Lo smart working non è telelavoro
Durante il lockdown, in tanti utilizzavano l’espressione “Niente sarà più come prima!”, convinti non si sarebbe tornati indietro da alcuni cambiamenti imposti dal Covid-19 (dalle mascherine allo smart working).
E invece, perdurando ancora l’emergenza, assistiamo sempre più spesso a tentativi di ritorno al passato. È quello che sta succedendo in molte pubbliche amministrazioni che si stanno affrettando a riportare in ufficio tutti i dipendenti, nonostante l’emergenza non sia cessata.
Ci sono stati già vari casi di Ministeri, Università, Comuni ed Enti che hanno revocato la modalità di lavoro agile per tutto il personale.
Tutti casi segnalati immediatamente dalla Federazione Lavoratori Pubblici (FLP) e dalla Confederazione indipendente Sindacati Europei (CSE) al Dipartimento della Funzione Pubblica di Palazzo Chigi, che ha richiesto chiarimenti alle amministrazioni interessate in considerazione delle norme vigenti.
Nelle prossime settimane vedremo sempre più iniziative di questo tipo.
L’incapacità di comprendere la cultura e le potenzialità dello smart working è purtroppo comune a troppi manager del pubblico e del privato. Le polemiche sullo smart working, infatti, rivelano una visione ottocentesca del lavoro e della sua organizzazione basata sul controllo.
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