Smart working. La circolare di Brunetta non risolve i problemi organizzativi nel lavoro pubblico

Innanzitutto va detto che la circolare non ha, e del resto non essendo una fonte di produzione del diritto, non poteva, introdotto modifiche sostanziali al contenuto del dm 8 ottobre 2021 ed alle linee guida attuative. L’atto si limita ad esplicitare sostanzialmente due concetti. In primo luogo, chiarisce cosa si intenda per «rotazione» dei dipendenti.

In sostanza, secondo la circolare, il dipendente «ruota» con se stesso tra giornate lavorative rese in sede e giornate lavorative svolte in lavoro agile. Dunque, lavoratore e datore pubblico di fatto sono messi nelle condizioni di concordare un calendario di smart working potenzialmente annuale, nel quale la prevalenza dell’attività lavorativa garantisca che su 220 giornate lavorative, se ne possano svolgere in smart working mai più di 109.

In secondo luogo, la circolare evidenzia che la possibilità di concordare col singolo lavoratore un lavoro agile per periodi mensili o anche annuali, implica anche la contemporanea collocazione in lavoro agile del 100% (potenzialmente) dei dipendenti. Se, da un lato, questa interpretazione rende «flessibile» la gestione nell’immediato, la complica non di poco in prospettiva annuale. Né il permanere del principio della prevalenza del lavoro in sede garantisce gli esiti di tale prevalenza: che accadrebbe, infatti, se nel corso dell’anno si ripresentasse un’altra ondata di contagi e una certa p.a., assentiti 3-4 mesi di lavoro agile, dovesse, per ragioni di interesse generale, garantirne altri 3-4, sforando il tetto massimo?

In ogni caso, la circolare non si occupa dei due principali problemi operativi.

Il primo è dato dalle pesanti condizioni poste dal dm 8/10/2021, che ammette il ricorso al lavoro agile solo se si garantisca di non pregiudicare i servizi, si dotino i dipendenti di strumenti e connessioni remote, si assicuri la sicurezza dei dati e l’accesso agli applicativi da cloud o Vpn o desktop remoti, si formi il personale, si adottino connessi piani di smaltimento dell’arretrato. La circolare non dà spazio alla possibilità di avvalersi dello smart working in assenza di tali condizioni: il rischio che molte p.a. estendano, quindi, il lavoro agile non curandosi delle condizioni disposte è molto elevato (ma, del resto, non è chiaro chi e come potrebbe controllare il corretto adempimento delle condizioni).

Il secondo problema operativo è dato dalla necessità di sottoscrivere l’accordo individuale (anch’esso tra le condizioni imposte dal dm). Nel lavoro agile «emergenziale» vigente fino al 14 ottobre 2021, l’accordo non era necessario (come non lo è nel settore privato, fino al 31 marzo). Il che consentiva al datore pubblico di far prevalere ragioni ed esigenze organizzative e, quindi di disporre unilateralmente quali e quanti dipendenti ritenesse in lavoro agile. Tale autonomia organizzativa è, invece, impossibile con la necessità dell’accordo. Il datore, anche se programmasse di disporre in lavoro agile il 100% dei dipendenti di un certo ufficio, per ragioni di cautela connesse all’insorgere di un cluster o per i troppi «contatti stretti», potrebbe non riuscire nell’intento, laddove non tutti i dipendenti fossero disponibili a sottoscrivere l’accordo. Per non parlare, poi, dei problemi operativi connessi alla necessità di singole e plurime trattative individuali e alle complesse modalità per sottoscrivere – magari d’urgenza – molteplici accordi.