Polonia nell’Euro? No grazie!

Anche i polacchi vedono i disastri dell’Eurozona, Germania a parte, e non hanno alcuna voglia di andarsi a imbarcare in un sistema monetario che sembra fare acqua da tutti i lati. Frutto, anche, di scelte economiche e monetarie che non hanno, alla base, una coerente e unitaria politica comune. Anzi.

La Polonia non ci tiene proprio a diventare un’altra vittima dell’euro. Gli basta vedere quello che è successo in Grecia. E quello che sta succedendo in Italia e in Spagna. Per non parlare della Slovenia, entrata nell’euro solo nel 2004 e già in zona default.

Secondo un sondaggio, il 60 per cento dei polacchi non ne vuole sapere della moneta europea.

Ma i leader polacchi sembrano determinati ad aprire una via alla catastrofe. Vogliono entrare nell’euro. Una decisione incomprensibile. Pensate a Spagna, Irlanda e Cipro. Di quali altre prove i governi hanno bisogno per capire che l’euro è una trappola, che con esso si corre il serio rischio di rimanere senza altre opzioni di fronte a una crisi?

Oggi in Polonia vacillano pace sociale e stabilità politica.

Almeno 120mila persone hanno partecipato a Varsavia alla manifestazione indetta dai sindacati (Solidarnosc e gli altri) contro la politica di austerità e di dure riforme seguita dal governo liberal ed europeista del premier Donald Tusk.

La gente in piazza dice no all’elevamento dell’età pensionabile a 67 anni (anziché 65 per gli uomini e 60 per le donne), a riforme deregolatorie del mercato del lavoro, a severi cambiamenti sul fronte della previdenza. Tutte riforme volute da Tusk in sintonia con Berlino, Bruxelles e la Bce in vista del possibile ingresso della Polonia nell’Euro.

“L’operazione è tecnicamente riuscita, ma il paziente…”

Nello stesso giorno in cui il palazzo festeggia l’annuncio del ritiro da parte della Commissione Europea della procedura di infrazione per eccesso di deficit, l’OCSE rivede in peggio le previsioni sulla disoccupazione ufficiale. Che continuerà a crescere per tutto quest’anno e per quello prossimo, fino a superare il 12%,un livello da anni trenta del secolo scorso.

Se davvero la questione sociale fosse al centro delle preoccupazioni, il secondo dato avrebbe la precedenza sul primo. Ma naturalmente non è così.

Con le politiche di austerità la classe dirigente del paese ha scelto consapevolmente di pagare le riduzione dello spread finanziario con la più che proporzionale crescita dello spread sociale, il resto sono solo lacrime di coccodrillo e ipocrisia elettorale.

Il Presidente della Corte dei Conti ha calcolato in 230 miliardi di euro il mancato prodotto dovuto alle politiche di austerità. Se nel 2014 sarà possibile davvero, come sostiene il governo, recuperare 10 miliardi per investimenti, sarà un ventitreesimo di ciò che si è perso.

La crisi e la recessione, con i loro costi sociali sempre più alti, continueranno non malgrado, ma proprio a causa di quella scelta prioritaria di riduzione del deficit per cui oggi Monti e Letta sono premiati in Europa.

Come si dice nei più falsi comunicati medici, l’operazione è tecnicamente riuscita, ma il paziente…

Immagino a questo punto la solita obiezione scandalizzata: ma la riduzione del debito pubblico è una priorità assoluta, chi la rifiuta è nemico della buona economia e delle nuove generazioni, a cui quelle vecchie spendaccione lasciano da pagare i conti delle loro dissipatezze.

Per mostrare il carattere assolutamente ideologico e in malafede di questa affermazione basterebbe un dato di fatto. Cioè l’aumento dell’ammontare del debito pubblico.

Da quando Berlusconi, Monti e ora Letta hanno adottato l’austerità, lo stock del debito è aumentato di quasi 200 miliardi. Quindi le politiche del rigore lasciano alle nuove generazioni più debito da pagare di quelle della “spesa facile”.

Se però consideriamo troppo volgare misurarci con la brutalità di questi dati di fatto, allora andiamo alla idea di fondo.

Cosa lasciano le generazioni precedenti a quelle future? Quello che hanno ereditato dal passato, dal Colosseo alle strade agli ospedali alle scuole, e quello che hanno speso per mantenere e migliorare i beni ricevuti. Il debito non è dunque male in sé, lo diventa in base a quello che finanzia.

Se si spende per migliorare la vita, l’ambiente, la cultura, si lascia un debito che le generazioni future non potranno che positivamente condividere.

Se il debito serve a pagare i profitti delle banche e della finanza, la corruzione, gli F35 e la Tav in Valsusa, allora è giusto che sia messo in discussione.

Il paradosso è che le politiche di taglio del debito nel nome delle nuove generazioni lasciano sostanzialmente inalterate le spese cattive, e massacrano quelle buone. Questa è la sostanza della austerità, che altro non è che il tentativo di continuare le politiche economiche liberiste in crisi, facendone pagare tutti i costi non genericamente a questa o a quella generazione, ma a tutte le persone più povere di tutte le generazioni e a ogni età del mondo del lavoro.

Perché da noi non ci si divide aspramente su questo? Perché la politica ufficiale si scontra spesso sul nulla e mai sul debito, sull’austerità e sui patti europei che la impongono?

Il conformismo delle classi dirigenti e l’assenza di uno scontro tra alternative reali, che ha come primo effetto l’astensionismo di massa, non è però solo colpa della casta politica o sindacale.

Anche gli intellettuali e il mondo della informazione hanno la loro quota di responsabilità.

Negli Stati Uniti il premio Nobel Paul Krugman è arrivato agli insulti con i teorici liberisti della austerità Rogoff e Rheinart. In Italia gli esperti economici ufficiali di destra e sinistra quando vanno in tv si danno sempre ragione gli uni con gli altri. E infatti è stato ancora una volta l’americano Krugman ad attaccare Alberto Alesina e la Bocconi per i danni che le loro teorie economiche stanno combinando in Italia e in Europa. In Italia silenzio.

È di questo che muore il paese, di cure sbagliate propalate e accettate da gran parte della classe dirigente politica e intellettuale per malafede, conformismo, opportunismo.

Da noi più che mai la crisi economica è crisi intellettuale e morale.

Articolo di Giorgio Cremaschi

tratto da “Micromega” “L’operazione è tecnicamente riuscita, ma il paziente…”

Via gli zombie dell’euro, l’Ue è fondata sull’imbroglio

Addio euro: si avvicina la fine di quella che è stata una pericolosa “avventura forzata” per i popoli europei e, al tempo stesso, un gioco d’azzardo per il mondo della finanza. Il premio in palio era la stabilità economica, come valore-guida di un’Europa immaginata libera, giusta e portatrice di civiltà e benessere? Fallimento totale: stiamo cercando di sopravvivere tra le macerie di un’Europa «instabile, schiavizzata, ingiusta e impoverita», osserva Alberto Conti su “Megachip”. Da noi, la crisi del sistema dominante, made in Usa, è stata aggravata dalla perdita rovinosa della sovranità monetaria – unica vera leva per attutire i colpi – e dal grande imbroglio delle politiche salariali tedesche, che «ha rappresentato la complicanza mortale di un sistema già malato». Puntando all’egemonia, non potendo svalutare la moneta, la Germania ha “svalutato” i salari, «provocando così differenziali d’inflazione che hanno rapidamente messo fuori gioco gli avversari più deboli nella gara della competitività produttiva e commerciale».

Questo, aggiunge Conti, ha prodotto flussi costantemente monodirezionali di merci esportate e corrispondente denaro importato, in un contesto sistemico incredibilmente privo di meccanismi compensativi automatici come negli Usa, dove invece esiste da sempre un unico debito pubblico federale, il cui costo in interessi è minimizzato dalle politiche monetarie espansive della Fed, pronta a soccorrere l’economia reale. «Al contrario, la Bce per Statuto non può e non vuole intervenire direttamente sui singoli debiti pubblici dei partecipanti, abbandonati a se stessi ed agli attacchi finanziari speculativi che amplificano gli spread», aggravando ulteriormente i differenziali di competitività. «In pratica è un meccanismo micidiale che crea disomogeneità e instabilità nel cuore del sistema Europa: ma un gioco d’azzardo truccato a più livelli non è più un gioco, è una truffa». La prova? «Sono gli effetti devastanti che produce, come l’esplosiva sperequazione sociale di redditi e ricchezze in tutti gli Stati, l’esplosione di debiti prima privati e poi pubblici, l’esplosione del gap competitivo nord-sud (fenomeno Piigs+Francia), la desertificazione del tessuto produttivo nelle aree più colpite, episodi d’insolvenza assistita con un accanimento terapeutico interessato e sadico, sofferenze e tensioni sociali, populismi e derive fasciste».

Prima domanda: esiste una via d’uscita democratica per salvarsi da questo obbrobrio oligarchico, che ormai i cittadini europei detestano? E poi: quanto tempo potrà ancora durare quest’ordine sociale di cui l’euro è sostanza e ideologia? La corda sta per spezzarsi, avverte Conti: la Grecia è alla fame, e ora serpeggia anche il panico del contagio per il “prelievo forzoso” imposto sui conti correnti di Cipro, sempre per “restare nell’euro”. Vacilla seriamente anche l’Italia: «Assistiamo sgomenti alla caduta libera di tutti i nostri principali parametri macroeconomici, con una sofferenza sociale ormai incontenibile anche dalla censura mediatica». Di questo passo, aggiunge Conti, saremo proprio noi italiani a dover dichiarare default e, di conseguenza, a decretare la fine della partita euro, per tutti i partecipanti. Un epilogo «prematuro quanto inglorioso, con conseguenze tanto più gravi e dolorose per noi quanto più non saranno governate al fine di contenere i danni».

Exit strategy? Decisioni “rivoluzionarie”: impedire la fuga di capitali all’estero, salvaguardare ad ogni costo un reddito minimo di sopravvivenza per le fasce deboli ormai sempre più vaste, creare lavoro dignitoso per tutti, bloccare l’emorragia di ricchezza operata dagli speculatori finanziari a cui abbiamo “liberisticamente” spalancato le porte. «Il liberismo sfrenato che ha inaugurato l’era di questa Ue, con questa architettura monetaria, in pochi anni ha provocato tali devastazioni che ormai si presenta definitivamente come un lusso che non ci possiamo più permettere». Lasciar fare ai “mercati”? Significa precipitare verso la calamità estrema, il default disordinato, modello Argentina. Al contrario, serve «una rinnovata sovranità di popolo, anche monetaria», perché niente sarà come prima, e nessun aiuto potrà venire dai falsari del liberismo oligarchico, «impostoci dall’alto e accettato passivamente da una casta partitica ormai zombificata». Parafrasando Monti: possiamo ringraziare l’euro, perché coi suoi disastri ci insegna quello che non dobbiamo più fare. «Qualunque soluzione vera ai problemi scatenati dall’euro inizia col mandare a casa tutti i suoi paladini irriducibili, Monti in testa, seguito da Bersani: l’unione europea è cosa troppo importante per lasciare che venga distrutta da questi falsi profeti».

Articolo tratto da www.libreidee.org

Eurodisastro. In Grecia il governo chiude la tv di Stato. E’ l’ultimo atto di violenza contro il popolo greco su ordine della Troika

Il punto 9 dell’ultimo “memorandum” parlava esplicitamente del licenziamento e della cassa integrazione nel settore pubblico per 15.000 persone  entro il 2012,  da elevare a 150.000 entro il 2015. Secondo la Troika però il governo greco non avrebbe rispettato la tabella di marcia concordata, che prevedeva, proprio per il comparto radiotelevisivo, il licenziamento immediato di 2000 dipendenti.

Prima i commercianti hanno svuotato le tasche degli italiani (1000 £ = 1 €) e ora piangono

Per una saracinesca che si alza, tre chiudono. La distribuzione commerciale ha registrato la cancellazione dall’inizio del 2013 di circa 21.000 imprese, per un saldo negativo di 12.750 unità. E’ necessario evitare l’aumento dell’Iva e sgravare le tasse su imprese e famiglie.

La Germania mette sotto processo l’Euro ma, finora, è l’unica che ne ha tratto vantaggio

La Corte Costituzionale tedesca ha iniziato l’esame dei vari ricorsi presentati dagli ‘euroscettici’ contro il piano dell’Eurotower di sostegno ai Paesi periferici dell’euro attraverso l’acquisto di titoli di Stato (Outright monetary transactions, Omt)….Parte il processo tedesco all’euro. Spread a quota 275, Borse in rosso…..

Al di là delle sottigliezze giuridiche, il dibattito in corso alla Corte costituzionale tedesca sulle strategie della Bce è ancorato ad una potente zamorra emotiva: la rivolta del contribuente tedesco contro il saccheggio del suo portafogli per far fronte ai debiti degli scriteriati partner mediterranei. Ma si tratta di un problema fasullo. Dalla crisi scoppiata nel 2009, il bilancio pubblico tedesco trae assai più benefici che danni….Lo spread fa ricca la Germania 80 miliardi dal calo dei tassi….

La Merkel lo ha capito.

La cancelliera in persona (parlando a Berlino al convegno del Bdi, la Confindustria tedesca) e, il vero numero due del governo, cioè l’autorevolissimo ministro delle Finanze – ed ex braccio destro di Helmut Kohl per l’Europa – Wolfgang Schaeuble, sono scesi in campo con dichiarazioni pubbliche di aperto e incondizionato sostegno alla scelta di Mario Draghi di creare il dispositivo per le Outright monetary transactions (Omt), cioè le possibilità per la Bce di effettuare sui mercati secondari acquisti con liquidità se necessario illimitata di titoli sovrani di Paesi dell’Eurozona in difficoltà al fine di difendere la moneta unica….Parte il processo tedesco alla Bce, sostegno a sorpresa di Merkel a Draghi….

Tutti pazzi per le riforme! Anche quando non c’è nulla da riformare.

Che paese l’Italia! Un popolo di santi, poeti, navigatori e da qualche tempo in qua di riformatori.

Fare le riforme è lo slogan di tutte le forze politiche e non. Quasi un intercalare che riempie il vuoto silenzioso di chi non sa che dire. Ma quali riforme? In che modo? Con che logica? Con quale criterio?

Riformiamo tutto! Ecco il manifesto della terza Repubblica.

L’Euro ha i giorni contati?

È il momento del dito sul grilletto, titola Der Spiegel. Comincia domani la lunga estate calda col fiato sospeso per il futuro della moneta unica e al fondo della stessa Unione europea. La Corte costituzionale tedesca inizia l’esame dei ricorsi di diversi euroscettici contro la Banca centrale europea per il suo sostegno con liquidità illimitata ai titoli sovrani dei Paesi in crisi. È un processo all’euro, e ancor più alla linea Draghi alla guida della Eurotower, quello che inizia tra 24 ore sullo sfondo della campagna elettorale tedesca e della crisi dell’eurozona, e potrebbe finire solo dopo le politiche federali del 22 settembre.

Per quanto i ricchi possano consumare, non consumeranno mai come il restante 99% della popolazione.

PoveroCosì Joseph Stiglitz, assieme al collega italiano Mauro Gallegati, ha presentato un nuovo teorema di cui già si è parlato a lungo e che trafigge al cuore il pensiero unico: quando i ricchi (ovvero l’ 1% più ricco della popolazione) si appropriano del 25 per cento del reddito scoppia la «bomba atomica economica».

E’ una cosa abbastanza ovvia: per quanto essi possano consumare non consumeranno mai come il restante 99% della popolazione. Non possono mangiare 99 volte di più, non possono guidare 99 automobili, prendere 99 aerei contemporaneamente, fare 99 viaggi nello stesso tempo, portare 99 giacche griffate lo stesso giorno o 99 mutandine di pizzo. E più sottraggono risorse all’altro 99 % , più spezzano le gambe alla middle class, più si affossano l’economia.