Dipendenti pubblici. Sì ai permessi orari anche in smart working. Il chiarimento dell’Aran

I dipendenti pubblici possono usufruire dei permessi orari anche in regime di smart working. Il chiarimento arriva dall’Aran che nella nota 3027/2020 inviata al comune di Pavia ha fornito alcune preziose indicazioni sulla corretta applicazione della disciplina contrattuale.

L’Aran rileva che nel lavoro svolto in modalità agile deve di norma intendersi sussistente uno specifico obbligo del lavoratore di rendersi contattabile all’interno di fasce orarie predeterminate.

Pertanto, anche nella modalità lavorativa agile potrebbe risultare possibile la fruizione dei permessi su base oraria previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro vigente. Essi, nella fattispecie in esame, si concretizzerebbero nella possibilità per il dipendente, in relazione ad un intervallo temporale determinato, di essere sollevato dal predetto obbligo di contattabilità.


L’Aran si rifà ai contenuti di pagina 4 della circolare 2/2020 del Ministro della Pubblica Amministrazione nella parte in cui afferma: “Si sottolinea che – fermo restando il divieto di discriminazione – istituti quali prestazioni eccedenti l’orario settimanale che diano luogo a riposi compensativi, prestazioni di lavoro straordinario, prestazioni di lavoro in turno notturno, festivo o feriale non lavorativo che determinino maggiorazioni retributive, brevi permessi o altri istituti che comportino la riduzione dell’orario giornaliero di lavoro appaiono difficilmente compatibili con la strutturazione del lavoro agile quale ordinaria modalità delle prestazione lavorativa. Si ritiene pertanto conforme a normativa che una PA non riconosca a chi si trova in modalità agile, ad esempio, prestazioni di lavoro straordinario“.

Con il citato parere l’Aran chiarisce, in sostanza, che “anche nella modalità lavorativa agile potrebbe risultare possibile la fruizione di permessi su base oraria“, NEL SENSO CHE il dipendente possa essere sollevato dall’obbligo di contattabilità laddove le sue esigenze non risultino compatibili con la fascia oraria di reperibilità prevista.

Le fasce di reperibilità non costituiscono nè possono costituire un vincolo nè di orario, nè di presenza, del tutto incompatibili con lo smart working, ma semplicemente un’indicazione generale tesa ad evidenziare la disponibilità del singolo dipendente ad essere contattato nel corso della giornata a vari fini, tra i quali anche quelli della rendicontazione dell’attività svolta.

Nulla esclude che il dipendente, quel giorno che necessiti per proprie esigenze, di mutare le condizioni della contattabilità col datore, concordi una diversa fascia.

Del resto lo smart working è antitetico alla predeterminazione di un orario; la prestazione deve essere determinata in termini di raggiungimento di risultati, non di ore-lavorative. Il lavoratore disposto in lavoro agile non deve timbrare l’orario: non appare quindi materialmente possibile nemmeno pensare a tracciare l’eventuale “permesso” orario.

D’altro canto, proprio perché il lavoro agile non si presta ad una misurazione in termini di orario, risulta impossibile anche determinare un plus orario.

Nominati quattro dirigenti generali Ignazio Tozzo al Bilancio. Benedetto Mineo alle finanze

Ignazio Tozzo, già dirigente generale del dipartimento Pianificazione strategica dell’assessorato regionale alla Sanità, eletto tre anni fa dall’Ars consigliere nella sezione di controllo della Corte dei conti. E’ lui il nuovo ragioniere generale della Regione. Alle Finanze va Benedetto Mineo, un altro volto noto della burocrazia regionale. Due burocrati navigati, entrambi con alle spalle esperienze anche da assessore regionale, nominati alla Formazione e all’Agricoltura: si tratta di Patrizia Valenti e Dario Cartabellotta.

Rilanciare le amministrazioni pubbliche in cinque punti

E’ necessario tra gli altri intervenire su questi punti:

1. Accelerazione delle modalità di reclutamento del personale P.A.;

2. Previsione di fasi innovative nella decisione pubblica;

3. Rafforzamento dei procedimenti formativi dei pubblici dipendenti;

4. Potenziamento della figura del Responsabile unico del procedimento (RUP) e istituzione del progetto di procedura del RUP;

5. Dissesto organizzativo dell’ente.

Richiesta notizie buoni pasto 4° trimestre 2019 e 1° trimestre 2020. La risposta della Funzione Pubblica al Cobas/Codir

In riscontro alla nota protocollo n.20/469 del 27 u.s., di pari oggetto, si rappresenta che la mancata attribuzione dei buoni pasto, per i periodi indicati nella stessa, è stata dovuta all’esaurimento dei buoni pasto acquistati nella precedente Convenzione.
Ciò premesso, l’adesione, da parte di questa Amministrazione, alla Convenzione attualmente in vigore (BPE 8), non poteva prescindere dall’approvazione dell’Esercizio Finanziario definitivo approvato appunto il 12 u.s..
L’intervenuta emergenza COVID-19 con il conseguente smart working, ha contribuito non poco ad un ulteriore ritardo per la raccolta dei dati relativi al fabbisogno dei buoni pasto maturati dai dipendenti dei vari Dipartimenti dell’Amministrazione per i periodi indicati in oggetto.
Ciò nonostante si rappresenta altresì che questo Servizio stà già predisponendo tutti gli atti propedeutici, previsti dalle normative vigenti in ordine alla stipula di contratti per forniture di beni e servizi, nonché quelli previsti dalla sopracitata Convenzione, per l’emissione del relativo Ordine di Fornitura.
Cordialmente


Buoni pasto 4° trimestre 2019 e 1° trimestre 2020 – Richiesta notizie

SMART WORKING/ La resistenza da vincere nella Pa

tratto da ilsussidiario.net
SMART WORKING/ La resistenza da vincere nella Pa

Pubblicazione: 23.05.2020 – Luigi Oliveri


Il Governo sembra voler puntare sullo smart working nella Pubblica amministrazione, ma non mancano resistenze a questo importante cambiamento

Dalla volontà di rilevare la presenza mediante impronte digitali o analisi dell’iride alla logica del risultato e del lavoro agile. In pochi mesi il Governo (che in questi mesi ha anche cambiato colore) cambia di 180 gradi, almeno a parole, la politica del lavoro pubblico, passando da velleità di controllo formale influenzato da logiche di contrasto ai “furbetti” non prive di connotazioni populiste, alla scommessa sulla digitalizzazione, sulla capacità di valutare i risultati e sullo smart working.
È questo il messaggio che si coglie nelle dichiarazioni alla stampa rilasciate nei giorni scorsi dall’inquilina di Palazzo Vidoni, Fabiana Dadone. Per la prima volta, da anni, da quegli uffici si sente affermare: “Abbandoniamo il feticcio del cartellino, le polemiche sui furbetti, e iniziamo a far lavorare per obiettivi, con scadenze giornaliere, settimanali, mensili”. Sarebbe un passo decisivo verso una Pubblica amministrazione davvero nuova, verso una concezione del lavoro adeguata agli inevitabili adattamenti imposti dalle tecnologie e dai tempi.
Inutile negarlo: tra i costi che affrontano cittadini e imprese, nel loro rapporto con la Pa, oltre a imposte e tasse, vi è il tempo che si impiega per l’accesso personale a uffici e sportelli. Tempo e costo degli spostamenti, tempo e costo per l’attesa in fila, tempo e costo per la relazione diretta presso l’ufficio, tempo e costo per il rientro. Il tutto, peraltro, compresso necessariamente entro le fasce dell’orario di “ricevimento del pubblico”, che stringono il collo di bottiglia, rendono le file più assembrate e scomode, allungano a dismisura gli slot per l’attesa.
Chiunque abbia chiesto una carta di identità elettronica sa esattamente di cosa stiamo parlando: sperare di poter fissare un appuntamento prima di molte settimane è utopia, immaginare di poter ottenere la carta da remoto impensabile.
Il lockdown ha dimostrato che un deciso cambio è possibile. Al di là di tutte le resistenze che in questi anni si sono opposte con estrema fermezza alla semplificazione, alle autocertificazioni, al codice dell’amministrazione digitale, alla digitalizzazione dei servizi, alla flessibilizzazione degli orari, all’applicazione delle regole che debbono favorire un lavoro basato sulla produzione di valore in base a obiettivi misurabili, agli investimenti connessi. Il lavoro agile, che l’articolo 14 della legge 124/2015 aveva provato a rendere obbligatorio per almeno il 10% dei dipendenti pubblici (obiettivo davvero minimale) entro il 2018 ancora fino al 10 marzo 2020 era come la mosca bianca. Con la sua applicazione obbligatoria si è scoperto (ma era facile comprenderlo) che la sua sostanziale inattuazione nella Pa era frutto non di impossibilità oggettiva, ma di pigrizia mentale e di mancanza di volontà.
Certo, non tutto poteva funzionare a dovere. L’assenza di investimenti ha prodotto il paradosso che il legislatore abbia implorato i dipendenti pubblici di mettere a disposizione i loro pc, i loro smartphone, le loro connessioni, mentre non tutti gli applicativi informatici erano pienamente disponibili in rete; allo stesso modo, mancavano reti virtuali efficienti e sicure. Ma, in pochi giorni, le Pa hanno compiuto passi da gigante, tutti quei passi che nei cinque anni precedenti si erano ostinate a non compiere.
Il ministro Dadone sembra aver compreso quel che occorre, per evitare di perdere l’abbrivio derivante dalla disgrazia della pandemia. Ha affermato che il lavoro agile “non si tradurrà solo in un ‘lavorare da casa’, ci saranno anche delle postazioni di co-working”. Condivisibile. Il lavoro agile è stato svolto prevalentemente da casa, durante il lockdown, per esigenze di contrasto al contagio, ma a regime non è così che funziona. Il co-working consente al dipendente dell’ufficio A di lavorare anche se si trovi nell’ufficio B, in altra sede, in altro luogo; e potrebbe lavorare persino in una sede privata, considerata idonea e sicura. Si pensi alla possibilità per le grandi città di evitare il traffico e l’inquinamento dovuto a spostamenti di dipendenti pubblici da un quadrante all’altro, senza incidere sull’efficienza.
Correttamente, l’inquilina di Palazzo Vidoni pone l’accento sulla necessità di “un cambio di mentalità, nella formazione del personale e nel ruolo dei dirigenti. Chi lavorerà in smart-working e per quanto tempo lo decideranno in autonomia le diverse amministrazioni” e sulla necessità che gli investimenti vadano “in questa direzione, per fare formazione e dotare di strumenti adeguati la Pubblica amministrazione”.
Il cambio di mentalità è fondamentale. Il primo nemico del lavoro agile, che è indispensabile per la semplificazione, la dematerializzazione degli atti e la digitalizzazione dei procedimenti, è proprio la pigrizia mentale. Le resistenze contro lo smart working non mancheranno e si sono, del resto, manifestate anche durante il lockdown. Troppi decisori politici, ma anche troppi dirigenti pubblici sono abbarbicati a una concezione obsoleta del lavoro, secondo la quale esso è da riconnettere necessariamente allo scambio “io ti do lo stipendio a fronte del tuo obbligo di mettermi a disposizione un certo numero di ore del tuo tempo”. Il lavoro viene concepito esclusivamente come atto di sottomissione a uscire di casa, affrontare uno spostamento fisico, entrare nella sede di lavoro, “timbrare” il cartellino, restare fisso in sede e poi “timbrare” in uscita, con “il presidio” del posto come feticcio, consolatorio e spesso financo sostitutivo della concreta e utile attività.
Quanti sono i dipendenti addetti a sportelli decentrati, ai quali non accedono che pochissimi utenti, posti accanto a telefoni che non squillano, intenti ad attività di nessun valore concreto. Quanti svolgono la propria attività senza una chiara predeterminazione dei risultati o prodotti da conseguire, senza una determinazione di tempi standard e indicatori di qualità, senza chiari obiettivi da cogliere. Il tutto, perché la Pa si è troppo abituata a vivere nel giorno per giorno, senza programmazione, senza valutazione dei risultati.
Lo smart working è lo strumento fondamentale per abbandonare queste logiche “analogiche” del lavoro, peraltro inefficienti visto che non sono servite a evitare, appunto, il fenomeno dei “furbetti” del cartellino, possibile solo perché esclusivamente in uffici nei quali non si sa che cosa facciano i dipendenti questi si possono assentare senza farsene accorgere.
Attenzione, quindi, alle resistenze. Il decreto “rilancio” all’articolo 263 consente un parziale allentamento del lavoro agile, in funzione della riduzione della rigorosità delle misure di distanziamento sociale, ma già in tantissime amministrazioni lo si legge come una sorta di “liberazione dallo smart working”, con tanto di esultanza per il “rientro in ufficio”. Il cambio di mentalità e gli investimenti, dei quali saggiamente parla il ministro, sono la chiave. Ma, anche una decisa azione contro chiunque, dal politico al dirigente, mostri di tirare indietro in un’inaccettabile lotta di retroguardia contro il lavoro agile, è un elemento da considerare imprescindibile.

Buoni pasto 4° trimestre 2019 e 1° trimestre 2020 – Richiesta notizie

I dipendenti regionali sono in attesa di ricevere i buoni pasto relativi ai periodi indicati in oggetto.

Informalmente si è appreso che è scaduto il contratto con la Day Ristoservice S.p.A. e non si sarebbe ancora perfezionato il contratto con la nuova società cui affidare il servizio.

Per quanto sopra si chiede di essere informati dei motivi del ritardo e sulla tempistica di liquidazione.

Certi di un sollecito riscontro.

Concorso riservato agli “interni”: legittimo il criterio che favorisce maggiormente il servizio svolto all’interno dell’Ente

tratto da entilocali-online.it
Concorso riservato agli “interni”: legittimo il criterio che favorisce maggiormente il servizio svolto all’interno dell’Ente
15Mag, 2020 by Redazione
Nella Sentenza n. 146 del 12 febbraio 2020 del Tar Veneto, la controversia scaturiva dal ricorso presentato da un dipendente avverso il provvedimento del Comune, con cui veniva approvata la graduatoria relativa alla selezione interna per la copertura di n. 12 posti di categoria D1 di “istruttore direttivo per i servizi istituzionali e di supporto agli organi di governo dell’ente”, oltre agli atti presupposti. In particolare, la ricorrente, partecipante alla selezione, ha lamentato che la Commissione di concorso avrebbe, illegittimamente, deciso di non valutare nell’ambito del servizio pregresso, ai fini dell’attribuzione del relativo punteggio, l’esperienza maturata presso altre Amministrazioni. I Giudici hanno statuito che la scelta operata dalla Commissione non risulta inficiata da irragionevolezza o arbitrarietà, laddove si è scelto di valorizzare, nella determinazione dei titoli di servizio rilevanti ai fini dell’attribuzione del punteggio per la relativa categoria, il servizio interno all’Ente che ha bandito la procedura selettiva. Si tratta di una scelta che risulta coerente con le argomentazioni sviluppate nella Delibera di approvazione del Regolamento per le selezioni interne (che espressamente richiama tale Delibera) con la quale il Comune, dando conto dell’esigenza di introdurre più moderni strumenti di valutazione del personale e di ottimizzare le risorse umane, stabiliva di dare adeguato spazio alla valutazione della specifica esperienza acquisita all’interno dell’Ente. Ciò non appare palesemente irragionevole, né arbitrario, trattandosi di una scelta che risponde effettivamente all’obiettivo di ottimizzazione delle risorse umane disponibili (in quanto valorizza la specificità delle conoscenze acquisite) e che, d’altro canto, non appare neppure discriminatoria in quanto:
  • la specifica valorizzazione dell’esperienza maturata nell’Ente di appartenenza viene effettuata con riguardo alle sole procedure di selezione interna, con esclusione quindi di ogni valutazione comparativa tra il personale dell’ente e soggetti provenienti dall’esterno;
  • tale specifica valorizzazione non esclude che, comunque, siano state prese in considerazione anche le esperienze maturate presso altre Amministrazioni pubbliche, con la differenza che queste ultime sono state valutate nell’ambito della diversa categoria relativa al curriculum;
  • non emerge neppure una sproporzione tale, tra i punteggi attribuiti per l’una e per l’altra categoria, da evidenziare per ciò solo l’arbitrerietà/discriminatorietà dei criteri applicati.
In sintesi, pertanto, risulta essere stata, effettivamente, valorizzata l’esperienza interna, senza una sostanziale pretermissione della valutazione dell’esperienza in altri Enti pubblici.

Niente affascina cacicchi, assessori, funzionari quanto la frase “Dottò, se pijamo ‘n caffè pe’ parla’ de quaa pratica? Nun se po’ fa’ gnente pe’ accelerarla? ….. Nella PA i sogni digitali muoiono all’alba della Fase 2 (di Luigi Oliveri)

Vi segnalo un articolo interessante di Luigi Oliveri sottoponendo alla vostra attenzione alcuni dei punti più rilevanti di suddetto articolo.
Potete leggere l’articolo integralmente cliccando sul link che trovate in fondo alla pagina.

Nella PA i sogni digitali muoiono all’alba della Fase 2

di Luigi Oliveri

Moltissime pubbliche amministrazioni non vedono l’ora di far partire anch’esse la “fase 2”, con tanti saluti al lavoro agile.
Niente affascina cacicchi, assessori, funzionari quanto la frase “Dottò, se pijamo ‘n caffè pe’ parla’ de quaa pratica? Nun se po’ fa’ gnente pe’ accelerarla?“. È il “contatto diretto” con il geometra, il consulente, l’avvocato, l’intermediario, che dà l’inebriante senso del “potere”, di “contare” qualcosa.
La “pratica” va fatta comunque, nel rispetto dei principi costituzionali di buon andamento, imparzialità e servizio nell’esclusivo interesse della Nazione. Ma, sentirsi presi per il braccio ed importanti, per la possibilità di “accelerare”, è impagabile.
L’emergenza COVID-19 avrebbe indicato alla PA un antidoto molto importante nei confronti di questo modo peloso di intendere i rapporti con i cittadini: il lavoro agile.
Inviso a chi, incapace di piani di lavoro idonei a determinare risultati misurabili, pensa che l’attività lavorativa sia quel qualcosa di indefinito tra una timbratura in entrata ed una in uscita, purché comunque si sia “presenti in servizio”; e a chi ha proprio tanto bisogno di quegli ammiccamenti, di quelle “riunioni di lavoro”, di quel “volemose bbene, parlamo daa pratica mentre se famo du’ spaghi“.
C’è una “fase 2” per la PA, ovvero una norma che dal 4 maggio preveda l’abbandono del lavoro agile e la totale riapertura totale degli uffici? Per nulla. Il 29 aprile è stata pubblicata la legge 27/2020, di conversione del d.l. 18/2020, che conferma, all’articolo 87, che il lavoro agile è (deve essere, non si tratta di una facoltà) la forma ordinaria di lavoro nella PA; il 26 aprile, il Dpcm sulla “fase 2” (o 1,5) aveva già confermato che nel lavoro pubblico si deve restare in smart working……continua a leggere

Taglio pensioni, il crollo del Pil per il coronavirus riduce del 3% gli assegni futuri

L’epidemia di coronavirus, che sta mettendo in ginocchio l’economia italiana, non risparmierà nemmeno i pensionati. Il crollo del Pil (le previsioni per l’intero 2020 oscillano tra il -8% del recente Documento di Economia e Finanza e il -9,5% stimato dalla Commissione Europea) ha infatti l’effetto di limare gli assegni pensionistici di chi lascerà il lavoro nei prossimi anni. Anzi, lo tsunami del Covid-19 si abbatterà sugli assegni pensionistici già dal prossimo anno. In caso di crollo del Pil dell’8% a fine anno il taglio delle contributive potrebbe arrivare fino al 3%.