Il pareggio di bilancio, quello inserito in Costituzione con legge Costituzionale, potrebbe essere incostituzionale
Con “pareggio di bilancio” si intende la necessità, per Stato e Regioni, di pareggiare le entrate e le uscite di ciascun anno.
Nel 2011 il Governo Monti inserì il principio del pareggio di bilancio in Costituzione (articolo 81). Con il pareggio di bilancio in Costituzione è stato, di fatto, reso illegale il keynesimo. Non risulta più possibile la spesa “espansiva” in infrastrutture, politiche di sostegno al reddito (e al consumo) interno eccetera eccetera.
Una spesa è possibile solo se bilanciata da un taglio o da una maggiore entrata (tasse). Questo, ovviamente, implica che le minimali maggiori spese a sostegno della produzione devono essere bilanciate da tagli a spese “improduttive”. Le spese improduttive per eccellenza sono proprio quelle che riguardano lo stato sociale. Istruzione gratuita, sostegno assistenziale e previdenziale agli inabili al lavoro e ai disoccupati involontari, assistenza sanitaria …
Lo Stato si “ritira” da questi ambiti lasciando al mercato e all’iniziativa privata la gestione del sostegno sociale. Ovviamente, il privato mercato svolgerà queste funzioni solo dietro corrispettivo.
In buona sostanza, lo smantellamento dello Stato sociale e la privatizzazione dei servizi sociali essenziali. Accessibili solo a chi può consentirseli.
Questo, in modo assai schematico, il pareggio di bilancio (vigente per Stato e Regioni) e il “patto di stabilità interno” che ne deriva (per i Comuni).
La Sentenza n° 275 del 16 dicembre 2016 della Corte Costituzionale costringe a un amaro risveglio tutti i sostenitori del pareggio di bilancio. I sostenitori del libero mercato e dello smantellamento dello Stato sociale sbattono il muso contro l’amara realtà.