Appena i cittadini si accorgeranno che il Senato non elettivo non riempe la pancia, per Renzi e il pd sarà finita

La riforma del Senato voluta fortemente dal governo Renzi, lascia parecchio perplessi visto che con la crisi economica ancora in atto le priorità sembrerebbero essere altre.

Preoccupa, inoltre, fortemente il rischio di una svolta autoritaria soprattutto nel momento in cui al Senato non elettivo si affianca una Camera di Deputati nominati con il sistema delle liste bloccate senza che i cittadini possano esprimere la loro preferenza.

Secondo alcuni sondaggi la maggior parte degli italiani sarebbe favorevole ad un Senato eletto a suffragio universale.

Se il problema era quello della riduzione della spesa, si potevano ridurre i 630 deputati, addirittura dimezzandoli, e lasciare il Senato elettivo.

Appena i cittadini si accorgeranno che il Senato non elettivo non avrà nessun risvolto sulla crisi economica e che la parola “riforme” è un vocabolo privo di significato, uno slogan per riempire il vuoto silenzioso di chi non sa che dire, allora per Matteo Renzi e il PD sarà finita e Renzi potrà tornare al proprio lavoro da cittadino comune.

Disoccupazione, inflazione zero, pil e prezzi alimentari sotto zero. Siamo in recessione?

Le stime di crescita per il trimestre appena concluso, il secondo del 2014, sono allarmanti. L’Istat ha diffuso ieri le sue previsioni per il periodo aprile-giugno, secondo le quali, il pil potrebbe essere variato da un minimo del -0,1% a un massimo del +0,3% sul primo trimestre, quando a sua volta, il pil era diminuito.

La Cisl: la Sicilia consuma ma non produce. Ma non si è detto che il problema della crisi sono i consumi bloccati?

«C’è un rischio default in Sicilia perché questa regione consuma e non produce. Per produrre si deve creare occupazione e per occupare le persone bisogna attrarre investimenti e per farlo occorre riorganizzare l’economia, che è disorganizzata». Lo ha detto il leader della Cisl Raffaele Bonanni a Palermo.


Ma gli economisti non dicono che il problema della crisi è che i consumi sono fermi? Il bonus di 80 € non è stato erogato proprio per fare ripartire i consumi?

Se poi la Sicilia è priva di industrie e i pochi industriali che ancora resistono pensano di scappare, più che alla “disorganizzazione” io penserei “all’organizzazione” della criminalità che in Sicilia è più forte che altrove.

Crisi. Partono i saldi estivi ma crolla la spesa

I negozianti confidano nell’effetto positivo del bonus di 80 euro concesso dal governo Renzi. Le riduzioni, vista la stagnazione delle vendite nel mesi di giugno, dovrebbero essere mediamente superiori al 40%. Confcommercio: “Giro complessivo di 3,7 miliardi di euro”.

L’allarme del Codacons: quest’anno gli acquisti diminuiranno dell’8% rispetto al 2013 con scontrino medio di 65 euro. Prima della crisi gli acquisti di fine stagione valevano 4 miliardi di euro.

Fisco, Italia seconda nella Ue per aumento tasse

StipendiL’Italia, dopo l’Ungheria, è il Paese europeo che tra 2011 e 2012 ha visto la pressione fiscale salire di più rispetto al Pil: dal 42,4% al 44%. E’ quello che emerge dai dati Eurostat sui “trend della tassazione nella Ue”, diffusi lunedì. A incidere di più sulle entrate fiscali, sottolinea l’istituto di statistica, è il prelievo sul lavoro, che pesa per il 51,1% (52% nel 2011). In linea, comunque, con la media dell’Europa a 28, pari al 51%, e sotto quella dell’Eurozona, dove il cuneo fiscale medio è del 53,3% mentre l’imposizione sui consumi è solo al 26,8% (dal 27,3% del 2011) e quella sui capitali si ferma al 20,2%.

Anche considerando l’Unione Europea a 28 la tassazione sul lavoro rappresenta, sempre su dati 2012, la maggiore fonte di entrate tributarie, seguita da quella sui consumi (28,5%) e quella sul capitale (20,8%). Tra i Paesi con la maggiore imposizione sul lavoro ci sono Svezia (58,6%), Olanda (57,5%), Austria (57,4%) e Germania (56,6%), mentre gli unici ad essere sotto il 40% sono  Bulgaria (32,9%), Malta (34,6%), Cipro (37,1%) e  Regno Unito (38,9%). Nel complesso l’Italia è al sesto posto nella classifica per il peso di tasse e imposte tra i paesi europei.

Nel dettaglio, la pressione fiscale nell’eurozona è aumentata al 40,4% del Pil nel 2012, dal 39,5% del 2011, mentre nel complesso dell’Ue è cresciuta dal 38,8% al 39,4%. Tra gli altri Paesi, invece, gli incrementi maggiori tra il 2011 e il 2012, dopo Ungheria (dal 37,3% al 39,2%) e Italia, si sono registrati in Grecia (dal 32,4% al 33,7%), Francia (dal 43,7% al 45%), Belgio (dal 44,2% al 45,4%) e Lussemburgo (dal 38,2% al 39,3%). Le maggiori cadute della pressione fiscale si sono verificate in Portogallo (dal 33,2% al 32,4%), Regno Unito (dal 35,8% al 35,4%) e Slovacchia (dal 28,6% al 28,3%).

Fonte: http://www.lavorofisco.it/fisco-italia-seconda-nella-ue-per-aumento-tasse.html?utm

Ormai è un’ecatombe. Alla faccia degli europeisti e della ripresa Chiude anche la gioielleria Fiorentino

Avviate le procedure di licenziamento collettivo per i 23 dipendenti compreso l’amministratore delegato. Alfredo Fiorentino: “Il mercato sta vivendo un periodo nero, non abbiamo altra scelta”.

Giornali e politici. Ma come fanno a stupirsi che i consumi non ripartono?

Non so se ridere o piangere nel leggere articoli in cui ci si stupisce del fatto che i consumi non ripartono e che commercio e industria sono fermi.

Che la fiducia dei consumatori cresca o meno, ha poca importanza. Alla fine quelli che si spendono sono i soldi (e gli italiani ne hanno sempre meno) e non la fiducia.

E comunque, a proposito di soldi e fiducia, facciamo un breve esame della situazione attuale nel settore pubblico e privato.

Settore pubblico

  1. Non vengono rinnovati i contratti dei dipendenti pubblici che, da sempre, nei periodi di crisi, hanno svolto una funzione stabilizzatrice dell’economia interna (3,5 milioni di persone che, in passato, anche in periodo di crisi, hanno alimentato i consumi di generi alimentari, abbigliamento, ristorazione, turismo, etc.);
  2. Sono crollate tutte le certezze dei dipendenti pubblici che vengono continuamente attaccati e demonizzati da stampa e politica che li addita come la causa di tutti i mali. E l’incertezza non alimenta, certo, i consumi;
  3. Viene agitato lo spettro della mobilità e del licenziamento che li spinge a cercare (ma sempre più spesso non ci si riesce) di mettere da parte qualcosa per sopravvivere, qualora la situazione dovesse peggiorare ancora;
  4. Le continue modifiche al ribasso del sistema di calcolo delle pensioni e la prospettiva di ricevere una pensione che non consentirà un tenore di vita dignitoso, alimentano, paradossalmente, la propensione al risparmio, togliendo ulteriori risorse ai consumi.

Settore privato

Il 15 maggio scorso la Camera ha approvato in via definitiva la conversione in legge del decreto sul lavoro.

Secondo la propaganda fatta dal governo su stampa e tg, l’obiettivo del “decreto lavoro” è quello di dare una risposta urgente alla necessità di rilanciare l’occupazione, semplificando il ricorso all’apprendistato e al contratto a tempo determinato, per favorire l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.

Ma le cose non stanno esattamente così.

Anche il Governo Renzi, infatti, parte dal falso presupposto che il problema principale del mercato del lavoro in Italia sia la rigidità dei contratti, non la carenza di domanda

Nonostante nel solo 2013 si siano persi 413mila posti di lavoro (dati Istat), si procede con una ulteriore flessibilizzazione dei contratti di lavoro, con la possibilità di rinnovare quelli a termine fino a otto volte in tre anni. Ciò significa la possibilità di spezzettare un rapporto di lavoro in contratti di quattro-cinque mesi, salvo ricominciare da capo, con un nuovo lavoratore/lavoratrice allo scadere dei tre anni.

È difficile che l’ulteriore precarizzazione dei rapporti di lavoro favorisca la ripresa economica, ovvero la competitività delle nostre imprese a livello nazionale.

Nella stessa direzione va la modifica dell’apprendistato, un vero e proprio ritorno indietro, con l’eliminazione sia dell’obbligo a garantire formazione, sia di quello ad assumere a tempo determinato almeno un venti per cento degli apprendisti prima di avviare nuovi contratti di questo tipo. La differenza tra contratti di apprendistato e contratti a termine si annulla di nuovo, pur rimanendo a livello formale.

E dunque si estende ancora la precarietà. Che penalizza i giovani e soprattutto le donne. Senza creare un solo posto di lavoro in più.

Perché sono loro i primi cui si applicherà questa doppia estensione della precarietà, fatta di contratti brevi senza alcuna ragionevole garanzia di stabilizzazione dopo tre anni di rinnovi (se va bene).

Per le donne, poi, vi saranno costi aggiuntivi. La possibilità di fare contratti brevi, rinnovabili più volte, consentirà ai datori di lavoro di ignorare del tutto legalmente la norma sul divieto di licenziamento durante il cosiddetto periodo protetto. Non occorrerà neppure più far firmare, illegalmente, dimissioni in bianco, o indagare, sempre illegalmente, sulle intenzioni procreative al momento dell’assunzione. Basterà fare loro sistematicamente contratti brevi, non rinnovandoli alla scadenza in caso di gravidanza. Con l’ulteriore conseguenza negativa che molte donne non riusciranno a maturare il diritto alla indennità di maternità piena. E faranno fatica a iscrivere il bambino all’asilo nido, dato che non potranno dimostrare di avere un contratto di lavoro almeno annuale.

Pensioni

C’è poi il nodo della previdenza, le pensioni calcolate con il contributivo tra dieci anni saranno pensioni da fame e costringeranno i governi ad interventi massicci a sostegno di pensionati che saranno nella fascia di povertà e di indigenza. Anche il nodo previdenziale assieme alla precarizzazione dei rapporti di lavoro rischia di generare un futuro non solo di precariato ma di miseria.

Crisi senza fine. Dopo 89 anni la valigeria Ferrari, altro negozio storico di Palermo, abbassa le saracinesche

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La crisi economica continua a stroncare i marchi storici del commercio palermitano: chiude la valigeria Ferrari in viale Libertà. La decisione è arrivata dopo 89 annidi attività. Il negozio resterà aperto per l’ ultima settimana, fino al 10 maggio, poi le saracinesche del punto vendita si abbasseranno definitivamente.

L’eurocrisi durerà 15 anni? Allora siamo ancora a metà del guado

Euro«Vi spiego perché l’eurocrisi durerà 15 anni »

di   – 02/04/2014 – L’economista tedesco Sinn attacca la Bce e l’UE per le politiche fatte per salvare la moneta comune.

L’eurocrisi durerà ancora 15 anni, perché tanto ci vorrà ancora perché le economie del Sud in crisi completino il loro percorso di aggiustamento strutturale. Una situazione gravissima in realtà solo mascherata dalla Bce, secondo l’accusa di uno degli economisti tedeschi più critici con Angela Merkel.