Il mito della “meritocrazia” che produce il suo opposto

Il mito della meritocrazia assurto come principio ordinatore di una società giusta, è, in realtà, nient’altro che la legittimazione morale della diseguaglianza.

Cosa intendiamo esattamente per merito? Aver superato il concorso? Aver preso la laurea? Essere diventato notaio, chirurgo, deputato? Essere ricco, di successo e bello? Ecco, giudicare il merito sulla base dei risultati è chiaramente una scorciatoia. Un bel principio applicato decisamente male. E, si sa, in questi casi i costi sono sempre maggiori dei benefici. Perché, se applichiamo acriticamente la retorica della meritocrazia che ci porta a pensare che dobbiamo premiare, socialmente, economicamente, politicamente, chi ce l’ha fatta, il passo successivo è l’equivalenza per la quale premiare chi ce la fa implica punire chi, invece, non ce la fa. Se manchi la promessa di Obama secondo cui «chi ci prova ce la fa» e tu non ce la fai, allora vuol dire che, in fondo, non ci ha provato abbastanza e la colpa del fallimento è solo tua. Eppure, è come se questo schema iniziasse a mostrare i primi segni di malfunzionamento.