Uscita anticipata, un prestito da restituire a rate in 20 anni. I dipendenti pubblici potranno lasciare fino a tre anni prima

PensionePer permettere l’anticipo di tre anni dell’uscita dal lavoro, introducendo un elemento di flessibilità nella riforma Fornero, ci sono una serie di equazioni da risolvere per far quadrare i conti. La prima, e probabilmente più difficile, riguarda i meccanismi per contenere il più possibile la penalizzazione sulla futura pensione. Per comprendere bisogna capire bene il meccanismo dell’Ape, l’assegno per la pensione, al quale sta lavorando lo staff di Palazzo Chigi guidato dal sottosegretario Tommaso Nannicini. Per lasciare l’impiego fino a 3 anni prima, ossia a 63 anni e 7 mesi, invece degli attuali 66 anni e 7 mesi, i lavoratori interessati potranno ottenere un prestito che sarà concesso dalle banche ma pagato mensilmente dall’Inps. Quando poi matureranno l’età per la pensione, ossia i 66 anni e 7 mesi, dal loro assegno mensile verrà sottratta una rata per rimborsare questo prestito che ha consentito l’anticipo dell’uscita dal lavoro.

Mancato rinnovo dei contratti. Il tribunale di Reggio Emilia «apre» agli indennizzi

Rinnovo dei contratti
Il Sole 24 Ore del 29 febbraio 2016

Ogni ricorso è una storia a sé.

Certamente, se non si propone ricorso, non si può sapere in anticipo se il giudice ci darà o meno ragione. Non si può avere la certezza matematica che l’esito di un ricorso sarà positivo.

Di certo, però, se i pensionati si fossero posti tutti questi problemi e non avessero presentato ricorso contro il blocco della perequazione automatica delle pensioni approvata dal governo Monti, nessun giudice avrebbe dato loro ragione.

Stesso ragionamento vale per il blocco del rinnovo dei contratti.

In questo caso abbiamo anche un precedente.

Dal tribunale di Reggio Emilia è arrivata la prima sentenza che ha messo nero su bianco «l’illegittimità» dei mancati rinnovi dei contratti per il pubblico impiego dopo il 30 luglio, cioè dopo che la Corte costituzionale ha sancito l’obbligo di superare il blocco deciso sei anni fa per abbassare la febbre del bilancio pubblico.

La pronuncia ha condannato il ministero della Giustizia al pagamento delle spese processuali (3mila euro a cui si aggiungono i rimborsi forfettari e il contributo unificato) per il ricorso avviato da 13 dipendenti dello stesso tribunale.

P.S.

Vi ricordo, inoltre, che in base all’art. 41, comma 6 del DL 207/2008 (c.d. Milleproroghe) convertito in legge dalla L. 14/2009, è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di cui agli articoli 1, comma 2, e 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, di adottare provvedimenti per l’estensione di decisioni giurisdizionali aventi forza di giudicato, o comunque divenute esecutive, in materia di personale delle amministrazioni pubbliche.”

I presupposti del ricorso contro il blocco dei contratti

Il tribunale di Parma contro il blocco dei contratti
Repubblica del 21 marzo 2016

I dipendenti pubblici sono danneggiati

Gli stipendi dei pubblici dipendenti sono fermi dal 2010: non fruiscono, cioè, dell’adeguamento rispetto all’aumento del costo della vita calcolato in base agli indici ISTAT. Ogni dipendente pubblico ha perso, in termini di mancato aumento salariale, circa 2.700 euro lordi l’anno.

Il blocco degli stipendi è incostituzionale

La sentenza della Corte Costituzionale n. 178 del 24 giugno 2015 ha stabilito che il blocco dei contratti del pubblico impiego è illegittimo e incostituzionale, ma ha limitato tale illegittimità solo al periodo successivo alla pubblicazione della sentenza stessa.

I presupposti del ricorso contro la trattenuta del 2,50%

Palazzo della Consulta Roma 2006La Corte Costituzionale con sentenza n. 223/2012 depositata in Cancelleria l’11 ottobre 2012 ha dichiarato illegittimo il prelievo del 2,50% sull’80% della retribuzione per i dipendenti assunti dopo il 31.12.2000.

Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 742 resa in data 11 marzo 2016, ha accolto le ragioni di diritto dei ricorrenti, dichiarando l’illegittimità della trattenuta del 2,50% per i dipendenti assunti dopo il 31.12.2000.

La ritenuta del 2,5% sullo stipendio dei dipendenti pubblici in regime di TFR è illegittima perché deve essere posta a carico dello Stato-Datore di Lavoro, al pari di quanto avviene nel settore privato.

Quindi, per gli assunti a far data dal 01/01/2001 (quindi in regime di TFR) la ritenuta del 2,50% a carico del lavoratore sull’80% della retribuzione non è dovuta (per i lavoratori che facciano apposito ricorso giudiziale). La questione interessa tutti i dipendenti pubblici in regime di Tfr (cioè assunti dopo il 2000 nonchè i precari assunti dopo il 30 maggio 2000) ai quali lo stato continua ad applicare il prelievo in base al Dpr 1032/1973.