Dal D.L. Cura Italia al D.L. Rilancio: come cambia il lavoro nella P.A. attraverso il lavoro agile

tratto da quotidianogiuridico.it
Dal D.L. Cura Italia al D.L. Rilancio: come cambia il lavoro nella P.A. attraverso il lavoro agile
lunedì 25 maggio 2020
di Rossi Stefano – Ispettore del lavoro presso la ITL di Bari e Dottorando presso l’Università di Taranto.

Estratto dell’articolo che puoi leggere integralmente sul link che segue:

Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi dell’epidemia in corso, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. e), DPCM 8 marzo 2020 – disposizione la cui efficacia è stata estesa dall’art. 1, comma 1, DPCM 9 marzo 2020 all’intero territorio nazionale – il legislatore ha anzitutto raccomandato «ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere […] la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi di congedo ordinario e di ferie».
Al medesimo scopo, ma tenendo conto al contempo dell’esigenza di salvaguardare la continuità dell’azione amministrativa, l’art. 1, n. 6, DPCM 11 marzo 2020 ha disposto che, sull’intero territorio nazionale, «le pubbliche amministrazioni assicurano lo svolgimento in via ordinaria delle prestazioni lavorative in forma agile del proprio personale dipendente, anche in deroga agli accordi individuali e agli obblighi informativi di cui agli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81 e individuano le attività indifferibili da rendere in presenza».
D’interesse è anche la Direttiva del Ministro per la pubblica amministrazione 12 marzo 2020, n. 2, recante «Indicazioni in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165» – che ha provveduto a sostituire la Direttiva 25 febbraio 2020, n. 1 – secondo la quale le P.A., di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001, devono ridurre la presenza dei dipendenti pubblici negli uffici e evitare il loro spostamento. Inoltre, la direttiva precisa che la misura non deve pregiudicare lo svolgimento dell’attività amministrativa da parte degli uffici pubblici, ma anche che è necessario contemperare tale valore con l’interesse alla salute pubblica, pertanto, nell’esercizio dei poteri datoriali le PA assicurano il ricorso al lavoro agile come modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa. Dunque, le stesse sono tenute a limitare «la presenza del personale negli uffici ai soli casi in cui la presenza fisica sia indispensabile […], adottando forme di rotazione dei dipendenti per garantire un contingente minimo di personale da porre a presidio di ciascun ufficio, assicurando prioritariamente la presenza del personale con qualifica dirigenziale in funzione del proprio ruolo di coordinamento». Mentre, «per le attività che, per la loro natura, non possono essere oggetto di lavoro agile, le amministrazioni, nell’esercizio dei propri poteri datoriali, adottano strumenti alternativi quali, a titolo di esempio, la rotazione del personale, la fruizione degli istituti di congedo, della banca ore o istituti analoghi, nonché delle ferie pregresse nel rispetto della disciplina definita dalla contrattazione collettiva».
Norma cardine e di portata generale in materia di pubblico impiego – così la definisce la Direttiva n. 2/2020 – è l’art. 87 d.l. n. 18/2020, che ha subito importanti modifiche in sede di conversionecompletata poi con l’art. 263 d.l. n. 34/2020.
La disposizione, in particolare, in continuità con la precedente normativa emergenziale, afferma che per la durata dello stato di emergenza epidemiologica, ovvero fino ad una data antecedente stabilita con DPCM su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, il lavoro agile è la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nella PA.
L’obiettivo è quindi quello di contemperare la tutela della salute dei dipendenti pubblici, riducendo la loro presenza nei luoghi di lavoro, con l’esigenza di garantire la continuità dell’azione amministrativa per tutte le attività ritenute indifferibili che dovranno, perciò, essere svolte con la necessaria presenza del personale.
Al fine di ovviare ad alcuni di queste criticità, la circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 2/2020 ha fornito indicazioni operative alle PA interessate.
Ribadendo che il lavoro agile rappresenta la forma ordinaria di svolgimento dell’attività lavorativa per i dipendenti pubblici, la circolare chiarisce che la presenza del personale negli uffici deve essere comunque limitata ai solo casi in cui la presenza fisica sia indispensabile per lo svolgimento delle attività strettamente necessarie alla gestione dell’emergenza e le attività indifferibili con riferimento sia all’utenza interna (pagamento stipendi, attività logistiche necessarie all’apertura e la funzionalità dei locali), sia all’utenza esterna. La presenza del personale dovrà essere attuata attraverso forme di rotazione per garantire un contingente minimo di personale da porre a presidio di ciascun ufficio, restando inteso che il dipendente non è autorizzato a non presentarsi al lavoro, ma dovrà essere l’amministrazione a comunicare la specifica modalità di esecuzione della prestazione, anche in riferimento al luogo. Quindi, per lo svolgimento del lavoro agile non dovrà essere il dipendente a farne richiesta, ma dovrà essere l’amministrazione di appartenenza, a disporre lo smart working con modalità semplificate e temporanee di accesso alla misura.
La predetta circolare n. 2/2020 ha fornito anche alcuni chiarimenti operativi: primo, nell’ipotesi di assunzione di nuovo personale il periodo di prova non è incompatibile con la modalità di lavoro agile; secondo, il buono pasto non scatta automaticamente ma sarà necessario un confronto con le organizzazioni sindacali; terzo, il lavoratore agile non ha diritto a prestazioni di lavoro straordinario.
Tornando al tema dell’individuazione delle attività indifferibili, è stata emanata, all’indomani della conversione del d.l. n. 18/2020, la direttiva n. 3/2020 del Ministero della pubblica amministrazione chiarendo che il DPCM del 26 aprile 2020 (c.d. “Fase due”), che, per quanto concerne la PA, rinvia all’art. 87 d.l. n. 18/2020, convertito, nel frattempo, con modificazioni, dalla legge n. 27/2020 (artt. 1, lett. gg) e hh) e 2), ha ampliato il novero delle attività economiche non più soggette a sospensione, con conseguente rivisitazione da parte della PA delle attività ritenute nella prima fase come indifferibili. Al riguardo, perciò, per garantire la continuità dell’azione amministrativa dovranno essere selezionate quelle attività da rendere in presenza per assicurare il necessario supporto all’immediata ripresa delle attività produttive, industriali e commerciali.
Tali finalità sono al centro dell’art. 263 d.l. n. 34/2020 secondo il quale le PA adeguano le misure di cui all’art. 87 d.l. n. 18/2020 alle esigenze della progressiva completa riapertura di tutti gli uffici pubblici e a quelle dei cittadini e delle imprese connesse al riavvio delle attività produttive e commerciali.
La novità di rilievo è contenuta nel comma 3 secondo cui le misure di adeguamento della struttura pubblica alle finalità della continuità dell’azione amministrativa, della celere definizione dei procedimenti e, non da ultimo, della tutela della salute dei dipendenti, sono valutate ai fini della performance.
Quanto alla tutela della salute e sicurezza dei dipendenti pubblici, le Amministrazioni, in relazione al rischio specifico ed anche sulla base dell’integrazione al documento di valutazione dei rischi, dovranno identificare le misure organizzative di prevenzione e protezione, adeguate al rischio di esposizione a SARS-COV-2, nell’ottica sia della tutela della salute dei lavoratori sia del rischio di aggregazione per la popolazione, coerentemente con i contenuti del documento tecnico approvato dal CTS nella seduta del 9 aprile 2020 e dello specifico protocollo di sicurezza sottoscritto dalle parti sociali il 4 aprile 2020.