Lo smart working non può essere ridotto ad un mero benefit

Sul Sole 24 Ore, il sempre ottimo Gianni Trovati, con l’articolo “Pa, per lo Smart Working niente categorie prioritarie” rende noto che la contrattazione nazionale collettiva ha eliminato dalle bozze la previsione di corsie preferenziali allo smart working per categorie come i genitori di bambini fino a tre anni, portatori di handicap o chi assiste famigliari disabili.

Le bozze del Ccnl Funzioni Centrali stavano trasformando il lavoro agile, anzi travisandolo, in una sorta di misura di welfare.

Il lavoro agile è un sistema di organizzazione del lavoro, capace di conciliare esigenze di produttività dell’impresa e interessi dei lavoratori a svolgere la propria attività senza vincoli di luogo e tempo, ma di risultato.

L’articolo 18 della legge 81/2017 sul punto appare chiarissimo: “Le disposizioni del presente capo, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato”.

Senza troppa necessità di ribadire, come invece stato fatto, con leggi, decreti, circolari, linee guida, che scopo del lavoro agile è aumentare l’efficienza (altro modo di concepire la “competitività” di cui parla la legge), sarebbe stato sufficiente tenere presente questo elemento per lasciare ai datori, pubblici e privati, modo di scegliere se, come e in che misura organizzare il lavoro agile. Abbandonando i tanti slogan (“mai più sportelli chiusi per smart working”) e comprendendo che il lavoro agile accompagna verso una modalità di espletamento del lavoro che inevitabilmente si libera da vincoli.

La progressiva digitalizzazione delle attività, digitalizza anche i risultati da esse derivanti e, dunque, anche il lavoro.

Una dimostrazione semplicissima, che va a dimostrare la progressiva inutilità della presenza di lavoratori agli sportelli: i biglietti del treno. La possibilità di comperarli attraverso i portali in rete, rende ormai del tutto marginali gli “sportelli” ove gli addetti alla biglietteria non ci sono quasi più, anche perchè le macchine erogatrici nelle stazione, connesse a loro volta alla rete, permettono di acquisire i biglietti anche ai meno “smanettoni” in internet.

Di questa china si sono accorte da tempo le agenzie di viaggi, le compagnie aeree, gli alberghi, i venditori.

Ma, se ne sono accorti anche i clienti, liberati dalla necessità di andare in giro, inquinando, cercando posteggio per i mezzi privati o affollando mezzi pubblici, sottraendo sì tempo alle proprie esigenze familiari o al lavoro (per la necessità di prendere permessi): i clienti adesso acquisiscono biglietti, prenotazioni, beni, servizi da remoto.

Si è tradotta l’espressione smart working con lavoro agile; in realtà si dovrebbe utilizzare una perifrasi più ampia: lavoro reso in modo intelligente e pratico. Il cui beneficio finale non è nè solo del lavoratore, dispregiativamente tacciato come uno che “sta a casa” invece di “andare a lavorare; nè solo del datore, che riorganizzandosi accorcia i processi produttivi, investe in tecnologia, risparmia sui costi energetici e patrimoniali, raggiunge molti più clienti; è, soprattutto, dei clienti e degli utenti, in ultima analisi di tutti.

Ecco perchè è bene che la contrattazione collettiva pubblica esca dall’equivoco di considerare il lavoro agile come un benefit.