Europee 2014. Tutti i paesi votano contro l’austerity dei governi in carica. In Italia votiamo come la Germania

EuroscetticiAlle europee, boom dei partiti euroscettici, tranne che in Italia e in Germania.

Barroso: “Estremamente preoccupati” dopo il successo delle forze anti Bruxelles.

 Il risultato che fa più rumore è l’exploit dei partiti euroscettici in Europa, come il Front National in Francia, l’Ukip nel Regno Unito e l’Oevp in Austria. Percentuali in alcuni casi da capogiro che porteranno a Bruxelles e Strasburgo decine e decine di eurodeputati – solo il Front National circa 25. Una macchina da guerra che potrebbe inceppare veramente l’intero parlamento se solo fosse capace di unire le forze. Ma dopo il buon risultato oltre Manica, Nigel Farage (leader dell’Ukip) ha tutta intenzione di mantenere in vita il gruppo Europe of freedom and democracy – dato più o meno a 36 seggi – costituito nel 2009 insieme agli ex amici della Lega Nord(ogni gruppo politico deve essere composto da almeno 25 deputati provenienti da minimo 7 Paesi membri).

A tenere a galla i popolari è la corazzata Cdu tedesca, il partito della Merkel (26 per cento) che si aggiudica una trentina di deputati e quindi la guida dell’intero gruppo politico.

I socialisti sono stati salvati a sorpresa dal Partito Democratico italiano, che con un inaspettato exploit elettorale, diventa la delegazione più importante dell’intero gruppo S&D, tanto che potrebbe pretenderne la presidenza o tentare addirittura la scalata alla Presidenza del Parlamento europeo con Gianni Pittella.

Per gli euroscettici Grillo o Tsipras?

Elezioni, considerazioni di un impolitco

Di ilsimplicissimus

euroAbbandonare l’austerità liberista, tornare ai valori del lavoro e della solidarietà, ma conservare e anzi rafforzare il sogno europeo. Cosa c’è di meglio e chi meglio di Tsipras interpreta questa ambiziosa speranza? L’equazione è fin troppo facile per non nascondere delle trappole e infatti su questo cammino c’è una tagliola: tutto questo non può essere fatto a partire dalle istituzioni europee che ad onta dello scenario del Parlamento di Strasburgo rimangono essenzialmente una emanazione permanente di trattati fra singoli stati. Senza parlare del fatto, ahimè sconosciuto alla stragrande maggioranza degli elettori, che gli istituti che costringono concretamente all’austerità fanno parte di trattati paralleli e prefigurano l’Europa merkeliana e bancaria connessa attraverso accordi bilaterali fra il centro e la periferia.

Se anche Tsipras o qualunque altro candidato  prendesse il 100% dei voti, tanto per fare un’ipotesi fantascientifica, non potrebbe fare proprio nulla perché il presidente della commissione Ue viene scelto dal consiglio dell’Unione, ovvero dalla conferenza di capi di stato e di governo europei a maggioranza qualificata. Il parlamento di Strasburgo ha la sola possibilità di non confermare la scelta, ma non quella di nominare qualcun altro. Si avrebbe dunque una situazione di stallo e di conflitto che potrebbe risolversi o di nuovo con accordo fra stati o con lo sfascio delle istituzioni continentali che appunto si vorrebbe evitare. Però supponiamo – per amore di ipotesi impossibili – che il Parlamento la spunti e che sia eletto un presidente della Commissione di suo gradimento. Sarebbe la fine della dottrina dell’austerità? Nemmeno per idea: essa come detto è attuata da trattati diversi (fiscal compact, mes e quant’altro) rispetto al diritto comunitario, che si configurano come supporto all’euro e sono totalmente autonomi ancorché resi possibili dall’esistenza della Ue.

Mi scuso per questa noiosità, ma solo attraverso una cognizione chiara di ciò che è in concreto l’ Unione che si può valutare la consistenza dei programmi e delle parole spese. Purtroppo bisogna constatare che la Ue non si può cambiare senza contestarne o programmaticamente o di fatto l’intera costruzione, che una trasformazione non può nemmeno essere immaginabile senza partire dai singoli stati che di fatto muovono la vera dialettica all’interno del continente assieme ai poteri finanziari e atlantici. Questo mette in nuova luce, certo più complessa, il significato di europeismo ed euroscetticismo di solito tagliato con l’accetta del populismo eurista, ma soprattutto mostra come l’idea di Europa non possa davvero sopravvivere senza prima essere stata messa apertamente in crisi. Per questo la via per linee interne al cambiamento della Ue, accettandone la logica e gli strumenti o mi appare come una bandiera bianca che già spunta dalla tasca oppure un miraggio dovuto alla volontà di salvare capra e cavoli: i cavoli amari del liberismo e le pulsioni ideologiche residuali. Nella realtà, quella in cui viviamo, Tsipras  premier della Grecia sarebbe assai più efficace nella contestazione della logica liberista che come presidente della commissione Ue, anche se stravincesse e nelle sue file non venissero eletti, come purtroppo potrebbe accadere in Italia, personaggi di tutt’altre tendenze rispetto alla sua. Anzi a dirla tutta questa candidatura ne depotenzia le possibilità ed è come un bastone tra le ruote favorendo fra l’altro le linee di frattura in Syriza, come risulta evidente proprio dai primi risultati delle amministrative greche.

Ecco perché preferisco la contestazione, magari concettualmente insufficiente o stravagante, magari sciamannata e comica, atellana e impolitica alle sottili e ragionate rese nei fatti: solo un contrasto  frontale che metta in pericolo il gioco austeritario e soprattutto le sue premesse politiche di disuguaglianza può costringere la governance europea a fare dei passi indietro e dunque ad evitare il rinascere di nazionalismi veri e non più contenibili. Con tutto ciò che segue.

E la cosa è ancora più evidente in Italia, che in questa occasione è il vero terreno di scontro continentale: se un Paese massacrato rimane nell’ovile, appoggia il progetto oligarchico promosso dai governatori che si sono susseguiti, allora vuol dire che si può andare avanti su questa strada. Di nuovo si deve constatare che per cambiare qualcosa in Europa bisogna che prima si cambi qualcosa nel Paese e che si faccia fronte al tentativo di strozzare la democrazia con i porcellum, le assemblee nominate, la cultura della corruzione e le invereconde chiacchiere da acchiappa citrulli del blocco Renzi – Berlusconi. Solo una chiarissima sconfitta della linea oligarchica, un colpo al gattopardismo da telecamera, potrà invertire la tendenza, favorire la rinascita della politica e anche della sinistra che arranca a traino. E preferisco il populismo rustico a quello falso e protervo di padroni e padroncini che fingono amore per la democrazia mentre trasudano peronismo istituzionale e mediatico.

Certo non mi aspetto molto, anzi niente, se non un vigoroso colpo di freni alla perpetuazione di un milieu politico ormai privo di senso e di direzione e pronto solo a perpetuare se stesso. Non mi faccio illusioni e del resto la recente proliferazione di titoli pro euro sul giornale che viene indicato come quello più vicino ai 5 Stelle, mi spinge a credere che le pressioni enormi dei poteri esterni e finanziari finirà per prevalere. Però senza una breccia nelle mura non c’è nessuna possibilità di impegnarsi nella ricostruzione politica, morale ed economica del Paese.

Amministrative in Grecia. Prove tecniche di europee. Nessun TG ha dato i risultati. Indovina perchè

In Grecia voto contro la troika. La lista Tsipras è in testa.

Pur non sfruttando a fondo il primo turno delle amministrative il partito di Alexis Tsipras è sugli scudi, al ballottaggio in quattro regioni 4 su 13, ma avanti in Attica (dove risiede metà Grecia). Record dei candidati indipendenti (in 9 regioni su 13 al ballottaggio) che dimostra il crollo verticale dei partiti tradizionali. Spariscono i socialisti del Pasok raggruppati nell’Ulivo (solo quinti).

Il partito della sinistra radicale greca, guidato da Alexis Tsipras, uno dei cinque candidati alla carica di presidente della Commissione europea, ha saputo cogliere evidentemente l’insofferenza crescente dei greci verso le pesanti politiche di austerità (tagli di salari, pensioni e costi del welfare) volute dalla Troika in rappresentanza dei creditori internazionali che hanno messo sul piatto complessivamente 240 miliardi di euro per salvare la Grecia dalla bancarotta. 

La sovranità monetaria. Ecco quello che manca in Italia per vincere la crisi

Articolo tratto dal sito http://www.informarexresistere.fr

L’onda #antieuro è in crescita, e non solo per effetto della vittoria di #MarineLePen in#Francia: si diffonde la coscienza nei media e nel paese che così non si può andare avanti, è bloccata l’economia, aumenta la #disoccupazione, le#famiglie non arrivano a fine mese. Dunque via dall’euro: il ritorno alla lira rappresenterebbe infatti un modo di uscire dalla pestifera gabbia della BCE, che ha distrutto e sta distruggendo l’economia reale italiana…..continua a leggere

COSA ACCADREBBE SE L’ITALIA TORNASSE ALLA LIRA? ECCO TUTTE LE RISPOSTE PER CHI HA DUBBI O PAURE

Articolo tratto dal sito http://www.informarexresistere.fr

Vediamo quindi di capire cosa potrebbe accadere il giorno in cui l’Italia decidesse di uscire dall’euro o, meglio ancora, se l’intera eurozona decidesse di tornare alle monete sovrane.

Prima di, tutto, ci spiace per gli adepti dell’euro, ma un’unione monetaria, così come è nata, può anche morire; nella storia si contano circa settanta unioni monetarie fallite (esse sono molte di più di quelle che sono riuscite ad avere successo).

Uno dei casi più importanti di unioni monetarie morte negli ultimi anni è sicuramente rappresentato dalla fine dell’unione sovietica e con essa del rublo come moneta di scambio. Senza contare che diverse nazioni hanno anche cambiato la moneta interna, come ad esempio il Brasile nel 1994.

Appurata quindi la totale infondatezza dell’irreversibilità di un’unione monetaria (e già per una simile corbelleria, molti “professori” dovrebbero essere spediti a rifare l’esame di storia economica all’università), entriamo nel vivo della nostra analisi: cosa accadrebbe il giorno dopo?…..continua a leggere

Licenziare 750mila statali o uscire dall’euro. Ecco la ricetta di Luttwak per uscire dalla crisi

Luttwak_ non c’è alternativa al licenziamento dei dipendenti pubblici«La via d’uscita per rispondere a una disoccupazione giovanile a livelli tragici è licenziare i dipendenti pubblici che svolgono mansioni improduttive e tagliare le tasse.

Se i sindacati vogliono bloccare l’unica via di salvezza per la Repubblica Italiana, lo Stato ha il dovere di combatterli». Parole di Edward Luttwak, economista, politologo e scrittore americano.

Occorre licenziare un grande numero di dipendenti pubblici, tagliare immediatamente le tasse e sostenere i consumi. In questo modo gli ex lavoratori nell’amministrazione che prima erano improduttivi possono essere «riciclati» in occupazioni produttive. Nei bar e nei ristoranti molte mansioni sono svolte da extracomunitari, ma gli italiani in questi ruoli sarebbero ancora più adeguati se non si rifiutassero di accettare queste offerte. Una volta espulsi dal settore pubblico improduttivo non potranno più rifiutare e si metteranno a lavorare. Il lavoro è in se stesso una virtù, mentre fare finta di lavorare, come avviene in tanti uffici pubblici, rappresenta un vizio.

L’alternativa è l’uscita dall’euro.

Secondo Luttwak Uscire dall’euro non vuol dire affatto uscire dall’Europa. Basta vedere la Svezia: è in Europa ma non è nell’euro.

A questo punto per rilanciarsi l’Italia deve alleggerire la pressione fiscale svalutando il debito decidendo a quanto effettuare il passaggio dall’euro alla lira.

L’articolo riportato nel link in basso è composto di 3 pagine. Quando arrivate in fondo alla pagina cliccate su PAG. SUCC….

In Francia plebiscito contro l’euro

Gli elettori in Francia hanno punito François Hollande e la ricetta dell’austerità. Ma alle elezioni europee di maggio potrebbe esserci una valanga anti-euro.

Un sondaggio Ipsos Mori, realizzato su 10 stati della UE, ha trovato che ben il 68% dei cittadini europei boccerebbe Bruxelles. Il malcontento più forte si ha in Italia (77%), Francia e Spagna (76%), ma è alto anche in Germania (61%), che pure esce vincitrice dalla crisi dell’euro di questi anni.

Economisti e finanzieri. Tutti contro l’euro

EuroNuovo attacco dell’economista Paul Krugman contro l’euro. Commentando un articolo pubblicato sul blog del Fondo Monetario Internazionale, fa un’analisi di quanto sta avvenendo nell’Eurozona, alle prese con una bassa inflazione, che se non è ancora formalmente vera e propria deflazione, per Krugman, lo è nei fatti.

La crisi dell’euro tende ad essere irreversibile per George Soros, il quale pensa che l’unica alternativa per la Germania sarebbe di farsi carico degli stati indebitati o che lasci l’Eurozona.

Amara riflessione del Financial Times sulla svolta politica italiana. Aldilà di quello che intenda fare, Renzi si troverà dinnanzi a una missione impossibile.