Sentenza della Cassazione sulla possibilità per il datore di lavoro di procedere a licenziamento durante l’assenza prolungata del lavoratore per malattia.
La Cassazione con sentenza nr. 1777 dello scorso 28 gennaio torna a pronunciarsi in tema di licenziamento, o meglio della possibilità per il datore di lavoro di procedere a licenziamento durante l’assenza prolungata del lavoratore per malattia.
Il caso ha riguardato un dipendente del Comune di Viterbo che, impugnava il licenziamento con preavviso irrogatogli in data 22/09/2000. Per il lavoratore il licenziamento doveva considerarsi illegittimo perchè, la contestazione era avvenuta durante il periodo di malattia (protrattasi dal dal giorno 12/04/2000 al 20/08/2000) periodo che, a mente dell’art. 2110 c2 cc sospende il diritto di recesso del datore.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 10814 dell’8 maggio 2013, ha affermato la legittimità del licenziamento irrogato senza preavviso al lavoratore al quale era stato contestato un comportamento consistito in un acceso diverbio con una collega e che, per le modalità dell’episodio (discussione culminata nel lancio di un carrello porta bevande che aveva colpito un’altra dipendente) e per la futilità dei motivi che lo avevano scatenato, si riteneva violasse l’art. 123 del CCNL ed infrangesse irrimediabilmente il vincolo fiduciario con il lavoratore….continua a leggere
Giro di vite in vista per le assunzioni senza concorso e per la stabilizzazione dei lavoratori precari negli enti pubblici economici. Le Sezioni Unite della Cassazione dovranno pronunciarsi infatti sulla possibilità di convertire i rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato aggirando la regola del concorso pubblico.
La questione è stata rimessa alle Sezioni Unite dalla Sezione lavoro (ordinanza interlocutoria n. 4458/2014), investita di un ricorso dell’Ente Autonomo Fiera del Mediterraneo volto a contestare una sentenza della Corte d’ appello di Palermo. Quest’ultima aveva ritenuto nullo il termine apposto a un contratto di lavoro stagionale (prorogato per 32 mesi) e lo aveva dunque trasformato in rapporto a tempo indeterminato.
Come ricorda la Sezione lavoro, nel pubblico impiego vige la regola del concorso, prevista dall’articolo 97 della Costituzione, come modalità ordinaria di reclutamento. Eventuali violazioni comportano la nullità del contratto e la responsabilità per danno erariale dei dirigenti in relazione al danno liquidato a favore del lavoratore (articolo 36 del Dlgs 165/2001).
Inoltre, nel pubblico impiego il divieto di conversione dei rapporti di lavoro a tempo determinato si giustifica per ragioni di controllo della spesa pubblica e di rispetto dei vincoli di bilancio ora rafforzati dal nuovo articolo 81 della Costituzione (legge costituzionale n. 1/2012). Vero è che il personale degli enti pubblici economici è soggetto al regime dei rapporti di lavoro privato.
Molte leggi, specie regionali, pur prevedendo la regola generale del concorso pubblico, ammettono sistemi alternativi (liste di collocamento e mobilità, prove di idoneità attitudinale non a numero chiuso eccetera) che portano poi a stabilizzare il personale per legge o in seguito a causa civile.
In dissenso con la sentenza d’appello, la Sezione lavoro dubita che gli enti pubblici economici possano godere di sistemi di reclutamento molto diverso da quello delle pubbliche amministrazioni. Ciò cozzerebbe col principio di imparzialità e le esigenze di controllo della spesa pubblica. E poiché, al di là del caso specifico, molte leggi regionali tendono a stabilizzare i rapporti di lavoro precari, la Sezione ritiene si bene che le Sezioni Unite facciano chiarezza una volta per tutte. In epoca di spending review il vento sta cambiando direzione.
Lo stress da superlavoro va risarcito anche se il lavoratore non lo ha richiesto. La Corte di cassazione, con la sentenza n. 18211, ricorda che, per rispetto del criterio di ragionevolezza, il limite dell’orario di lavoro deve coincidere con la tutela della salute. Leggi l’articolo
E’ licenziabile l’impiegato che durante l’orario di lavoro usa “in continuazione” il computer dell’ufficio per giocare. Inoltre, rilevato l’atteggiamento scorretto, l’azienda non ha nemmeno l’obbligo di contestare al lavoratore le singole partite giocate.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25069/2013, che si è pronunciata sul caso di un impiegato di un’azienda farmaceutica cui veniva contestato di aver giocato al pc per ben 260-300 ore in un anno….continua a leggere
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con sentenza n. 26143 del 21 novembre 2013 ha dichiarato legittimo il licenziamento del lavoratore che ha registrato le conversazioni dei colleghi a loro insaputa, anche se queste registrazioni sono state fatte per provare una situazione di mobbing.
È legittimo il licenziamento di un lavoratore che durante l’orario di lavoro utilizza il computer dell’ufficio per giochi, “provocando, in tal modo, un danno economico e di immagine all’azienda”.
Con questo assunto la Corte di Cassazione (sentenza n. 25069 del 7 novembre 2013) ha capovolto l’esito della sentenza n. 4453/2010 della Corte d’appello di Roma, che aveva dichiarato la nullità del licenziamento intimato ad un lavoratore, condannando la relativa società a riassumerlo entro tre giorni o, in mancanza, al risarcimento del danno in misura pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione.
Se insultare il “capo” tramite mail porta irrimediabilmente al licenziamento per giusta causa (leggi sentenza n. 14995 del 7 settembre 2012 ) farlo personalmente e sotto un’evidente stato d’ira comporta certamente una sanzione disciplinare ma non legittima il licenziamento del dipendente.
La Corte di Cassazione, Sezione lavoro, tramite la sentenza 14643/2013, ha dichiarato illegittimo il licenziamento di un dipendente per lo scavalcamento del periodo di comporto nel caso lo stato di malattia (nello specifico, la depressione) sia stato originato da azioni di mobbing subite all’interno della stessa azienda assuntrice.
E’ quanto decretato dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato in relazione ad una richiesta di risarcimento presentata da alcuni dipendenti preposti al servizio pubblico di trasporto locale. La sentenza numero 7/2013 infatti sancisce che il dipendente pubblicoche ha lavorato per un periodo temporalmente lungo, anche nei giorni feriali, senza usufruire del riposo compensativo ha diritto ad un risarcimento.