Poche risorse e nessun incentivo economico e di carriera. Inaccettabili per il Cobas/Codir le “Linee di indirizzo per la formazione del personale 2022-2024 in assenza di contratto”

Palermo, 10 agosto 2022
Il Cobas/Codir ha bocciato le “Linee generali per la pianificazione della formazione del personale regionale, triennio 2022-2024, presentate ieri pomeriggio in sede di confronto sindacale presso il Dipartimento della Funzione Pubblica.
Sembra la solita e obsoleta proposta di pianificazione della formazione basata sul rilevamento del fabbisogno formativo da parte dei Referenti formativi di ciascuna delle Strutture apicali i cui limiti, nei criteri di scelta del personale da formare, sono stati più volte evidenziati nel corso degli anni.
La novità del nuovo piano riguarda l’individuazione di ambiti tematici ritenuti prioritari dall’amministrazione: Contabilità regionale, Codice degli appalti, Gestione fondi comunitari, Competenze digitali, etc. Con uno stanziamento striminzito di risorse nel bilancio regionale (200 mila €, lo 0,03% della massa salariale) e con le risorse del Piano emergenziale che tardano ad arrivare.
Inoltre, contrariamente a quanto sta avvenendo a livello nazionale, non è stato presentato fino a oggi un piano strategico per la valorizzazione e lo sviluppo del capitale umano dell’amministrazione regionale attraverso il rinnovo del contratto.
A livello nazionale, infatti, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza individua prioritariamente nelle persone il motore del cambiamento e dell’innovazione nella Pubblica amministrazione. Lo sviluppo delle competenze dei dipendenti pubblici rappresenta una delle principali direttrici dell’impianto riformatore avviato con il decreto-legge 80/2021.
Il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, firmato il 10 marzo 2021 tra il Presidente del Consiglio, il Ministro per la Pubblica amministrazione e i sindacati, ha individuato nella formazione un “diritto soggettivo del dipendente pubblico” e un “investimento organizzativo necessario” nell’ambito delle politiche relative al lavoro pubblico.
«Alla fine di ogni percorso», secondo quanto comunicato dal ministero per la Pubblica Amministrazione, «sarà rilasciata una certificazione che alimenterà il “fascicolo del dipendente” che sarà una sorta di “portafoglio” delle competenze di ogni dipendente pubblico. Una fotografia completa della carriera, delle competenze e della formazione. Tutti elementi che avranno un impatto rilevante sulle promozioni e sullo stipendio dei lavoratori pubblici così come previsto dai meccanismi di progressione orizzontale e verticale introdotti dal nuovo contratto collettivo di lavoro dei ministeri.
In definitiva, a parere del Cobas/Codir, l’irrisorietà della spesa programmata per la formazione e il mancato rinnovo del contratto con la previsione della valorizzazione del personale che arricchisce le proprie competenze partecipando all’attività formativa, sono condizioni ostative all’apprezzamento del piano per la formazione.

Tfs-Tfr statali, la tassa occulta taglia la buonuscita. Rinnovato l’accordo sul prestito di 45 mila euro

Tratto da PAmagazine

Il tempo è ormai scaduto. Quella che poteva essere considerata un’intollerabile ingiustizia, adesso si trasforma anche in un enorme danno economico per centinaia di migliaia di famiglie. Il pagamento del Tfs (trattamento di fine servizio) o del Tfr (Trattamento di fine rapporto) ai dipendenti della Pubblica amministrazione è un’emergenza. La questione è nota, anche se sistematicamente ignorata dai governi che si sono succeduti negli ultimi dieci anni. I lavoratori pubblici, gli uomini e le donne che mandano avanti la macchina statale, dagli infermieri ai poliziotti, dagli insegnanti ai vigili urbani, quando vanno in pensione ricevono la loro “liquidazione” fino a cinque anni dopo aver finito il loro servizio per lo Stato. Si tratta di una misura introdotta per salvare l’Italia dalla crisi dello spread del 2011, quando fu deciso che uno dei prezzi più alti di quella stagione di austerity dovesse essere pagato dal pubblico impiego.

LA TASSA OCCULTA

Ma adesso c’è un fatto nuovo. Una circostanza che rende intollerabile ed economicamente inaccettabile mantenere in piedi questa misura punitiva per i dipendenti pubblici: l’inflazione. Negli ultimi dieci anni i prezzi non sono aumentati. Il caro-vita è stato inesistente. La Banca centrale europea ha tenuto i tassi a zero e per un certo periodo addirittura negativi. I dipendenti pubblici hanno ricevuto il loro Tfs e il loro Tfr tra i due e i cinque anni dopo il pensionamento, hanno dovuto attendere ma non ci hanno rimesso. Ora con l’inflazione superiore all’8 per cento subiranno una penalizzazione, dopo aver lavorato per quaranta anni, ingiustificabile. Chi, per fare un esempio, andasse in pensione quest’anno avendo maturato 100 mila euro di Tfs o di Tfr, supponendo nel migliore dei casi che ricevesse la liquidazione tra due anni, è come se ottenesse 86 mila euro con un’inflazione all’8 per cento annuo. Insomma, sarebbe quanto meno necessario intervenire riconoscendo una rivalutazione delle somme pagate in ritardo con un meccanismo simile a quello delle pensioni.

L’ACCORDO BEFFA

Per adesso, invece, il governo ha deciso semplicemente di rinnovare per altri due anni il cosiddetto “anticipo” fino a 45 mila euro. I dipendenti pubblici possono chiedere alle banche convenzionate un prestito fino a 45 mila euro del loro Tfs-Tfr, a un tasso d’interesse “calmierato” fissato allo 0,4 per cento. Le banche, secondo la convenzione firmata dal governo e dall’Associazione bancaria, non possono applicare ai richiedenti altre commissioni. Resta la peculiarità, per usare un eufemismo, della necessità per i dipendenti pubblici di dover ricorrere a un prestito per ottenere soldi che di fatto sono loro e che lo Stato dovrebbe versare senza troppi indugi. Una beffa, insomma.

LA CORTE COSTITUZIONALE

La vicenda del pagamento ritardato del Tfs-Tfr da parte dello Stato è già arrivato davanti alla Corte Costituzionale grazie a un ricorso presentato da Unsa-Confsal (che edita questo sito). E cosa hanno detto i giudici? Hanno detto sostanzialmente che il pagamento ritardato della liquidazione è ammissibile se il dipendente ha usato uno scivolo per anticipare la pensione. Per esempio Quota 100. Se il lavoratore ha lasciato il posto a 62 anni, lo Stato può insomma ritardare il pagamento del Tfs-Tfr fino al momento in cui lo stesso lavoratore sarebbe dovuto andare in pensione con i normali requisiti (67 anni). I giudici della Consulta però, hanno mandato un avviso al Parlamento, chiedendo di intervenire sul tema. Il concetto espresso è semplice: se un dipendente lascia il lavoro al compimento dei 67 anni, o una volta raggiunta la contribuzione massima, allora il pagamento del Tfr-Tfs non può essere rimandato. Un invito (ignorato fino ad oggi) a intervenire. Il caso esaminato dai giudici riguardava un pensionamento anticipato. Ma nel momento in cui davanti alla Corte arriverà il caso di un dipendente andato in pensione con i requisiti di vecchiaia o contributivi pieni, la decisione appare scontata. Tanto più che ora, a danneggiare i dipendenti pubblici, c’è anche la tassa occulta dell’inflazione.