo coloro che hanno una parte variabile consistente (dirigenti di aree, servizi, dirigenti generali) o incarichi extra.

Bilancio, schiarita da Roma ma i sindacati rompono. “Il personale non si tocca”

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L’IMPUGNATIVA del bilancio provvisorio da parte del Consiglio dei ministri non ci sarà. Ma il cammino della manovra finanziaria si annuncia comunque in salita. Da recuperare, in sede di bilancio, restano 700 milioni di euro necessari a garantire la compartecipazione della Sicilia alla manovra nazionale. E sul piede di guerra sono anche i sindacati. Che ieri hanno bocciato l’ ultima stesura delle norme sul personale contenute nella Finanziaria. Rompendo definitivamente la trattativa col governo Crocetta. A fare fronte comune, le sigle confederali del pubblico impiego – Fp-Cgil, Cisl-Fp e Uil-Fpl – e tutti gli autonomi: Cobas-Codir, Sadirs, Siad, Ugl e Dirsi. Programmato per martedì prossimo un sit-in davanti a Palazzo d’ Orleans. E confermato lo sciopero generale, col blocco di tutti gli uffici, per il 20 marzo.

IL JOBS ACT SERVE POCO ALL’ECONOMIA (di Alessandro Bellavista)

Il Jobas Act serve poco all'economia
La Repubblica dell’8 marzo 2015 – Per scaricare l’articolo cliccaci sopra

ALESSANDRO BELLAVISTA

IL GOVERNO Renzi ha varato una profonda riforma della disciplina del mercato del lavoro. Questo intervento è stato denominato (con un po’ di provincialismo), Jobs Act. Esso revisiona gli aspetti cardine del rapporto di lavoro, come l’ambito dei poteri datoriali, la normativa sui licenziamenti, le tipologie contrattuali, la sfera d’azione della contrattazione collettiva, gli ammortizzatori sociali. L’obiettivo principale del è quello di affrontare la drammatica crisi occupazionale e quindi di stimolare nuove assunzioni.

CIÒ è perseguito sia attraverso la riduzione delle tutele del lavoratore sia offrendo sconti contributivi ai datori che stipulano il cosiddetto contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Il premier aderisce, in buona sostanza, alla tesi (alquanto controversa e non dimostrata empiricamente) secondo cui l’abbassamento del livello di tutela dei lavoratori produce effetti positivi sul piano dell’aumento dell’occupazione; ovvero che la eccessiva rigidità della protezione dei lavoratori scoraggia le nuove assunzioni. E’ questa un’ideologia dominante nelle grandi istituzioni europee ed internazionali. Tuttavia, seri studi mettono in evidenza come la mancata crescita occupazionale italiana dipenda soprattutto dallo scarso livello di investimenti produttivi e da un sistema imprenditoriale che innova molto poco, concentrato su settori a basso valore aggiunto e che mira ad impiegare lavoratori poco qualificati. Invece, le migliori performance occupazionali sono ottenute dai paesi che perseguono la cosiddetta “via alta allo sviluppo” fondata su produzioni di beni di qualità, su elevati gradi di innovazione tecnologica e sull’utilizzo di forza lavoro qualificata. Per muoversi in quest’ultima direzione è necessaria la presenza di una vera politica economica e industriale gestita da istituzioni pubbliche che abbiano una visione di lungo periodo. In Italia, i governi degli ultimi vent’anni non hanno fatto nulla del genere, anzi hanno stimolato il preoccupante percorso, in senso opposto, costituito dalla cosiddetta “via bassa allo sviluppo”. Pertanto, il Jobs Act potrà produrre duraturi effetti positivi solo se sarà accompagnato da intense politiche pubbliche per il rilancio del sistema produttivo, di cui alcuni segnali sembrano intravedersi nella pur cangiante agenda del governo Renzi. Ma a questo punto bisogna chiedersi quali benefici apporta tale intervento normativo per l’asfittico mercato del lavoro siciliano. Intanto, quest’ultimo è largamente dominato dal pubblico: è cioè caratterizzato da un elefantiaco apparato a carico, in vari modi, delle casse regionali. Qui il problema reale è quello di ridurre i costi per evitare lo spettro, sempre più incombente, del default: il che implica scelte tragiche sul piano della probabile perdita di consenso elettorale per chi le adotta.

Il tessuto industriale vero e proprio è stato colpito dagli effetti della crisi e vive una fase di progressiva desertificazione. Massiccia è l’utilizzazione di lavoro nero da parte di aziende la cui capacità competitiva è data solo dal permanere ai margini della legalità. Sopravvivono coraggiosi imprenditori che non si arrendono, ma che si scontrano ogni giorno con l’assenza di adeguate infrastrutture e con asfissianti oneri burocratici, senza potere contare su alcun supporto da parte delle istituzioni pubbliche. Anzi, fatti di cronaca mettono in luce come gli operatori economici siano tartassati non solo dalle pressioni delle organizzazioni criminali, ma anche da indebite richieste di denaro (rectius tangenti) da parte di esponenti del mondo politico e amministrativo. Seppure in questo contesto non facile, Palazzo d’Orleans potrebbe fare molto per avviare un processo di sviluppo virtuoso se, per esempio, mirasse a indirizzare, le risorse disponibili, la programmazione e la spesa dei fondi europei verso attività ad alto contenuto di innovazione e di capitale umano qualificato. I forti incentivi normativi ed economici contenuti nel Jobs Act potrebbero così aiutare le imprese nascenti per consolidare una base occupazionale di elevato livello professionale. Tutto ciò richiede una capacità strategica del governo regionale al momento non percepibile, ma assolutamente indispensabile per evitare che i migliori giovani siciliani abbandonino la loro terra per cercare fortuna altrove.

Fonte: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/03/08/il-jobs-act-serve-poco-alleconomiaPalermo09.html

Il 7 marzo è entrato in vigore il Jobs Act. Addio all’art. 18

Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6 marzo 2015 del Decreto Legislativo n. 23 del 4 marzo 2015, entrano in vigore le disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti. Il Decreto legislativo è legge, entra in vigore dal 7 marzo 2015.

Pertanto su tutti i contratti a tempo indeterminato stipulati dal 7 marzo 2015 si applica la disciplina relativa al contratto a tutele crescenti. Le novità riguardano la disciplina del licenziamento e le tutele crescenti appunto, ossia la possibilità di ottenere in caso di licenziamento dichiarato illegittimo un indennizzo economico certo e crescente al crescere dell’anzianità di servizio.

L’indennizzo in caso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, nel caso in cui il lavoratore riesca a dimostrare l’illegittimità del licenziamento stesso, è pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a 24 mensilità.

Addio tutele dell’articolo 18. Le tutele crescenti in termini di indennizzo economico portano all’addio della tutela reale dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Con l’entrata in vigore del Decreto è sostanzialmente esclusa la possibilità di ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro, salvo alcuni casi particolari come i licenziamenti dichiarati nulli e/o discriminatori. Per maggiori informazioni vediamo la normativa sul licenziamento dopo il Job Act.

Ecco la nuova indennità di disoccupazione di durata fino a 24 mesi. A partire dalla stessa data del 7 marzo, è entrato in vigore un altro importante decreto, il D. Lgs. n. 22 del 4 marzo 2015, contenente la riforma degli ammortizzatori sociali. Per i lavoratori licenziati entra in vigore la Naspi, che è una nuova indennità di disoccupazione che può spettare fino a 1.300 euro per una durata di 24 mesi. Per i collaboratori a progetto entra in vigore la Dis-Coll. Per maggiori informazioni vediamo la nuova Aspi in vigore.