Età della pensione. Ipotesi: 67 anni dal 2019

Corriere della Sera del 18 giugno 2017

La speranza di vita dopo i 65 anni si sta allungando: per gli uomini siamo passati dai 18,6 anni del 2013 ai 19,1 anni del 2016; per le donne da 22 a 22,4 anni. Per questo l’ipotesi è che venga spostata verso l’alto anche l’età della pensione, che potrebbe passare dai 66 anni e sette mesi di adesso a 67 anni.

Dopo l’estate il governo dovrà emanare un decreto per rivedere l’età minima necessaria per andare in pensione. In teoria il meccanismo, previsto per legge, non lascia margini di discrezionalità. L’età della pensione è legata alla speranza di vita a 65 anni, cioè il tempo che in media resta da vivere una volta superata la boa dei 65.

ORA VORREBBERO LIMITARE ANCHE IL DIRITTO DI SCIOPERO

Corriere della Sera del 18 giugno 2017

Il Governo (Renzi prima e Gentiloni ora) supportato da una massiccia campagna mediatica (che ha utilizzato in maniera demagogica alcune vicende di cronaca come le assemblee sindacali in orario di lavoro presso gli scavi Pompei e al Colosseo a Roma, oppure gli scioperi all’Alitalia e, in ultimo, lo sciopero dei trasporti del 16 giugno scorso), sta cercando di limitare fortemente il diritto di sciopero già regolamentato e limitato fortemente dalla legge 146/90.

Stefano Lonzar (Unicobas Scuola-Roma)

In questo particolare momento si sta portando avanti un attacco concentrico al diritto di sciopero, sferrato dalla compagine governativa e sostenuto dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

L’attuale legge in vigore, la n.146 del ’90, modificata e integrata con la legge n. 83 del 2000, frutto della prima ondata storica di privatizzazioni, aveva già fortemente limitato il diritto di sciopero, in particolar modo nei servizi pubblici quali la sanità, i trasporti, la scuola, impedendolo, di fatto, in alcuni periodi dell’anno.

Oggi il governo italiano sta valutando il modo per limitare tale diritto ancora di più e poter procedere indisturbato nella definitiva demolizione delle conquiste e dei diritti che sono ancora rimasti nel mondo del lavoro.

Il Governo è supportato da una massiccia campagna mediatica (che ha utilizzato in maniera demagogica alcune vicende di cronaca come le assemblee sindacali in orario di lavoro presso gli scavi Pompei e al Colosseo a Roma, oppure gli scioperi all’Alitalia ) e si avvale della complicità dei sindacati maggiormente rappresentativi (CGIL,CISL, UIL),
Questi sindacati hanno appoggiato la limitazione del diritto di sciopero già 25 anni fa (L.146/90) per impedire che prendessero corpo le istanze del sindacalismo di base, dapprima approvando il codice di autoregolamentazione, poi facendo scrivere ai propri tecnici con i vari governi le normative delle leggi stesse. A maggior ragione oggi, gli stessi sindacati continuano ad approvare normative che ledono il diritto di sciopero e dettano regole sulla rappresentanza per cancellare il diritto al dissenso, visto che il loro obiettivo principale non è difendere e tutelare le condizioni dei lavoratori quanto cercare di mantenere a tutti i costi il monopolio della rappresentatività del mondo del lavoro.

Così, in uno scenario del genere, hanno i cominciato a muovere i primi passi, in maniera congiunta alla commissione Lavoro del Senato e alla commissione Affari costituzionali, i tre ddl presentati dai senatori Maurizio Sacconi (AP), Pietro Ichino (Pd) e Aldo Di Biagio (AP). L’uno prevede che lo sciopero possa essere proclamato solo da un sindacato o da una coalizione sindacale che abbia la maggioranza in azienda o nel comparto lavorativo, l’altro ipotizza un referendum partecipato da almeno la metà dei lavoratori interessati, dal quale la proclamazione dello sciopero ottenga un numero di voti favorevoli superiore alla metà dei voti espressi, il terzo richiede la dichiarazione anticipata di adesione da parte dei lavoratori all’iniziativa di sciopero, per avere un quadro dell’impatto della protesta.

I ddl, tutti sostenuti apertamente dal ministro Delrio e quindi dal Governo, rendono praticamente impossibile alle organizzazioni sindacali di base, più conflittuali ma non rappresentative, indire uno sciopero e trasformano il diritto di sciopero da diritto soggettivo in capo a ogni singolo lavoratore, in prerogativa sindacale, legata al livello di rappresentanza espresso dai singoli sindacati.

E’ evidente la gravità della situazione; in un momento in cui ci stanno sottraendo il diritto al lavoro, il diritto ad un salario decente, ad essere tutelati contro licenziamenti ingiusti, a condizioni e orari di lavoro umani e compatibili con una vita sociale dignitosa si vogliono bellamente cancellare non ipotetici diritti dei sindacati, ma concreti diritti di lavoratrici e lavoratori.

Corriere della Sera del 18 giugno 2017
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