Bravo Renzi! Vuole abolire l’art. 18 per estendere le garanzie a chi viene sfruttato dal padrone

Trent’anni di attività imprenditoriale e dieci aziende ma nessun lavoratore a tempo indeterminato, tranne il figlio Matteo Renzi “regolarizzato appena una settimana prima della candidatura alla poltrona sicura di presidente della Provincia di Firenze”.

È il record segnato da Tiziano Renzi, padre del premier, indagato per bancarotta fraudolenta dalla procura di Genova.

Abolizione dell’art. 18. L’idea assurda: creare lavoro con la piena libertà di licenziare

In questi anni le norme che regolano il mercato del lavoro sono state completamente riscritte a tutto vantaggi degli industriali.

Questo processo ha interessato in modo particolare la cosiddetta flessibilità in entrata (contratti a termine, lavoro interinale, formazione lavoro ecc.), l’utilizzo della manodopera nei processi lavorativi (mobilità interna, regime di orario, nuovi turni ecc.), il vincolo crescente tra salario e produttività, ma ha toccato solo parzialmente la cosiddetta flessibilità in uscita ovvero la piena libertà di licenziamento. In questo campo permangono infatti alcune norme che non impediscono certo ai padroni di licenziare, ma rendono in alcuni casi il licenziamento individuale difficoltoso e economicamente oneroso, da qui i vari progetti imprenditoriali e sindacali per modificare anche questa ultima debole tutela per i lavoratori.

Con l’abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori verrebbe cancellato l’obbligo del reintegro del posto di lavoro per il lavoratore licenziato senza giusta causa lasciando solo una sorta indennizzo economico.

Ma dove sta scritto che una maggiore flessibilità della manodopera porta a una maggiore occupazione?

Con l’attuale crisi economica, al massimo i lavoratori licenziati verrebbero sostituiti da un numero uguale di nuovi lavoratori.

La libertà di licenziamento, invece, non farebbe altro che aumentare lo sfruttamento dei lavoratori e precarizzare il lavoro.

Con la riforma del lavoro di Renzi lavoratori “gabbati” e contenti. Resta l’articolo 18, sì al demansionamento

Matteo Renzi Conferenza2.2014Nuovi assunti licenziabili, sì al demansionamento ma niente revisione dello statuto dei lavoratori.

Previsto il  «contratto d’inserimento a tutele crescenti», riservato ai giovani fino a 35 anni e alle persone con più di 50 anni: i loro datori potranno per tre anni licenziarli senza vincoli, ma se li confermeranno riceveranno un bonus fiscale. Sì anche a due significative modifiche dello Statuto: le aziende potranno «demansionare» i loro dipendenti (cioè ridurre la loro mansione, tagliando anche il salario), e potranno usare le tecnologie per controllare la prestazione dei lavoratori.

 

Si riparla di abolizione dell’art. 18. L’idea assurda: creare lavoro con la piena libertà di licenziare

In questi giorni qualche politicante di lungo corso ha tirato in ballo nuovamente l’abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

In questi anni le norme che regolano il mercato del lavoro sono state completamente riscritte a tutto vantaggi degli industriali.

Questo processo ha interessato in modo particolare la cosiddetta flessibilità in entrata (contratti a termine, lavoro interinale, formazione lavoro ecc.), l’utilizzo della manodopera nei processi lavorativi (mobilità interna, regime di orario, nuovi turni ecc.), il vincolo crescente tra salario e produttività, ma ha toccato solo parzialmente la cosiddetta flessibilità in uscita ovvero la piena libertà di licenziamento. In questo campo permangono infatti alcune norme che non impediscono certo ai padroni di licenziare, ma rendono in alcuni casi il licenziamento individuale difficoltoso e economicamente oneroso, da qui i vari progetti imprenditoriali e sindacali per modificare anche questa ultima debole tutela per i lavoratori.

Con l’abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori verrebbe cancellato l’obbligo del reintegro del posto di lavoro per il lavoratore licenziato senza giusta causa lasciando solo una sorta indennizzo economico.

Ma dove sta scritto che una maggiore flessibilità della manodopera porta a una maggiore occupazione?

Con l’attuale crisi economica, al massimo i lavoratori licenziati verrebbero sostituiti da un numero uguale di nuovi lavoratori.

La libertà di licenziamento, invece, non farebbe altro che aumentare lo sfruttamento dei lavoratori e precarizzare il lavoro.