L’ABUSO DEL PERMESSO “104″, PER ASSISTENZA DEI CONGIUNTI, GIUSTIFICA IL LICENZIAMENTO

La natura illecita dell’abuso del diritto a fruire dei permessi per l’assistenza dei congiunti, di cui all’art. 33, L. 104/1992, e il ragionevole sospetto che il lavoratore ne abbia abusato, legittimano il ricorso al controllo occulto c.d. “difensivo” ad opera del datore di lavoro. L’uso improprio del permesso per l’assistenza dei congiunti giustifica il licenziamento per giusta causa in quanto compromette irrimediabilmente il vincolo fiduciario indispensabile per la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Un datore di lavoro si avvale di un’agenzia investigativa per “pedinare” un proprio dipendente, sospettato di utilizzare i permessi ottenuti per l’assistenza ai congiunti ai sensi dell’art 33 della L. 104/1992 al fine di recarsi in vacanza. Scoperto l’illegittimo uso del permesso, il datore licenzia il dipendente per giusta causa.

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Permessi della legge 104: possibile pedinare il dipendente con il detective

La Sicilia 6 marzo 2014
La Sicilia 6 marzo 2014

Da oggi i dipendenti che usufruiscono dei permessi della legge 104 per assistere il familiare malato debbono stare molto attenti a come li usano. Se invece di recarsi ad accudire il parente malato vanno da tutt’altra parte, il datore di lavoro può licenziarli. Ma c’è di più: il datore di lavoro può anche assumere un detective per controllare se il suo dipendente usa quei permessi in modo legittimo. Lo stabilisce la sentenza 4984 della Cassazione.

“Solo” nello Stato in 2.500 in pensione con la legge 104

alto-gazzI fruitori della legge 104, che alla data del 4 dicembre 2011 godevano dei permessi o dei congedi previsti dalla legge 104 (o che entro tale data avevano fatto domanda successivamente accolta), possono chiedere di accedere al pensionamento con i vecchi requisiti se maturano il diritto alla pensione con i requisiti pre-Fornero entro il 6 dicembre 2014.
I requisiti sono:

  • 40 anni di contribuzione entro il 6 dicembre 2013
  • Quota 96 (somma di età e contributi compresi i resti) con un minimo di 60 anni di età e con un minimo di 35 anni di contributi entro il 2012
  • Quota 97 con un minimo di 61 anni e un minimo di 35 contributi entro il 6 dicembre 2013

IL POSSESSO DEI REQUISITI NON PREFIGURA UN DIRITTO CHE È LIMITATO A 2.500 SOGGETTI.
SI TRATTA DI UN VERO E PROPRIO CONCORSO. L’INPS REDIGERÀ UNA GRADUATORIA E I PRIMI 2.500 POTRANNO ANDARE IN PENSIONE.

Legge 104. Altro che prepensionamento! Chi ha un parente disabile va in pensione dopo

Dal congedo parentale alla legge 104 alla disoccupazione: i contributi figurativi valgono per la pensione ma non per evitare il taglio dell’assegno per chi chiede la “pensione anticipata”.

Non solo chi ha svolto attività di solidarietà donando il sangue dovrà aspettare qualche mese in più per godersi la pensione, ma anche chi ha ottenuto dei “benefici” ai sensi della Legge 104 per poter stare vicino a un figlio o a un parente disabile, dovrà aspettare altri anni prima di andare in pensione”.

Per un genitore, ad esempio, con un figlio disabile, significa che se lo stesso ha fruito di due anni di congedo dovrà lavorare due anni in più per maturare quel diritto, e se non lo fa incorre in penalizzazioni di trattamento.

È bene precisare che la penalizzazione non riguarda tutti i lavoratori, ma solo chi presenta domanda per la “pensione anticipata” (una novità introdotta dalla riforma Fornero), cioè la pensione concessa indipendentemente dall’età anagrafica, a chi ha un’anzianità contributiva fissata per il 2013 in almeno 42 anni e 5 mesi se uomo o 41 anni e 5 mesi se donna. Questi requisiti contributivi sono aumentati di un ulteriore mese per il 2013 e per il 2014 e sono soggetti anch’essi all’adeguamento alla speranza di vita.

Per richiedere la pensione anticipata non è prevista un’età anagrafica minima, ma per chi la richiede prima dei 62 anni subisce una penalizzazione pari all’1% per ogni anno di anticipo entro un massimo di due anni e al 2% per ogni anno ulteriore rispetto ai primi 2.

Ad esempio: chi va in pensione a 59 anni, ha una penalizzazione del 4%.

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Legge 104. Le ferie non riducono il diritto ai tre giorni di permesso mensili

Articolo tratto da Ptpl – dossier pubblico impiego

PUBBLICO IMPIEGOAssistenza ai disabili garantita.
Le ferie non riducono il diritto ai tre giorni di permesso mensili che spetta al lavoratore che presta assistenza a familiari disabili (legge n. 104/1992). Lo stesso per malattia e festività, per maternità e permessi sindacali; in tutte queste ipotesi i tre giorni restano tali. 

Il principio fissato dal Ministero del lavoro (
interpello 01.08.2012 n. 24/2012) vuole che il lavoratore conservi il diritto a fruire dei tre giorni di permesso mensili in quanto aventi natura, funzione e caratteri diversi.
Il principio apre a due differenti trattamenti. Da una parte diventa illegittimo riproporzionare i tre giorni di permesso mensili sulla base dell’attività lavorativa effettivamente svolta, qualora il lavoratore abbia legittimamente beneficiato di altre tipologie di permessi o congedi a lui spettanti; d’altra parte diventa legittimo riproporzionare i permessi nei casi in cui ci sia stata riduzione di attività lavorativa per altri motivi.
In tal caso il riproporzionamento del numero dei giorni mensili di permesso disabili è possibile e avviene in base ai criteri indicati dall’Inps, per cui viene concesso un giorno di permesso ogni dieci giorni di assistenza continuativa e, per periodi inferiori a dieci giorni, non si ha diritto a nessuna giornata di permesso (articolo ItaliaOggi Sette del 10.06.2013).

Diritto del lavoratore che assiste un parente disabile di non essere trasferito senza il suo consenso

Diritto del lavoratore che assiste un parente disabile di non essere trasferito senza il suo consenso
Il lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.

Due sono le disposizioni di legge da considerare:

  1. l’art. 33 comma 5 della legge n. 104/1992 (1),
  2. l’art. 20 della legge n. 53/2000 (2).

E tre sono i presupposti per l’esercizio del diritto:

  1. la continuità nell’assistenza;
  2. l’esclusività nell’assistenza;
  3. la compatibilità dell’esercizio del diritto del lavoratore con le esigenze economiche, produttive od organizzative del datore di lavoro.

La continuità (cfr. circolare INPS n. 133 del 17 luglio 2000) consiste nell’effettiva assistenza del soggetto disabile per le sue necessità quotidiane da parte del lavoratore-familiare del soggetto stesso.
La esclusività va intesa nel senso che il lavoratore deve essere l’unico soggetto che presta assistenza alla persona handicappata: la esclusività stessa non può, perciò, considerarsi realizzata quando il soggetto handicappato (non convivente con il lavoratore richiedente) risulta convivere in un nucleo familiare in cui sono presenti lavoratori-familiari che possano beneficiare di tali tutele per questo stesso handicappato.
Un solo lavoratore familiare di disabile può, cioè, fruire dei benefici e delle tutele di legge, benefici e tutele che non possono sdoppiarsi in capo a più soggetti (3).

L’obiettivo del legislatore è il bilanciamento tra i contrapposti interessi in gioco: le particolari tutele di cui gode il lavoratore che assiste un disabile grave (anche in caso di trasferimento da un’unità produttiva ad un’altra ex art. 2103 c.c.) e le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro.

La Corte di Cassazione, con la sentenza delle Sezioni Unite n. 7945 del 27 marzo 2008, hanno aggiunto, superando orientamenti diametralmente opposti sul punto, l’ulteriore e indispensabile requisito della “compatibilità”: “il diritto del genitore o del familiare lavoratore, che assiste con continuità un portatore di handicap, di non essere trasferito ad altra sede senza il proprio consenso, disciplinato dall’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, non si configura come assoluto ed illimitato, giacché esso – come dimostrato anche dalla presenza dell’inciso “ove possibile” – può essere fatto valere allorquando, alla stregua di un equo bilanciamento tra tutti gli implicati interessi costituzionalmente rilevanti, il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive od organizzative del datore di lavoro”.

Mentre la legge n. 104/1992, all’art. 33, richiedeva la convivenza nel medesimo domicilio tra lavoratore e portatore di handicap, la legge 8 marzo 2000 n. 53, oltre ad eliminare il requisito della convivenza (4), ha ribadito la previsione dell’esclusività dell’assistenza e ristretto la categoria dei beneficiari, posto che la tutela ai fini del trasferimento può essere richiesta solo da unico parente disponibile a prestare l’assistenza necessaria.
La finalità è evidente: garantire la continuità della tutela dell’assistenza solamente quando viene effettivamente prestata dall’unico familiare in grado di farlo. Diversamente ragionando, il legislatore non avrebbe avvertito l’esigenza di ribadire la necessità dell’assistenza continua in via esclusiva.

Peraltro, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 19 del 26 gennaio 2009 (in cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 42 comma 5 del D.Lgs. 26 marzo 2001 n. 151 nella parte in cui non include, nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, il figlio convivente, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave), ha offerto un’ulteriore chiave di lettura: il congedo può essere riconosciuto al lavoratore figlio convivente del portatore di handicap grave, qualora non vi siano altri soggetti idonei a prendersene cura.

Il lavoratore deve documentare al suo datore di lavoro la sussistenza dei presupposti per accedere ai benefici di cui alla legge n. 104/1992.

Si ricorda, infine, che il requisito di continuità dell’assistenza prestata dal dipendente, per consolidato indirizzo giurisprudenziale, deve necessariamente essere in atto al momento del trasferimento, per cui la tutela va accordata solo al lavoratore che già assista con continuità un familiare portatore di handicap grave e non anche al lavoratore dipendente che, non assistendo ancora con continuità ed esclusività un familiare, rifiuti un trasferimento proprio al fine di poter instaurare detto rapporto.

Note:

  1. Il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
  2. Le disposizioni dell’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dall’articolo 19 della presente legge, si applicano anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto nonché ai genitori ed ai familiari lavoratori, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assistono con continuità e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap, ancorché non convivente.
  3. Ne è la riprova il modulo INPS Hand 2 – COD. SR08.
  4. All’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 3, dopo le parole: “permesso mensile” sono inserite le seguenti: “coperti da contribuzione figurativa”; b) al comma 5, le parole: “con lui convivente” sono soppresse; c) al comma 6, dopo le parole: “può usufruire” è inserita la seguente: “alternativamente” (Tratto dal sito wikilabour.it).

LEGGE 104, ULTIMA … CHIAMATA.

La campagna stampa contro i dipendenti regionali continua a essere alimentata dall’assessore alla Funzione pubblica Caterina Chinnici. La dottoressa Chinnici sembra improvvisamente essersi svegliata dal letargo e, senza il minimo rispetto delle relazioni e dell’informazione sindacale, ha dato in pasto alla stampa uno dei soliti proclami strombazzati all’insegna del pressapochismo; il tentativo sembra voler celare una precisa responsabilità del governo regionale che, distorcendo l’uso della legge 104 (che consente di andare in pensione con almeno 25 anni di servizio per assistere un parente disabile), ha attribuito ad alcuni amici neo-pensionati una serie di incarichi tecnici e politici che agli occhi dell’opinione pubblica hanno reso immorale l’attribuzione del beneficio.

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