Flat tax, così la “tassa piatta” penalizza i lavoratori dipendenti

Tratto da PAmagazine

Guai ai lavoratori dipendenti, pubblici e privati. La legge di Bilancio 2023 rischia infatti di passare alla storia come la manovra grazie alla quale gli autonomi (professionisti e artigiani) hanno doppiato (dal punto di vista dei benefici) il mondo del lavoro condotto sotto l’amministrazione di un sostituto d’imposta. L’esecutivo ha alzato da 65 mila a 85 mila euro il tetto sotto il quale gli autonomi possono applicare la flat tax del 15 per cento. Un bel regalo per il popolo delle partite Iva, considerato che, su quella quota di reddito, un dipendente versa l’aliquota marginale più elevata del 43 per cento.

Le simulazioni

Una divaricazione di trattamento che produce evidenti disparità nella tassazione. Un esempio: un professionista di Roma con ricavi pari a 85 mila euro (e quindi redditi pari a 53 mila e 703 euro) pagherà con la nuova flat tax 8 mila e 55 euro contro i 18 mila e 19 euro dei dipendenti. In pratica il professionista pagherà meno della metà degli altri lavoratori. Di tutto rispetto il vantaggio anche per un lavoratore autonomo che guadagna 75 mila euro. Nel suo caso, la flat tax che sale a quota 85 mila euro vuol dire un taglio secco delle imposte da 2 mila 800 euro. Una possibilità della quale un lavoratore dipendente non potrà godere. Se si sposta l’obiettivo sulla flat tax “incrementale” si può osservare che i benefici tributari possono essere potenzialmente anche maggiori. La norma consente di applicare il 15 per cento di prelievo sugli incrementi di reddito riferiti agli ultimi tre anni. Con tre vincoli: l’incremento non deve essere superiore a 40 mila euro, c’è un forfait del 5 per cento sulla base imponibile e tra i tre anni precedenti (rispetto a quello ultimo in cui il reddito è stato il più alto) bisogna prendere come riferimento quello collegato al reddito maggiore.

Ad esempio,  ipotizziamo un professionista con un reddito del 2023 pari a 100 mila euro e redditi registrati nel triennio precedente pari a 65 mila euro nel 2020, 70 mila nel 2021 e 75 mila nel 2022. La quota incrementale di reddito è pari a 25 mila euro (100 mila – 75 mila). A questo punto si applica la franchigia del 5% e la base imponibile scende così a 21 mila e 250 euro, sulla quale deve essere applicata la flat tax del 15%. Sulla restante quota di reddito (78 mila e 750 euro) resterà ferma l’imposizione progressiva (con Irpef pari a 26 mila e 763 euro, oltre addizionali). La tassazione complessiva, in questo caso, è pari a 29 mila e 950 euro. Nel caso in cui venisse applicata la tassazione ordinaria Irpef l’imposta sarebbe pari a 35 mila e 900 euro. Il vantaggio derivante dall’applicazione della flat tax incrementale è così pari a 5 mila 950 euro rispetto ai lavoratori dipendenti. Viene da sé osservare che la scelta della flat tax incrementale è tanto più conveniente quanto più una partita Iva si avvicina al tetto massimo consentito di 40mila euro.

Pericoli

La convenienza è tanto maggiore quanto si supera lo scaglione più elevato del 43% di Irpef (sopra i 50mila euro), anche in relazione al fatto che la flat tax esonera dal versamento delle addizionali Irpef. Nelle intenzioni del governo, è evidente, la flat tax incrementale dovrebbe generare un meccanismo incentivante a favore di chi crea ricchezza. Questo anche in ottica di favorire la spinta a fatturare ed evitare meccanismi fraudolenti. Tuttavia si prevede che, per cercare di massimizzare i profitti fiscali, molti autonomi cercheranno di far rientrare surrettiziamente, nel perimetro del 2023, alcune fatture maturate in precedenza.