La Regione torna ad assumere”. Tornano i concorsi, a 20 anni dagli ultimi

“Dopo l’ultimo concorso che risale al 1991 e i successivi anni scanditi dal blocco delle assunzioni votato dal precedente Governo, anche da chi oggi si permette di sentenziare sul mio operato, rispondo con i fatti: grazie al nostro lavoro bandiremo nuovi concorsi all’interno della Regione Siciliana. Il primo bando partirà in autunno per specifiche figure professionali di cui si ha esigenza, in coerenza con il piano dei fabbisogni che sottolineo è stato da noi fatto per la prima volta. Nel 2021 saranno assegnate altre unità, oltre le 706 assunzioni del 2020 per il potenziamento dei Centri per l’Impiego – si ricorda che l’espletamento è delegato alla Funzione Pubblica. Seguiranno altri bandi, man mano che ci saranno i pensionamenti”. Così afferma l’Assessore regionale delle Autonomie locali e della Funzione Pubblica, on. Bernardette Grasso.

Tamburi di guerra negli uffici

Sotto la superficie delle parole e delle cose c’è una verità facilmente comprovabile: il presidente Nello Musumeci, che accusa un giorno sì e l’altro pure i dipendenti regionali di essere “grattapancia” e “fannulloni”, non ha fatto nulla in due anni e mezzo di governo per invertire la rotta di una macchina burocratica che funziona poco e male.

Nello Musumeci è – formalmente – il presidente di questa squadra di “inetti e incapaci” chiamata burocrazia regionale. E’ il governatore, ogni anno, a impartire le direttive agli assessori che, a cascata, le trasmettono ai dirigenti generali, a quelli di struttura e, infine, ai dipendenti. Una squadra, tuttavia, che ogni anno, mantiene una performance da Champions League.

Perché non si facciano i concorsi è un mistero che nessuno ha voglia di svelare, tranne poche voci libere. Che riconoscono il profondo “legame” tra istituzioni e lobby, soprattutto in materia di consenso. La casta dei dipendenti, come spiega Emanuele Lauria in un editoriale su Repubblica, è infatti “un bacino elettorale da coccolare a ogni appuntamento con le urne”. Lo era per Cuffaro, per Lombardo e in parte anche Crocetta. Mentre Musumeci, a metà mandato, ha deciso di fare il duro: valutando, probabilmente, che è più redditizio cedere al populismo anziché alla “casta”; e che non è possibile procedere a una riclassificazione del personale senza concorso (su cui s’impuntano alcune lobby), o la Corte dei Conti si insospettirebbe per davvero. Così ha cambiato registro.