Un massimo di 48 ore per la sospensione dell’assenteista, che andrà convocato per il contraddittorio dopo 15 giorni e potrà chiedere uno slittamento di 5 giorni in caso di «oggettivo, oggettivo e assoluto impedimento» in vista del verdetto finale entro 30 giorni. È il calendario il cuore delle nuove regole sui dipendenti pubblici che vengono individuati in flagrante oppure filmati mentre timbrano l’entrata e poi evitano l’ufficio, per arrivare a quello che il premier Matteo Renzi ha definito ieri in conferenza stampa un «licenziamento cattivo ma giusto», con cui «chi viene beccato a timbrare il cartellino e ad andarsene vede finalmente finita la pacchia».
Lasciare il posto di lavoro tre anni prima significa rinunciare almeno per vent’anni a 400 euro al mese. E recuperarne, dal ventunesimo in poi, la metà. A quasi 87 anni suonati.
È tutto qui lo scenario base dell’Ape, l’anticipo pensionistico pensato dal governo come risposta all’esigenza di flessibilità in uscita, seppur sperimentale nel triennio 2017-19, poi si vedrà. Un dipendente pubblico o privato, nato tra il 1951 e il 1953, dal prossimo anno potrà chiedere di andare in pensione fino a tre anni prima rispetto al requisito di vecchiaia pari a 66 anni e 7 mesi. Ottenendo così un anticipo sull’assegno futuro, in pratica un prestito dalle banche (ma erogato tramite Inps), garantito da un’assicurazione in caso di morte, che poi restituirà in vent’anni, a un tasso di interesse da fissare, finendo così di pagare a 86 anni e 7 mesi.