Rinnovo CCRL 2019/2021. L’Aran finalmente ha proposto la bozza completa

L’Aran Sicilia finalmente ha proposto la bozza completa di rinnovo del contratto 2019/2021 che contiene anche la parte dell’ordinamento professionale che è stata elaborata secondo gli attuali stringenti vincoli giuridici ed economici vigenti. Rivisitate le declaratorie delle nuove aree. Le OO.SS. nelle prossime ore effettueranno un’attenta analisi di tutto l’articolato proposto per verificare che siano state recepite tutte le innovazioni possibili che sono state richieste nel corso degli ultimi incontri e in particolare per la possibilità di attivare subito percorsi di carriera con le risorse disponibili.

Per la prossima settimana è prevista la convocazione delle oo.ss. rappresentative per la firma definitiva.

Incontro Aran del 26.03.2024 -Rinnovo CCRL 2019/2021

Oggi l’Aran Sicilia finalmente ha proposto la bozza completa di rinnovo del contratto 2019/2021 che contiene anche la parte dell’ordinamento professionale che è stata elaborata secondo gli attuali stringenti vincoli giuridici ed economici vigenti. Rivisitate le declaratorie delle nuove aree. Le OO.SS. nelle prossime ore effettueranno un’attenta analisi di tutto l’articolato proposto per verificare che siano state recepite tutte le innovazioni possibili che sono state richieste nel corso degli ultimi incontri e in particolare per la possibilità di attivare subito percorsi di carriera con le risorse disponibili. Per la prossima settimana è prevista la convocazione delle oo.ss. rappresentative per la firma definitiva. Seguirà invio della bozza proposta. CGIL CISL UIL SADIRS COBAS/CIDIR SIAD/CSA UGL

Nella Pa il 40% dei dipendenti ha più di 50 anni

Tratto da PAmagazine

Quattro dipendenti pubblici su dieci hanno tra i 50 e i 59 anni. Nella Pa l’età media dei lavoratori ora raggiunge 49,8 anni. Così l’ultimo rapporto dell’Aran. La distribuzione per classi di età del personale della Pubblica amministrazione offre un quadro chiaro. Il 39% degli assunti rientra nella fascia d’età 50-59 anni. Si tratta della percentuale più alta, seguita da quella degli occupati tra i 40 e i 49 anni (26%). Solo il 5% ha un’età compresa tra i 18 e i 29 anni, il 14% ha tra i 30 e i 39 anni e infine il 16% è over 60. I settori maggiormente interessati dalla massiccia presenza di lavoratori tra i 50 e i 59 anni sono quello delle amministrazioni con comparto autonomo o fuori comparto (46% dei lavoratori totali), quello delle funzioni locali (44%) e quello delle funzioni centrali (43%).

I numeri

Salta all’occhio il fatto che a fronte di 1.266.135 dipendenti pubblici tra i 50 e i 59 anni, solo 908 hanno tra i 18 e i 29 anni e poco meno di settemila tra i 30 e i 39. Si tratta di numeri veramente esigui, anche se l’età media dei lavoratori si è ridotta negli ultimi anni. Infatti, dall’analisi dell’andamento dell’età media del personale della Pa nel ventennio che va dal 2001 al 2021 è possibile notare che dopo un periodo di crescita pressoché costante questa ha subito una leggera flessione a partire dal 2018. Ciononostante l’età media dei dipendenti della Pa, nelle elaborazioni dei dati relativi al 2021, resta piuttosto alta, con un picco di 56,7 anni nella carriera penitenziaria. I più giovani? I dipendenti delle forze armate con, in media, 40,7 anni. Dal confronto tra i dati del 2001 e quelli del 2021 si scopre che l’età media del totale dei lavoratori è aumentata, passando da 43,5 a 49,8 anni. Se in tutti i settori si è registrato tale aumento, si legge poi che il campo in cui la differenza tra l’età media del 2001 e quella del 2021 è maggiore è quello di chi è in regime di diritto pubblico, con un incremento medio di più di 10 anni (da 34,4 a 44,8 anni); mentre quello in cui la discrepanza è meno determinante riguarda i lavoratori nell’ambito di istruzione e ricerca, caratterizzato da una differenza di quasi 3 anni e mezzo in media (da 47,2 a 50,6 anni). Ciononostante sono proprio i professori e i ricercatori universitari i dipendenti di PA più anziani d’Italia, con un’età media di 54,8 anni. A seguirli dirigenti (53, 5 anni), docenti scolastici e di istituti AFAM con contratto a tempo indeterminato (52,4 anni), e professionisti, ricercatori e tecnologi (52 anni). Con un’età media di meno di 41 anni, i dipendenti più giovani sono, invece, i docenti -scuola e AFAM- con contratti a tempo determinato (40,9 anni).

Differenze di genere

Riferendosi all’anno 2021 il report Aran non evidenzia notevoli differenze di età media in base al sesso di chi lavora nella PA. Nell’analisi dei dipendenti totali, quella degli uomini è leggermente più bassa di quella delle donne (49,3 anni contro 50,2). I dipendenti di sesso maschile mediamente più giovani appartengono alle forze armate (41,5 anni), e sono seguiti da poliziotti (45,5) e vigili del fuoco (47,6). Anche le donne mediamente più giovani operano nelle forze armate (31,2). Pure in questo caso le poliziotte sono al secondo posto, con un’età media di 41,7 anni, mentre il terzo posto è occupato dalle donne che intraprendono la carriera diplomatica (42,6 anni). Il settore con i lavoratori e le lavoratrici più maturi è invece quello della carriera penitenziaria: gli uomini qui impegnati hanno 57,3 anni in media; le donne 56,4.

Parere in merito all’applicazione dell’art. 11, comma 1, del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137 – Trattenimento in servizio

Tratto da neopa.it

Come noto, l’articolo 11 del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105, rubricato “Disposizioni per l’efficienza della pubblica amministrazione”, dispone, al comma 1, che le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, tra cui i Comuni, “possono trattenere in servizio, fino al 31 dicembre 2026, nei limiti delle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente, i dirigenti generali, anche apicali, dei dipartimenti o delle strutture corrispondenti secondo i rispettivi ordinamenti, con esclusione di quelli già collocati in quiescenza, che siano attuatori di interventi previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza”.
La richiamata disposizione legislativa, dunque, introduce una disciplina transitoria volta a non indebolire le amministrazioni pubbliche nella delicata fase di attuazione di interventi previsti nel PNRR, consentendo alle stesse di continuare ad avvalersi delle figure dirigenziali apicali chiamate a svolgere compiti di attuazione dei progetti di che trattasi, ai fini di garantire il conseguimento degli obiettivi programmati.
Orbene, è di tutta evidenza come il citato intervento legislativo, orientato, come detto, ad autorizzare la permanenza in servizio di personale dirigenziale titolare di determinate tipologie di incarichi strettamente connessi con l’attuazione di interventi nell’ambito del PNRR, rappresenti una deroga al regime ordinario e debba essere, per questo, oggetto di stretta interpretazione.
Atteso quanto sopra, ai fini dell’attuazione della norma, devono ricorrere determinati presupposti, tra cui, per quanto qui di interesse, innanzitutto la qualifica dirigenziale della figura da trattenere, ma, ancor più specificamente, una valutazione in ordine alla complessità ed alla dimensione organizzativa della struttura interessata, che consenta di ritenere tale incarico dirigenziale corrispondente ad uno di livello dirigenziale generale o apicale di cui al comma 1 del citato articolo 11. Inoltre, vale la pena di sottolineare che, in ogni caso, la prosecuzione del rapporto di lavoro deve essere disposta dall’amministrazione nei cui ruoli è inquadrato il dirigente che si intende trattenere.
Di conseguenza, la disposizione normativa de qua deve ritenersi inapplicabile da parte di un comune privo di personale di qualifica dirigenziale, che abbia conferito, ai sensi dell’art. 109, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, le relative funzioni ai responsabili degli uffici o dei servizi.

Anticipazione buonuscita per acquisto prima casa, le richieste entro il 31 maggio

Tratto da fondopensionisicilia.it

Il Direttore Generale del Fondo Pensioni Sicilia, Filippo Nasca, ha firmato il decreto per la richiesta di anticipazione della buonuscita per l’acquisto della prima casa (ai sensi dell’art. 20 della l.r. n.11/88).
L’avviso, valido per l’anno 2024, è rivolto specificamente ai dipendenti assunti entro il 31 dicembre 2000.
I dipendenti interessati possono avanzare la propria richiesta tramite trasmissione via PEC al Dipartimento di appartenenza entro il 31 maggio 2024.

Nel dettaglio, le domande devono essere inviate a:

  • Dipartimento Regionale della Funzione Pubblica e del Personale – Servizio 1 “Gestione Giuridica del Personale” Viale Regione Siciliana n. 2194 – 90135 Palermo, PEC: [email protected]
  • Comando del Corpo Forestale – Servizio 1 “Gestione Giuridica” – Via Ugo La Malfa n. 87/89 – 90146 Palermo | PEC: [email protected]
  • Dipartimento Regionale dell’Istruzione e Formazione Professionale – Servizio 6 “Scuole non statali” Viale Regione Siciliana n. 33 – 90135 Palermo | PEC: [email protected]

Diverse tipologie di richieste di anticipazione della buonuscita

Al fine di procedere con la richiesta, i dipendenti devono compilare l’apposita modulistica ed allegare i documenti, come certificazioni, autocertificazioni e atti relativi alla situazione immobiliare e finanziaria del richiedente.
Sono previste tre diverse tipologie di richieste:
– istanza di anticipazione della buonuscita per l’acquisto della prima casa da terzi;
– istanza di anticipazione della buonuscita per l’acquisto di casa in cooperativa;
– istanza di anticipazione della buonuscita per la costruzione in proprio della prima casa di abitazione.

Le richieste saranno valutate da una Commissione appositamente nominata secondo criteri stabiliti ai sensi dell’art. 7 del Regolamento approvato con D.P.R.S. n. 41/91, tra cui l’anzianità di servizio, l’acquisto della casa a nome del dipendente o del figlio, il nucleo familiare e il reddito familiare.
Le somme anticipate saranno erogate previa presentazione di documentazione valida, come l’atto di compravendita o la certificazione rilasciata dal notaio nel caso di acquisto in corso di realizzazione.

L’anticipo della buonuscita non può superare € 50.000,00 lordi. Le richieste saranno soddisfatte fino all’esaurimento delle risorse assegnate, per un ammontare di € 1.700.000,00, come stabilito dalla delibera del Commissario Straordinario.

È fondamentale rispettare la scadenza del 31 maggio 2024 e seguire scrupolosamente le indicazioni fornite per la presentazione delle domande.

Il decreto, l’avviso approvato e la relativa modulistica per procedere alla presentazione dell’istanza, sono disponibili al seguente link:
https://www.regione.sicilia.it/la-regione-informa/dd-n-1471-21032024-anticipazione-buonuscita-acquisto-casa

Liquidazione degli Statali. La Ragioneria dello Stato ferma la proposta di legge per anticiparne i tempi di erogazione

Tratto da PAmagazine

Stop della Ragioneria generale dello Stato alle due proposte di legge depostitate alla Camera in commissione Lavoro e che prevedono il versamento accelerato del Tfs agli statali. Oggi i dipendenti pubblici aspettano anche più di cinque anni prima di vedere i soldi della liquidazione, a causa di una norma introdotta dal governo Monti ai tempi della crisi dello spread, che nel pubblico autorizza il pagamento differito (e a rate) del Tfs-Tfr. Norma che è già stata “bocciata” in due occasioni dalla Consulta, l’ultima volta la scorsa estate, perché iniqua.

La Rgs, con una nota di poche righe inviata alla commissione Lavoro questa settimana, ha fermato le proposte di legge (bipartisan) che puntavano a ridurre, da un anno a tre mesi, il tempo di pagamento della prima rata del Tfs, aumentando nel contempo l’importo di questo primo versamento da 50mila fino a 63.600 euro. «Ancora una volta», tuona Massimo Battaglia, segretario generale di Confsal-Unsa, «i dipendenti pubblici sono utilizzati come un bancomat per mantenere l’equilibrio dei conti pubblici. Un’ingiustizia certificata da una sentenza della Consulta alla quale, ancora una volta, non si riesce a porre rimedio».

Lo stop

Non si tratta proprio di un fulmine a ciel sereno. Che il pagamento in tempi celeri del Tfs ai dipendenti pubblici comportasse un costo importante per le casse dello Stato era noto. Ma la Corte costituzionale a giugno è stata più che chiara: i giudici hanno chiesto al Parlamento di rimuovere, gradualmente, una norma che crea una grave disparità di trattamento (grave quanto ingiustificabile) tra pubblico e privato. Perché il dipendente di un’azienda che cessa il servizio riceve i soldi della liquidazione nel giro di un mese circa, mentre un lavoratore dello Stato è costretto a una sala di attesa lunga anni?

Secondo i calcoli effettuati dall’Inps, la misura che ha incontrato l’alt della Rgs comporterebbe un costo di 3,8 miliardi di euro solo nel 2024. Per procedere, hanno sentenziato i tecnici del Mef, occorrono coperture adeguate.

La situazione

Oggi nel pubblico il versamento rateizzato della liquidazione parte dopo un anno. La prima rata può coprire al massimo 50 mila euro. La seconda, che scatta dopo altri dodici mesi, arriva fino a un massimo di 100 mila euro. Infine, la terza copre la parte restante. I tempi si allungano ulteriormente se il dipendente che lascia il lavoro è un “quotista”. In questo caso, infatti, l’attesa può superare addirittura i cinque anni. L’Inps, in una relazione tecnica depositata in commissione Lavoro a Montecitorio, ha spiegato che l’importo medio lordo dei cessati per vecchiaia o limiti di servizio è di 82.400 euro, quello per dimissioni è di 74.100 euro, mentre quello per decesso è di 66.800 euro.


La domanda sorge spontanea:

Ma la Ragioneria Generale può indurre il Parlamento a non applicare una sentenza della Corte Costituzionale?

Liquidazione dei lavoratori statali, la Ragioneria di Stato blocca le proposte per anticiparla: costi troppo alti da coprire

Tratto da open.online

Solo per quest’anno, secondo i calcoli dell’Inps, comporterebbe un’uscita di 3,8 miliardi di euro


Brutte notizie per i dipendenti pubblici. La Ragioneria generale dello Stato ha respinto, con una breve nota inviata alla Commissione lavoro della Camera, la proposta di legge che puntava a una riduzione da un anno a tre mesi nel tempo di pagamento della prima rata del Tfs, il trattamento di fine servizio degli statali. Rimandata al mittente anche una seconda proposta, che alzava il tetto massimo di questo primo versamento da 50mila a 63.600 euro. Due modifiche sostenute sia dai Cinque Stelle che da Forza Italia, con il sostegno di tutta la maggioranza. Ma non delle tasche pubbliche. Come spiega il Messaggero, che riporta i calcoli dell’Inps, la misura avrebbe un costo soltanto per quest’anno di 3,8 miliardi di euro. Uscite non indifferenti, che non si saprebbe come coprire.

«Una risposta va data»

Walter Rizzetto, esponente di Fratelli d’Italia e presidente della Commissione lavoro della Camera, l’ha presa con sportività: «Ho cercato di esperire tutte le vie per poter avanzare, anche progressivamente, nel senso delle proposte presentate e che condivido. L’impatto economico sui cosiddetti “flussi di cassa” è molto elevato, e quindi cercheremo delle coperture. Anche se indubbiamente l’importo necessario è decisamente elevato». Più battagliero il deputato pentastellato Alfonso Colucci, firmatario di una delle due proposte: «Prendiamo atto – ha dichiarato -dei rilievi della Ragioneria. Ma il Parlamento ha il dovere di intervenire dopo il pronunciamento della Consulta». «Del resto, voglio ricordarlo – ha aggiunto -, parliamo di somme che i dipendenti pubblici hanno versato. Ho dato la mia disponibilità a ragionare con il presidente della commissione Lavoro, la relatrice e il Mef al fine di trovare una soluzione che riconosca il diritto dei lavoratori della Pa nel quadro delle esigenze di bilancio, anche tramite una progressività applicazione della norma. Una risposta va data».

Il Trattamento di fine servizio

Tra coloro che hanno diritto al Tfs, l’importo medio spettante a chi ha smesso di lavorare per vecchiaia o limiti di servizio è di 82.400 euro. Quello per dimissioni è di 74.100 mentre quello per decesso o inabilità è di 66.800. L’importo medio lordo delle cessazioni per fine incarico (tipicamente rivolto ai supplenti della scuola) è pari a 1.800 euro. Oggi il pagamento del Tfs arriva dopo un anno. E a rate, la prima delle quali deve essere inferiore a 50mila euro. La seconda, dopo altri dodici mesi, può arrivare fino ad un massimo di 100 mila euro. La terza, a distanza di un ulteriore anno, copre quello che resta. Ma nel caso in cui il dipendente si sia avvalso di misure come Quota 100, Quota 102 o Quota 103, il ritardo aumenta e può sfiorare i 5 anni, senza interessi.

Il parere della Consulta

Una situazione che la Consulta, qualche mese fa, aveva invitato a correggere. Chiamata a esprimersi su un ricorso del sindacato Confsal-Unsa, aveva spiegato che il differimento nel pagamento ai dipendenti che hanno raggiunto il limite di età, è incompatibile con la Costituzione e il suo principio di giusta retribuzione. «Ancora una volta», ha commentato Massimo Battaglia, segretario generale di Confsal-Unsa, «i dipendenti pubblici sono utilizzati come un bancomat per mantenere l’equilibrio dei conti pubblici. Un’ingiustizia certificata da una sentenza della Consulta alla quale ancora una volta non si riesce a porre rimedio».

Pensione anticipata e di vecchiaia, ecco le nuove regole

Tratto da PAmagazine.it

Pensioni anticipate e di vecchiaia, si cambia. L’Inps ha fornito le istruzioni in merito alle modifiche introdotte dalla legge di bilancio 2024 per i lavoratori con primo accredito contributivo dal 1° gennaio 1996. Queste le novità.

Pensione di vecchiaia

Dal 1° gennaio 2024, il requisito di importo soglia per l’accesso alla pensione di vecchiaia è pari all’importo dell’assegno sociale, il cui valore provvisorio per l’anno 2024 è pari a 534,41 euro. Si ricorda che il diritto alla pensione di vecchiaia si consegue al perfezionamento del requisito anagrafico
di 67 anni (per i bienni 2023-2024 e 2025-2026) e di un’anzianità contributiva minima di venti anni, a condizione che l’importo della pensione non risulti inferiore all’importo soglia. I lavoratori che perfezionano i requisiti entro il 31 dicembre 2023 (incluso l’importo soglia pari a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale) conseguono il diritto alla pensione di vecchiaia in base alla precedente disciplina.

Pensione anticipata

Il diritto alla pensione anticipata si consegue al compimento del 64° anno di età (per i bienni 2023-2024 e 2025-2026), se risultano versati e accreditati almeno venti anni di contribuzione effettiva e a condizione che l’importo della prima rata di pensione (importo soglia) risulti almeno pari a 3 volte
l’importo dell’assegno sociale in vigore (1.603,23 euro): questo importo si riduce a 2,8 volte (1.496,35 euro) per le donne con un figlio e a 2,6 volte (1.389,46 euro) per le donne con due o più figli.

Il trattamento di pensione anticipata è riconosciuto per un importo lordo massimo non superiore a cinque volte il trattamento minimo in vigore (2.993,05 euro) per le mensilità di anticipo rispetto ai requisiti di accesso previsti dalla normativa in vigore: al raggiungimento del requisito anagrafico previsto per la pensione di vecchiaia (pari a 67 anni per i bienni 2023/2024 e 2025/2026) sarà posto in pagamento l’intero importo della pensione perequato nel tempo. La pensione anticipata decorre trascorsi tre mesi dalla maturazione dei requisiti. I lavoratori che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2023, compreso quello dell’importo soglia pari a 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale, mantengono i requisiti previsti dalla precedente normativa. Anche per questi soggetti, se conseguono la pensione con decorrenza dal 2 gennaio 2024, l’importo massimo erogabile non potrà essere superiore a cinque volte il trattamento minimo in vigore.

Uscite previste

La stretta del governo alle formule che consentono l’uscita dal lavoro in deroga alle norme ordinarie, secondo i calcoli della relazione tecnica alla manovra freneranno l’esodo degli statali. Appena 3 mila dipendenti pubblici (su un totale di 17 mila) chiederanno il prepensionamento. Davvero molto pochi, considerando che nei tre anni precedenti questa opzione è stata attivata da 55 mila soggetti.

Fornero

Intanto il governo ragiona sul possibile superamento della legge Fornero. Attualmente la pensione di vecchiaia resta salda a 67 anni di età e 20 di contributi. Mentre per andare a riposo con l’anzianità la legge impone 42 anni di contributi. Cosa fare per consentire a chi lo desidera di uscire dal lavoro in anticipo senza danneggiare i conti pubblici? L’ipotesi più accreditata alla quale si sta lavorando prevede la formula quota 41 (in pensione con quel livello di contributi a prescindere dall’età). Ma, attenzione, le simulazioni dicono che questo impianto potrebbe reggere solo a patto che quegli anni di contributi vengano interamente ricalcolati con il sistema contributivo. Il che, dal momento che il sistema contributivo è stato introdotto nel 1996, si tradurrebbe in forti tagli degli assegni per chi punta al riposo anticipato. In media circa il 20 per cento di assegno in meno. Inoltre verrebbe introdotto un tetto sulle pensioni anticipate che non potrebbero superare il livello di 4 o 5 i trattamenti minimi. Insomma, il nodo resta stretto.

Fondo Pensioni: dal prossimo mese di aprile accesso al portale SiciliaPensioni anche con Carta d’identità elettronica

Dal prossimo mese di aprile per i pensionati regionali sarà possibile accedere al portale SiciliaPensioni (dal quale sono scaricabili i cedolini di pensione e le certificazioni fiscali) anche con carta d’identità elettronica (CIE).

Permessi legge 104/1992: sì al licenziamento per utilizzo estraneo all’assistenza

Tratto da neopa.it

Nel confermare la legittimità del licenziamento per giusta causa inflitto ad un dipendente reo di essersi avvalso dei permessi previsti dalla L. 104/1992 per finalità estranee ai motivi assistenziali (ordinanza n. 6468 del 12 marzo 2024), la Sezione Lavoro della Cassazione ha ricordato che, per pacifica giurisprudenza di legittimità, può costituire giusta causa di licenziamento l’utilizzo, da parte del lavoratore, di permessi ex lege n. 104 del 1992 in attività diverse dall’assistenza al familiare disabile, con violazione della finalità per la quale il beneficio è concesso (Cass. n. 4984 del 2014; Cass. n. 8784 del 2015; Cass. n. 5574 del 2016; Cass. n. 9749 de1 2016; più di recente: Cass. n. 23891 del 2018; Cass. n. 8310 del 2019; Cass. n. 21529 del 2019).

In coerenza con la ratio del beneficio, precisa infatti la Corte, l’assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile; tanto meno la norma consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la norma è preordinata: il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela; ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi, non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e, dunque, si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto (cfr. Cass. n. 17968 del 2016), o, secondo altra prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell’Ente assicurativo (v. Cass. n. 9217 del 2016).

Con la sentenza in esame la Cassazione ha poi altresì ribadito la legittimità dei controlli operati per il tramite di agenzie investigative, richiamando la giurisprudenza di legittimità secondo cui il controllo demandato all’agenzia investigativa è legittimo ove non abbia ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa ma sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, come proprio nel caso di controllo finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi ex art. 33 legge n. 104 del 1992 (v. Cass. n. 4984 del 2014; Cass. 6 maggio 2016, n. 9217; Cass. n. 15094 del 2018; Cass. n. 4670 del 2019).