Flat tax ovvero il fisco alla rovescia: chi guadagna di più paga come gli altri. Un conto pesante per i ceti medi

Il Fatto Quotidiano del 4 agosto 2017

Sta suscitando interesse la proposta di una flat tax (o tassa piatta), di una aliquota del 25 per cento uguale per tutti da applicare alle principali imposte (ma con esenzioni per le fasce di reddito più basse), elaborata dall’economista Nicola Rossi e dai suoi collaboratori nell’ambito delle attività dell’Istituto Bruno Leoni di Milano.

La proposta di generale riforma fiscale del centro Bruno Leoni ha il pregio della chiarezza degli obiettivi politici che essa persegue.

Tutte le imposte (Irpef, Ires, Iva, sostitutiva) avrebbero una unica aliquota del 25%, il che dà alla proposta un indubbio appeal propagandistico, e di apparente semplificazione.

Quello che non è condivisibile invece è l’aliquota unica, per giunta molto bassa. Tassare un reddito di 10.000 euro e uno di un milione con la stessa aliquota sarebbe di difficile comprensione per molti, e poco importa che le deduzioni sono in grado di ridurre l’incidenza media per i redditi più bassi; il fatto è che lo straordinario dell’operaio e il premio di produzione del manager sarebbero tassati ambedue al 25%. La progressività assicurata dalle deduzioni sarebbe molto moderata, ma soprattutto i più ricchi beneficerebbero di un tetto al prelievo quale che fossero i loro redditi complessivi, che difficilmente potrebbe essere considerato equo dalla maggior parte delle persone sensate.

Ma soprattutto va chiarito che la caratteristica fondamentale delle imposte “piatte” è che esse, a parità di gettito rispetto a una tradizionale imposta a scaglioni, penalizzano le classi medie.