O TUTTO O NIENTE. QUALCHE PAROLA SULL’ARTICOLO 18 (di Turi Comito)

Nella foto, gentile concessione agenzia “Mercato&Felicità” folla di scalmanati che si ostina a considerare il lavoro una cosa non mercificabile.

Breve introduzione e commento per evitare fraintendimenti da parte di chi non conosce l’autore dell’articolo.

Ovviamente il collega Comito, come il sottoscritto, non condivide l’abolizione dell’art. 18 e l’impostazione liberal-capitalista del governo Renzi.

Parla come se fosse Renzi o Berlusconi o Sacconi

Evidentemente quando dice di non capire il motivo di queste proteste disseminate…, di progetto largamente condiviso…, di zavorre…., etc. è solamente ironia, anzi, più che ironia, lo definirei sarcasmo, è un voler prendere per il c…lo Renzi e i suoi cortigiani circa la necessità dell’abolizione dell’art. 18.
Ma chi non lo conosce o chi non ha letto i miei precedenti articoli, o come la penso io circa l’abolizione dell’art. 18, può evidentemente fraintendere. (B.M.)

Lo smantellamento dello Statuto dei Lavoratori – indipendentemente dalle questioni tecnico/normative che vedranno la luce con i decreti delegati fra qualche mese – poggia su un principio base dell’economia capitalista che, benché sia stato avversato e messo in crisi per qualche decennio, è assai semplice ed è ormai universalmente accettato, insegnato nelle scuole e imposto dai mass-media: il principio della domanda-offerta-prezzo. Ovvero la reificazione, o mercificazione se si preferisce, di ogni cosa esistente nell’universo mondo: sia essa materiale o immateriale.

Il luogo in cui questo principio si applica è il mercato e la modalità attraverso cui si concretizza è la concorrenza.

Nella logica capitalista il mercato, e il principio che sottostà alla sua esistenza, è il sistema più efficiente di allocazione (distribuzione) di risorse, capitali, beni e servizi tra esseri umani. Essendo questa impostazione non solo diffusa ma largamente accettata nei paesi occidentali (e in quelli in via di sviluppo), appare oggettivamente fuori luogo, fuori posto e fuori dalla storia l’idea che qualcosa possa non essere sottoposta alla legge della domanda-offerta-prezzo.

Compreso, pertanto, il lavoro che è, al pari di ogni altra merce, offribile, acquistabile, scambiabile, misurabile monetariamente (cioé ha un prezzo).

Ma perché il sistema “mercato” funzioni al meglio deve esistere un elemento essenziale: la libertà di scelta dei soggetti che in un dato momento e in un dato luogo offrono e domandano una determinata merce. Se chi domanda forza lavoro è limitato nella scelta (ad esempio attraverso i contratti collettivi di lavoro) o non può liberarsi della forza lavoro (eccedente oppure non efficiente) per effetto di norme statuali, il “mercato”, e il suo principio, sono falsati creando un sistema “distorto” cioè non efficiente sia per i maggiori costi, sia per un deficit di efficienza che, in un sistema di concorrenza, risultano essere a volte micidiali.

Facciamo un esempio per capirci meglio.

Se un imprenditore che fabbrica scarpe ad un certo punto scopre che può acquistare sul mercato pellame di pari qualità a quello fino a quel momento usato ma offerto ad un prezzo inferiore, acquisterà quella materia prima immediatamente perché questo gli consentirà di trarre maggiore profitto dalla vendita di scarpe (a parità di prezzo finale). Almeno fino a che non sarà costretto, dalla concorrenza di altri fabbricanti di scarpe, a ridurne il prezzo finale e a cercare nuovo pellame a buon mercato che continui a garantirgli un minimo di profitto nella vendita di scarpe.

Questa si chiama efficienza del sistema mercato e presuppone, per l’appunto, la libertà dell’imprenditore di acquistare il pellame che più gli aggrada senza che nessuna norma statuale glielo impedisca.

Lo stesso imprenditore, seguendo questa impostazione, deve pertanto avere la stessa libertà di acquistare sul mercato la merce lavoro (gli operai che materialmente fabbricano scarpe) quando questa viene offerta ad un prezzo inferiore a quello che ha pagato fino a quel momento.

Non solo.

L’imprenditore, per necessità di efficienza, deve avere la possibilità – in qualunque momento e senza limitazioni – di sostituire la merce lavoro se, a parità di prezzo, ne trova altra più efficiente o più tecnicamente preparata. Un dirigente o un operaio che sono giudicati poco efficienti debbono, per garantire l’efficienza e il maggiore profitto dell’impresa, potere essere liberamente cambiati (cioè licenziati e rimpiazzati) con altri dirigenti od altri operai meno costosi e/o più efficienti.

Il “merito” dell’operaio o del dirigente, la “meritocrazia” in questo contesto, altro non è che un metro che misura l’efficienza del sistema (la sua “produttività”) e che determina, assieme ad altri fattori, la profittabilità dell’azienda in un dato momento storico e in un determinato luogo geografico.

Se questo è chiaro – ed è chiaro – allora è anche chiaro che lo Statuto dei lavoratori, i contratti collettivi di lavoro, le garanzie sociali (ferie pagate, maternità, malattie, ecc.) sono tutte limitazioni (costi, per meglio dire) alla libertà d’impresa che, lo stiamo vedendo, sottintende la possibilità di servirsi della merce lavoro – delle “risorse” umane come si usa dire – “liberamente” e alla stessa identica maniera con cui ci si serve del pellame per fare le scarpe.

Il sistema capitalista qui sommariamente descritto – che si contrappone a quello comunitarista basato sulla reciprocità e sul “dono”, come ci hanno insegnato i maggiori antropologi e sociologi del secolo scorso, e a quello socialista che si basa sulla soddisfazione dei bisogni attraverso la pianificazione della produzione delle merci – è, al momento, il sistema non solo dominante di fatto, ma dominante ideologicamente e culturalmente.

Il che significa dominante e basta.

La questione dello Statuto dei lavoratori è pertanto parte di una questione più generale che tende a uniformare, omogeneizzare, il sistema economico all’ideologia capitalista eliminando o riducendo al minimo tutte quelle norme che limitano la libertà imprenditoriale di scelta della miglior merce al minor costo possibile.

Considerare il “lavoro” non una merce ma una non meglio identificata categoria dello spirito è pertanto incompatibile con l’ideologia capitalista e col sistema economico (e sociale) che ne deriva.

Come incompatibile con questa ideologia è il non considerare merce sottoposta al principio del libero scambio, e cioè al principio della domanda-offerta-prezzo, qualunque altra cosa: che si tratti di seme umano, della modifica genetica delle sementi, di farmaci, di istruzione, di acqua, di terra e perfino dell’aria.

Stupiscono quindi queste (momentanee, per fortuna) proteste disseminate qua e là in Italia contro la riforma del diritto del lavoro. Stupiscono perché il progetto politico che sta dietro questa riforma altro non è che la pulizia, l’alleggerimento, del sistema economico da tutta una serie di zavorre normative incompatibili col sistema stesso. E quel progetto politico è un progetto largamente condiviso e che soddisfa più o meno tutti. Prova ne sia il fatto che esiste un mercato dei calciatori, come esiste un mercato dei telefonini o delle obbligazioni senza che nessuno abbia niente da ridire. Perché mai la legge del mercato dovrebbe essere applicata solo ai calciatori e non invece ai metalmeccanici? Si capisce già solo con questo quanto sia meritoria l’opera del governo e del suo partito di maggioranza quando cerca in tutti i modi di fare capire che mercato, concorrenza e libertà di scelta nello scambio di merci non possono essere limitati solo a telefonini, obbligazioni e calciatori.

O tutto o niente.

Tutto, evidentemente.

Pubblicato da benedettomineo

Dirigente sindacale Cobas/Codir

2 Risposte a “O TUTTO O NIENTE. QUALCHE PAROLA SULL’ARTICOLO 18 (di Turi Comito)”

  1. @romeo
    La colpa è mia che non ho fatto una breve introduzione al post.
    Ovviamente il collega autore dell’articolo non condivide l’abolizione dell’art. 18 e l’impostazione liberal-capitalista del governo Renzi.
    Evidentemente quando dice di non capire il motivo di queste proteste disseminate…di progetto largamente condiviso…di zavorre….etc. è solamente ironia e un voler prendere per il c…lo Renzi e i suoi cortigiani circa la necessità dell’abolizione dell’art. 18.
    Ma chi non lo conosce può evidentemente fraintendere.

  2. Sta scherzando o dice sul serio?
    Nel primo caso, c’è poco da ridere.
    Nel secondo, perché non va……affanc..o?

I commenti sono chiusi.