Mansioni ridotte, danno da provare. Lavoratore demansionato risarcibile solo se dimostra il danno specifico

Il Sole 24 Ore del 20 agosto 2018

L’esercizio dello ius variandi, ossia la facoltà del datore di lavoro di modificare nel corso del rapporto le mansioni attribuite al dipendente al momento dell’assunzione, se non avviene correttamente, può comportare danni al lavoratore che, come tali, potrebbero ritenersi risarcibili.

Dal demansionamento – inteso come illegittima attribuzione di mansioni inferiori rispetto a quelle pattuite contrattualmente – potrebbero, infatti, conseguire danni di natura patrimoniale, consistenti in alcuni casi, in un generale «impoverimento della capacità professionale del lavoratore», oltre che «nella mancata acquisizione di un maggior saper fare» (si è espressa in questo senso la Cassazione, nella sentenza 330/2018).

Con la pronuncia 17976 del 9 luglio 2018, la Cassazione è nuovamente intervenuta su questo punto, negando in maniera perentoria che questa risarcibilità sia ravvisabile di per sé. Infatti, il danno al lavoratore non può considerarsi in rè ipsa, ossia valutato in maniera automatica e in astratto. Colui che intenda far valere eventuali lesioni dovute al demansionamento operato unilateralmente dal datore di lavoro non può limitarsi a richiamare l’inadempimento contrattuale del titolare, ma ha l’onere di fornirne una idonea dimostrazione e di allegare in modo specifico «la natura e le caratteristiche del pregiudizio» subito.