La fine dello smart working al Comune di Milano? Una necessità per non rischiare di creare un deserto sociale ed economico in quartieri senza più dipendenti in pausa pranzo

Il più grande datore di lavoro della città, il Comune, richiama il maggior numero dei suoi quasi 15 mila impiegati in ufficio. Era stato lo stesso primo cittadino Beppe Sala a invitare, non senza polemiche, Milano a uscire “dalla grotta” dello smart working. Una necessità, pure per non rischiare di creare un deserto sociale ed economico in quartieri senza più dipendenti in pausa pranzo e in giro a vivere i luoghi di cultura. E, adesso, Palazzo Marino segna le tappe della ripresa di settembre con un piano di rientro al lavoro in presenza. Che, però, prevederà orari di ingresso più flessibili, con la possibilità di timbrare il cartellino fino alle 11 e di recuperare le eventuali ore mancanti pure al sabato. Un nuovo ritmo della città, che si trasforma in un invito alle grandi aziende private per arrivare davvero, dice l’assessora alle Politiche per il lavoro Cristina Tajani, “ad avere orari sempre meno collettivi e sempre più individuali o per gruppi”.

Pubblicato da benedettomineo

Dirigente sindacale Cobas/Codir

Una risposta a “La fine dello smart working al Comune di Milano? Una necessità per non rischiare di creare un deserto sociale ed economico in quartieri senza più dipendenti in pausa pranzo”

  1. Penso che il ritorno in ufficio sia un bene per tutti, primo per i dipendenti. Poiché un ufficio ben santificato è più sicuro della strada. Poiché ho constatato che non tutte le ore di ufficio sono dedicati al lavoro da casa. Poi non funziona come dovrebbe, poiché, per esempio per fissare un appuntamento al fondo pensioni. Richiesta oggi appuntamento a novembre se ci arriviamo con i numeri giornalieri, altrimenti nuova prenotazione.

I commenti sono chiusi.