Esibisce una falsa laurea. Scoperto dopo 26 anni, è condannato a restituire tutti gli stipendi

Tratto da ius & management

Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Lombardia, sentenza n. 214 del 8 agosto 2022

Il Procuratore regionale ha promosso azione di responsabilità nei confronti del sig. X per un danno arrecato al Comune di Z, a titolo di dolo, per effetto delle retribuzioni fraudolentemente percepite in forza di rapporto di lavoro costituito a seguito di falsa certificazione del possesso di diploma di laurea richiesto dal relativo bando di concorso pubblico.

Il convenuto partecipava al concorso dichiarando il possesso del diploma di laurea e producendo copia conforme del certificato di laurea in Giurisprudenza conseguita in data 18.11.1992 con votazione 110/110; la conformità risultava certificata dall’ufficiale d’anagrafe del Comune di Y (BS) in data 21.11.1994, con timbro recante la dichiarazione “è copia autentica conforme al suo originale a me esibito”, firma in originale e un bollino di color viola con la scritta “diritti di segreteria lire 500”;

In data 2.11.2020 il Comune X riceveva riscontro negativo dall’Università in merito al possesso del diploma di laurea.

In tema di prescrizione la produzione di documentazione falsificata (nella fattispecie, copia del certificato di laurea in giurisprudenza), attestante il conseguimento di un titolo di studio richiesto per l’accesso al posto messo a concorso dall’amministrazione pubblica, determina una forma di occultamento doloso del danno, avendo lo scopo di ingannare l‘amministrazione circa il possesso del titolo richiesto, con conseguente differimento del dies a quo del termine prescrizionale al momento della scoperta dell’occultamento medesimo (conforme Corte dei conti, Sezione seconda centrale di appello, n. 568/2018; idem n. 625/2015; Sezione prima centrale di appello, n. 146/2015).

Su questo punto e su quello che precede, si rimanda a Sezione giurisdizionale Lombardia, sentenza n. 272/2019, secondo cui “la giurisprudenza di questa Corte, su tale punto, è univoca nello statuire (cfr., ex multis, C. conti, III centrale, n. 279 del 26/10/2001 e n. 151 del 20.2.2004; id., appello Sicilia n. 154/2006; id., II centrale, n. 430 del 26/10/2010; id., Sicilia, n. 1158 del 29/3/2011; id., Campania n.133 del 31/01/2013, cui questa Sezione aderisce: cfr., sez. Lombardia n.280 del 20.11.2013; n. 627 del 2/11/2010 e n. 321 del 13.6.2012), che la prestazione lavorativa resa in assenza di laurea, in quanto non espressione di capacità derivante dalla preparazione professionale conseguita con un regolare percorso di studio, non arrechi all’ente alcuna utilità, se non limitatamente al disbrigo di mansioni lavorative aventi caratteristiche di genericità e fungibilità, quali non sono quelle conferite all’attuale convenuto per le quali, infatti, era richiesto il diploma di laurea in giurisprudenza.

La mancanza dei titoli e delle abilitazioni richiesti comporta il venir meno del rapporto sinallagmatico tra prestazione e retribuzione secondo un costante e condivisibile orientamento (C. conti, sez. Toscana, 3.10.2011 n.363; id., sez.app. Sicilia, 4.5.2011 n.127) che priva di ogni rilievo la circostanza che agli emolumenti percepiti abbiano corrisposto prestazioni effettivamente svolte (Sez. III, n.279 del 26/10/2001 e n. 151 del 20.2.2004; Sez. appello Sicilia n. 154/2006; Sez. II, n. 430 del 26/10/2010; Sez. Sicilia, n. 1158 del 29/3/2011; Sez. Campania n.133 del 31/01/2013; Sez. Lombardia n.280 del 20.11.2013; n.627 del 2/11/2010 e n. 321 del 13.6.2012).

Il convenuto va quindi condannato al risarcimento della somma di euro 918.467,79.