Docenti e impiegati statali pagano il prezzo delle ingiustizie italiane

Tratto da tecnicadellascuola.it

Di Alvaro Belardinelli

Docenti e impiegati statali pagano il prezzo delle ingiustizie italiane

Nell’Italia di oggi le ingiustizie sono un dato palese, evidente per chiunque. L’iniquità del sistema è visibile anche nelle condizioni in cui versa la Scuola.

A pagarne gli effetti sono soprattutto i docenti: ossia i laureati meno pagati della Penisola, nonché gli insegnanti peggio pagati del mondo occidentale.

Persino i dirigenti stessi sono sottopagati per le enormi responsabilità che gravano sulle loro spalle.

I costi dell’austerità pagati dai lavoratori statali

Il trattamento di fine rapporto (somma accantonata dagli stipendi in molti decenni di lavoro) viene pagato ai neopensionati statali a rate e dopo due anni dal pensionamento. I diritti dei lavoratori statali, in sostanza, vengono in subordine rispetto alle regole di bilancio dettate dalla Commissione Europea, dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Centrale Europea. Eppure dovremmo trovarci in una democrazia; e la base della democrazia è la giustizia sociale.

Ma di questo impoverimento progressivo dell’economia e della democrazia del Bel Paese dobbiamo ritenere responsabile solo l’Unione Europea? Oppure il processo è imputabile anche a fattori endogeni?

Quando il Potere ebbe paura

C’è stato un tempo in cui il ceto politico e dirigenziale di questo Paese ha provato molta paura. Paura di perdere tutto. Timore che il popolo italiano stesse davvero diventando cosciente di sé e dei propri diritti. Terrore che si posassero le basi di quel cambiamento rivoluzionario (mai realizzato in Italia) che avrebbe permesso al nostro Paese di scrollarsi di dosso i residui dell’antico regime, dell’oscurantismo, del feudalesimo, ponendo fine allo strapotere di lobby, clero, dinastie, mafie.

Questo panico le classi egemoniche l’hanno saggiato tra gli anni ‘60 e i ‘70, quando le lotte politiche del movimento operaio, degli studenti e delle donne ottennero leggi più favorevoli ai diritti civili, al lavoro dipendente, allo studio, all’emancipazione femminile. Leggi, si badi bene, non rivoluzionarie, ma appena coerenti coi principi costituzionali, e nate con un quarto di secolo di ritardo.

Un Paese a due velocità

Ebbene, dagli anni ‘70 a oggi non sembrano passati decenni, ma secoli. Il bel Paese è oggi — forse — più ricco, ma con disparità ed ingiustizie enormemente accresciute. Meno famiglie fanno parte del ceto medio, mentre è cresciuto enormemente il numero di persone scivolate nella povertà (spesso estrema). Ancor meno sono le famiglie rimaste nella già esigua fascia più benestante; la quale però è enormemente più ricca.

Se il sistema tributario è iniquo

In questo quadro, risulta fortissimo il peso che le imposte indirette (come IVA e accise, identiche per ricchissimi e miserrimi) hanno avuto in questa redistribuzione elitaria del reddito. Si pensi che perfino il Governo Renzi (malgrado i giuramenti di novità rispetto ai Governi precedenti) non ha saputo fare di meglio che aumentare le già gravose ed inique accise (che si sommano all’IVA) sui carburanti. L’attuale Governo, malgrado le promesse, non le ha certo abolite. Ben sapendo che le tasse uguali per tutti (come pure le “flat tax”) affamano i poveri e fanno il solletico ai ricchi.

Eppure, all’articolo 53, la Costituzione ordina: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività». Ebbene: in Italia non è stata applicata mai — di fatto — una tassazione davvero progressiva, perché i più ricchi sono riusciti regolarmente ad evadere e ad esportare capitali all’estero. Il nostro è il Paese europeo con l’evasione fiscale più alta: € 3.156 pro capite, contro i 1.529 della Germania, i 1.739 della Francia, i 1.312 della Gran Bretagna, i 1.289 della Spagna.

La Regione paga 90 milioni per il censimento dei suoi beni ma non può utilizzarne i dati. Procede a rilento l’esame del così detto ddl “collegato”

Procede a rilento l’analisi del così detto ddl “collegato” ovvero la mini finanziaria aggiuntiva della Regione Siciliana che doveva essere approvata subito dopo la Legge di stabilità ed è invece slittata fino ad oggi. Dopo i due ko della maggioranza della settimana scorsa sugli articoli 8 e 9, bocciati con voto segreto,  la coalizione di governo ieri ha tenuto per un poco approvando tre articoli (12, 13 e 16). Poco prima dell’esame dell’articolo 17, composto da 12 commi, il presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè ha chiesto, però, una pausa dei lavori d’aula: “Ogni comma è una legge – ha detto Miccichè – questo più che un articolo somiglia ad una finanziaria. Credo sia opportuno un ulteriore passaggio dalla commissione”.

L’articolo è quindi stato rimandato in commissione Bilancio, che lo esaminerà a partire da oggi. “La norma tornerà in aula giovedì – ha aggiunto Miccichè – quando ci auguriamo di poter concludere l’esame dell’intero ddl”.