La Corte dei Conti non ratifica il contratto dei regionali? Un articolo stampa ha creato allarmismo al momento immotivato

Un articolo pubblicato sul giornale di sicilia di ieri dal titolo: “La Corte dei Conti non ratifica il contratto dei regionali” ha creato una certa preoccupazione tra i dipendenti regionali.

In realtà a creare allarmismo è solo il titolo, in quanto nel corpo dell’articolo viene spiegato che, al momento, si tratta solo di una richiesta di chiarimenti da parte della Corte dei Conti.

L’articolo prende spunto da una nota con cui la Corte dei Conti, Sezione di Controllo per la Regione Siciliana, chiede chiarimenti all’amministrazione regionale in merito all’ipotesi di contratto collettivo regionale di lavoro 2019-2021.

La richiesta di chiarimenti riguarda i seguenti punti:

  1. numero di unità del personale degli enti di cui all’art. 1 della L.r. 10/2000 e le relative coperture;
  2. la quantificazione complessiva degli oneri derivanti dal contratto e il valore della retribuzione media annua;
  3. maggiori chiarimenti vengono chiesti relativamente ad alcune unità di personale destinatario del CCNL del settore privato che non producono oneri sul rinnovo contrattuale;
  4. maggiori chiarimenti vengono chiesti sul personale cessato dal servizio;
  5. è stata chiesta la quantificazione dell’esatto onere a regime;
  6. l’indicazione degli stanziamenti di bilancio e degli accantonamenti sufficienti a finanziare l’erogazione degli arretrati;
  7. la quantificazione delle somme erogate a titolo di vacanza contrattuale.

La nota della Corte dei Conti si conclude ricordando che la Regione è in ritardo nell’approvazione del rendiconto 2023 e “sembrerebbero essere attualmente carenti i presupposti di natura giuscontabile per l’eventuale corresponsione degli emolumenti arretrati (…….). Si chiede, quindi, di chiarire – conclude la nota – in considerazione del ritardo nell’approvazione del rendiconto per l’esercizio 2023, come la Regione intende porre rimedio alla questione del divieto posto (……..)”.

L’amministrazione pare abbia già inviato i chiarimenti richiesti.

Il nodo cruciale rimarrebbe l’approvazione del rendiconto. Dagli uffici del Dipartimento Bilancio trapela un cauto ottimismo. Si potrebbe a parere loro sottoscrivere in via definitiva il CCRL erogando gli aumenti e gli arretrati dell’anno corrente, subordinando l’erogazione degli arretrati relativi agli anni precedenti all’approvazione del rendiconto cui stanno già lavorando.

Governo, ecco la stangata: pensioni, famiglie e stipendi, servono tagli per 20 miliardi

Tratto da money.it

Con la procedura di infrazione la legge di Bilancio sarà “lacrime e sangue”: dalle pensioni fino agli stipendi e alle famiglie, il governo è a caccia di tagli per 20 miliardi.


Riforma delle pensioni? Stipendi più alti? Flat tax? Taglio delle accise? Addio al canone Rai? Sostegno alle famiglie e alle fasce più economicamente in difficoltà? Tutte promesse elettorali del governo che devono fare i conti con una letterina proveniente da Bruxelles recante una poco lusinghiera notizia: l’Italia come altri sei Paesi comunitari – Francia, Belgio, Ungheria, Malta, Polonia e Slovacchia – è sotto procedura di infrazione per debito eccessivo.

Basta gettare la palla in tribuna o fare il gioco delle tre carte in attesa di superare le elezioni europee, adesso l’Italia è chiamata a fare i conti con la realtà e il prezzo da pagare sarà salatissimo: almeno 20 miliardi di tagli da fare subito, poi circa 10 miliardi ogni anno fino al 2032.

Parlare di riforma delle pensioni, del fisco o di stipendi più alti e di un rafforzamento del welfare, di conseguenza appare fuori luogo visto che le tre parole d’ordine da qui a sette anni saranno: tagli, tagli e ancora tagli.

In estate Giancarlo Giorgetti dovrà presentare il Def programmatico, ovvero indicare tutti quei numeri che in aprile sono stati depennati in nome del quieto vivere in attesa delle elezioni europee.

Come un pugile che per svariate riprese non ha fatto altro che girare intorno al suo avversario, il ministro dell’Economia – che non a caso viene dato come propenso a traslocare a Bruxelles per non fungere da capo espiatorio – a breve dovrà mettere nero su bianco i probabili 20 miliardi di tagli alla spesa che saranno necessari nella prossima finanziaria.

In questo scenario una domanda sorge spontanea: dove deciderà di risparmiare il governo? Al momento tutti i sospetti a riguardo sembrerebbero ricadere su pensioni, stipendi e sociale.

Pensioni, stipendi e famiglie, dove taglierà il governo

Negli ultimi mesi in Europa ha preso il via una raccolta firme per chiedere una tassa destinata ai miliardari, un modo questo per fare cassa racimolando soldi lì dove ce ne sono in abbondanza.

Una strada questa che il governo non sembrerebbe essere disposto a imboccare, preferendo invece seguire la via dei tagli alla spesa pubblica – scuola, sanità ed enti locali – e delle rinunce alle riforme promesse.

La cosa più logica sarebbe quella di non prorogare anche nel 2025 i tagli al cuneo fiscale e all’Irpef. Le due misure nel complesso pesano per 15 miliardi, ma il governo ha il disperato bisogno di piazzare un paio di bandierine per addolcire al meglio l’amara pillola per gli italiani.

Salvare gli aumenti degli stipendi e il primo abbozzo di riforma fiscale per milioni di italiani, significherebbe però dover fare cassa inevitabilmente sulle pensioni: addio a Quota 103, Opzione Donna e tutte le altre misure ipotizzate.

Anzi, secondo La Repubblica sulle pensioni il governo “sarà tentato di tagliare ancora l’indicizzazione degli assegni all’inflazione che da gennaio torna a essere più favorevole”. Di certo non sarebbe il massimo per chi ha fatto campagna elettorale promettendo il superamento della riforma Fornero.

Per le famiglie non andrebbe meglio. In bilico ci sarebbero tutte quelle misure introdotte dal governo Meloni nell’ultima legge di Bilancio e che dovranno essere rifinanziate nel 2025: dai mutui per le coppie giovani fino agli sgravi per le mamme lavoratrici con due figli e ai vari fringe benefit.

Non saranno prese in discussione poi le ipotesi di tagli al canone Rai o alle accise sui carburanti, mentre potrebbero sbucare fuori 600 milioni per rifinanziare la card “Dedicata a te”.

L’unica buona notizia è che tra avanzi di bilancio e nuove entrate, il governo potrebbe avere a disposizione un tesoretto da 7 miliardi: la coperta comunque resterebbe sempre corta e l’esecutivo presto sarà chiamato a fare le sue scelte.

Cassazione. Licenziamento legittimo per rifiuto ingiustificato di mansioni

Tratto da qdpnews.it

La Cassazione conferma: si può perdere il posto se ci si rifiuta immotivatamente di svolgere compiti diversi nell’ambito della propria qualifica (sentenza 24.06.2024 n. 17270).

La recente sentenza della Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro, ha stabilito che il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è legittimo quando un lavoratore si rifiuta ripetutamente e senza valide ragioni di svolgere mansioni diverse all’interno della propria qualifica.

Caso in esame – La vicenda riguarda un dipendente licenziato il 25.09.2018 per essersi rifiutato di eseguire la prestazione lavorativa per quattro giorni consecutivi. Egli sosteneva di non essere tenuto a svolgere mansioni di autista, ritenendosi un operatore ecologico. Solo successivamente aveva prodotto un certificato medico attestante un problema fisico.

Decisioni delle Corti inferiori – La Corte d’Appello di Catanzaro aveva respinto l’impugnazione del licenziamento, ritenendo irrilevante la sintomatologia dolorosa dichiarata dal dipendente, poiché in contrasto con le sue dichiarazioni scritte sui fogli di servizio.

Secondo il contratto collettivo, la conduzione di veicoli rientrava nelle mansioni del lavoratore.

Motivi del ricorso in Cassazione – Il dipendente ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo la violazione degli artt. 2104 c.c. e 73, c. 2 del C.C.N.L., oltre alla nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione. Secondo il lavoratore, il giudice non poteva estendere i motivi di licenziamento oltre quanto stabilito dal contratto collettivo.

Decisione della Cassazione – La Corte Suprema ha respinto il ricorso, confermando la sentenza della Corte d’Appello. La Cassazione ha ribadito che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa e giustificato motivo nei contratti collettivi ha solo valenza esemplificativa. Spetta al giudice valutare la gravità del fatto e la proporzionalità della sanzione rispetto agli elementi concreti del caso.

Nel caso specifico, il rifiuto reiterato e ingiustificato del lavoratore di svolgere le mansioni assegnate è stato ritenuto sufficiente a giustificare il recesso del datore di lavoro, indipendentemente dalle previsioni del contratto collettivo. La Suprema Corte ha quindi confermato la legittimità del licenziamento, riconoscendo la gravità della condotta del dipendente e la proporzionalità della sanzione applicata.

Questa sentenza assume particolare rilevanza in quanto sottolinea la necessità di una corretta interpretazione e applicazione delle clausole contrattuali e delle disposizioni di legge in materia di licenziamenti individuali. Gli operatori del diritto e le parti sociali sono chiamati a valutare attentamente le circostanze di ogni singola controversia, evitando un’applicazione meramente formalistica delle previsioni contrattuali.

La Cassazione ribadisce i doveri del lavoratore e i poteri del giudice – La sentenza interviene su un tema fondamentale nel diritto del lavoro: il rapporto tra le mansioni assegnate al lavoratore e la sua qualifica contrattuale.

La decisione ribadisce un principio cardine, ovvero che il dipendente è tenuto a svolgere i compiti affidatigli dal datore di lavoro, a condizione che questi rientrino nell’ambito delle competenze previste dalla sua qualifica.

La Suprema Corte, inoltre, conferma il ruolo fondamentale del giudice, che ha il potere di intervenire anche al di là delle specifiche previsioni dei contratti collettivi, al fine di garantire un equilibrio tra i diritti e i doveri delle parti coinvolte nel rapporto di lavoro.

Questa pronuncia rafforza la posizione dei datori di lavoro nel contrastare comportamenti inadempienti o irregolari da parte dei dipendenti. Tuttavia, è importante sottolineare che la sentenza non rappresenta un “ via libera” per licenziamenti arbitrari o ingiustificati. Il lavoratore, infatti, mantiene il diritto di rifiutarsi di svolgere mansioni che esulano dalle sue competenze o che non sono previste dal contratto di lavoro. In tali casi, un eventuale licenziamento sarebbe considerato illegittimo.

La decisione della Cassazione, quindi, mira a trovare un punto di equilibrio tra le esigenze organizzative dell’azienda e la tutela dei diritti dei lavoratori. Da un lato, si riconosce la necessità per il datore di lavoro di poter contare sulla flessibilità e sulla collaborazione dei dipendenti nello svolgimento delle mansioni assegnate. Dall’altro, si ribadisce l’importanza di rispettare la professionalità e le competenze del lavoratore, evitando abusi o richieste che esulano dall’ambito contrattuale.

Centri per l’impiego, 98 posti disponibili con lo scorrimento delle graduatorie

Tratto dal sito www.regione.sicilia.it

Poco meno di 100 posti a tempo indeterminato ancora disponibili all’interno degli uffici dei Centri per l’impiego siciliani. L’assessorato regionale della Funzione pubblica ha pubblicato i due decreti con i quali si procede all’ulteriore scorrimento delle graduatorie concorsuali per i profili di CPI IAC Istruttore amministrativo contabile (53 posti, con possibilità di scorrimento fino alla posizione 333) e CPI OML (45 posti ancora disponibili, con possibilità di scorrimento fino alla posizione 540).
Una procedura che consentirà di immettere in servizio, complessivamente, 311 unità a tempo indeterminato per la figura di Operatore del mercato del lavoro (Categoria C) e 176 per la posizione di Istruttore amministrativo contabile.

«Con questo ulteriore scorrimento – afferma l’assessore regionale della Funzione pubblica, Andrea Messina – speriamo di riuscire a coprire tutti i posti messi a concorso e a fornire il necessario potenziamento degli organici. È singolare, però, che a fronte di una forte richiesta di lavoro che proviene dall’Isola si registri un così alto numero di rinunce da parte dei vincitori. È un fenomeno che fa riflettere e ci induce a ritenere che l’impiego alla Regione, fino a oggi tra i più ambiti, abbia perso forse la sua attrattiva, surclassato da scelte che risultano più appetibili sotto il profilo remunerativo e delle opportunità di carriera».

Nei piccoli comuni le quote per le progressioni economiche sono “libere”

Tratto da lentepubblica.it

Lo sostiene un recente parere del Dipartimento della Funzione Pubblica: nei comuni più piccoli le progressioni economiche sono “libere” e non si deve attendere il principio delle quote limitate.


Un recente chiarimento dell’ufficio per le relazioni sindacali del dipartimento della Funzione pubblica, espresso nel parere DFP-0022327-P-27/3/2024, ha gettato luce su una questione spinosa riguardante le progressioni economiche negli enti locali di dimensioni più contenute.

Secondo il decreto Brunetta (articolo 23, comma 2 del Dlgs 150/2009), e ribadito nel Testo unico del pubblico impiego (articolo 52, comma 1-bis del Dlgs 165/2001), le progressioni economiche devono avvenire in modo selettivo, limitato a una quota di dipendenti. Più in dettaglio l’articolo 23, comma 2, d.lgs. n. 150 del 2009, dispone che “Le progressioni economiche sono attribuite in modo selettivo, ad una quota limitata di dipendenti, in relazione allo sviluppo delle competenze professionali ed ai risultati individuali e collettivi rilevati dal sistema di valutazione“.

Questo principio è stato interpretato come il riconoscimento della progressione a non più del 50% dei potenziali beneficiari.

Tuttavia, sorge il dilemma quando ci si trova di fronte a situazioni in cui esiste un solo dipendente candidato alla progressione economica. In tali casi, l’applicazione rigorosa del principio della selettività rischierebbe di bloccare indefinitamente il suo avanzamento economico.

Nei piccoli comuni le quote per le progressioni economiche sono “libere”

La questione sottoposta all’attenzione dei tecnici della Funzione Pubblica ha ricevuto una risposta piuttosto chiara. Pur mantenendo i requisiti di partecipazione stabiliti dalla contrattazione nazionale, quali la permanenza nella posizione economica di partenza per un certo numero di anni e l’assenza di sanzioni disciplinari significative negli ultimi due anni, è possibile procedere al riconoscimento della progressione economica anche in assenza di più potenziali beneficiari.

Questo avviene quando vengono raggiunti i risultati stabiliti nel sistema di misurazione e valutazione della performance dell’ente, e quando sono evidenti il conseguimento dell’esperienza professionale e le capacità culturali e professionali richieste dalle norme di legge e di contratto.

In sostanza, l‘importante è che il dipendente in questione abbia dimostrato di soddisfare i requisiti prestabiliti e di aver conseguito i risultati previsti, garantendo così una progressione economica basata sul merito e sulla valutazione delle sue competenze, anche se ciò implica una deviazione dal principio della quota limitata.

Il significato e l’impatto del parere

Questa interpretazione rappresenta un delicato equilibrio tra due esigenze fondamentali: da un lato, la necessità di assicurare un avanzamento economico equo e basato sul merito per i dipendenti degli enti locali; dall’altro, il rispetto dei principi normativi e delle regole stabilite dalla legislazione in materia di pubblico impiego.

Il concetto di equità implica che i dipendenti debbano essere valutati e ricompensati in base al loro contributo effettivo e alle loro prestazioni, piuttosto che a fattori esterni o politici. In tal senso, garantire una progressione economica basata sul merito significa riconoscere e premiare coloro che dimostrano di avere le competenze, l’esperienza e la capacità di raggiungere gli obiettivi prefissati.

Allo stesso tempo, il rispetto dei principi normativi è essenziale per assicurare la coerenza e la legalità delle procedure adottate negli enti locali. Le leggi e i regolamenti devono essere applicati in modo uniforme e imparziale, garantendo che le decisioni prese siano conformi ai dettami della normativa vigente.

L’adattamento alle peculiarità delle situazioni locali è cruciale perché ogni ente ha le proprie caratteristiche, risorse e esigenze specifiche. Ciò significa che le politiche e le pratiche relative alla progressione economica devono tener conto del contesto in cui operano gli enti locali, adattandosi alle loro particolari circostanze senza compromettere i principi fondamentali di equità e legalità.

Il testo del parere della Funzione Pubblica

Qui il documento completo.

Progressioni economiche: chiarimenti sulla media delle valutazioni individuali

Tratto da lentepubblica.it

Un recente parere emanato dall’Aran fornisce alcune interessanti delucidazioni sulla media delle valutazioni individuali ai fini dell’attribuzione delle progressioni economiche ai dipendenti pubblici.


Nello specifico, il parere CFC128 è rivolto al comparto delle Funzioni Centrali, ma è comunque indicativo anche per tutto il pubblico impiego in generale.

Il quesito sottoposto all’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni è il seguente:

Come si deve interpretare il criterio stabilito nel comma 2, lett. d), n. 1) dell’articolo 14 del CCNL comparto Funzioni Centrali del 09/05/2022 concernente la “media delle ultime tre valutazioni individuali annuali conseguite” relativo alle progressioni economiche all’interno delle aree?

I criteri di valutazione nelle progressioni economiche dei dipendenti pubblici

Nel contesto delle progressioni economiche dei dipendenti pubblici, i criteri di valutazione giocano un ruolo cruciale nel determinare l’avanzamento di carriera e l’attribuzione di differenziali stipendiali.

Le progressioni economiche dei dipendenti pubblici sono disciplinate dai contratti collettivi nazionali (CCNL) e da accordi integrativi tra le amministrazioni e le organizzazioni sindacali. I criteri di valutazione per l’attribuzione delle progressioni economiche possono variare a seconda del CCNL e dell’accordo integrativo di riferimento, ma in generale si basano su una serie di fattori, tra cui:

  • valutazione individuale: la valutazione individuale del dipendente negli ultimi anni, in base a parametri come la produttività, l’efficienza, la qualità del lavoro, il raggiungimento degli obiettivi e le competenze.
  • esperienza lavorativa: l’anzianità di servizio del dipendente e l’esperienza maturata nel ruolo ricoperto.
  • titolo di studio: il titolo di studio posseduto dal dipendente, con particolare riguardo a titoli di studio attinenti al ruolo ricoperto.
  • formazione: la partecipazione del dipendente a corsi di formazione e aggiornamento professionale.
  • comportamento disciplinare: l’assenza di sanzioni disciplinari a carico del dipendente.

Oltre a questi criteri generali, gli accordi integrativi possono prevedere anche altri criteri specifici, come la conoscenza di lingue straniere o l’utilizzo di strumenti informatici.

In sintesi, i criteri di valutazione per le progressioni economiche dei dipendenti pubblici mirano a promuovere un ambiente lavorativo basato sul merito, valorizzando le competenze e le prestazioni attraverso metodologie di valutazione chiare e obiettive.

Progressioni economiche: chiarimenti sulla media delle valutazioni individuali

Nell’ambito del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) per il comparto delle Funzioni Centrali, si pone l’attenzione sul criterio definito nel comma 2, lettera d), numero 1) dell’articolo 14 riguardante le progressioni economiche all’interno delle aree.

Secondo quanto precisato dal comma 1 dello stesso articolo, i differenziali stipendiali attribuiti ai dipendenti in caso di progressione economica riflettono “il maggiore grado di competenza professionale progressivamente acquisito dai dipendenti nello svolgimento delle funzioni proprie dell’area“. Questo implica che l’Amministrazione deve considerare esclusivamente le valutazioni delle prestazioni effettuate all’interno dell’area specifica in cui si compete per il differenziale stipendiale (o per l’area equivalente secondo il sistema precedente di classificazione).

La locuzione in questione, “la media delle tre ultime valutazioni individuali annuali conseguite“, non impone un criterio rigido basato sulla temporalità delle valutazioni. Piuttosto, consente all’Amministrazione di considerare fino a tre valutazioni del personale, anche se non consecutive nel tempo.

Questo approccio flessibile consente di valutare le competenze professionali acquisite nel corso del tempo, senza vincoli cronologici stretti che potrebbero limitare la valutazione complessiva delle capacità del dipendente. Pertanto, l’Amministrazione può utilizzare valutazioni passate per fornire un quadro completo delle competenze e delle prestazioni del dipendente nel tempo, contribuendo così a una valutazione più equa e completa delle progressioni economiche all’interno delle aree definite dal CCNL.

Questa interpretazione permette di adattare la valutazione alle specificità di ciascun dipendente, rispettando nel contempo i principi di equità e di valorizzazione del merito professionale, pilastri fondamentali del sistema di progressione economica delineato nei contatti del pubblico impiego.

Il testo del parere

CFC128 – Come si deve interpretare il criterio stabilito nel comma 2, lett. d), n. 1) dell’articolo 14 del CCNL comparto Funzioni Centrali del 09/05/2022 concernente la “media delle ultime tre valutazioni individuali annuali conseguite” relativo alle progressioni economiche all’interno delle aree?

Modello di richiesta per essere ricontattati dal sindacato Cobas-Codir in merito all’adesione all’atto interruttivo per il riconoscimento dei contributi previdenziali dei dipendenti regionali stabilizzati per gli anni lavorati come LSU presso la Regione e gli enti collegati

Gentile Sindacato Cobas/Codir,

Con la presente, desidero essere ricontattato/a per poter aderire e ricevere ulteriori informazioni relative all’atto interruttivo per il recupero dei mancati versamenti previdenziali dei dipendenti regionali stabilizzati per gli anni lavorati come LSU presso la Regione e gli enti collegati.

Informazioni Personali:

– Nome e Cognome: [Inserire Nome e Cognome]

– Indirizzo: [Inserire Indirizzo Completo]

– luogo di lavoro

– categoria di appartenenza

– Numero di Telefono: [Inserire Numero di Telefono]

– Indirizzo Email: [Inserire Indirizzo Email]

Data e firma

Performance 2023. Certificazione positiva dell’OIV

Nella seduta di ieri 26 giugno 2024 l’OIV (organismo Indipendente di valutazione) ha validato la relazione sulla performance anno 2023.

Affinché la Funzione Pubblica possa procedere ai pagamenti è necessario che tutti i dipartimenti e uffici equiparati abbiano provveduto a comunicare le assenze e le valutazioni del personale.

AVVISO AGLI ISCRITTI Ricorso riconoscimento previdenziale ex LSU

Palermo, 26 giugno 2026
Com’è noto, il sindacato COBAS CODIR è da sempre impegnato per il riconoscimento del diritto alla copertura previdenziale e pensionistica degli anni lavorati dagli ex LSU presso la Regione e gli enti collegati.
Attualmente come già comunicato precedentemente il COBAS CODIR sta seguendo l’iter di un disegno di Legge nazionale, ancora in itinere, che punta al riconoscimento erga omnes del diritto, risolvendo, “ope il tema dei contributi previdenziali e pensionistici fino ad oggi negati. Diritti sacrosanti che una Repubblica fondata sul lavoro non può ign orare né consentire che vengano calpestati.
Sotto il profilo legale, invece, il COBAS-CODIR aveva, da tempo, avviato un approfondimento finalizzato alla risoluzione della vertenza in via giudiziaria, ma l’Ufficio Legale del Sindacato ha manifestato purtroppo non poche perplessità per l’alto rischio di soccombenza in giudizio cui verrebbero esposti i lavoratori interessati: è stato, quindi, deciso di rinviare l’avvio di eventuali azioni giudiziarie, evitando che gli iscritti del COBAS CODIR possano essere esposti a subire oltre che il danno anche la beffa. Ovvero, come può avvenire in questi casi, al rischio di dovere non solo subire il danno di non vedere riconosciuto il diritto, ma anche di aggiungere la beffa di dovere pagare corpose spese legali in caso di probabile soccombenza in giudizio.
Il nodo cruciale della questione riguarda il tema della prescrizione del diritto, argomento su cui non c’è un’interpretazione univoca e la giurisprudenza è, in buona parte, però, al momento sfavorevoli ai lavoratori.
Il COBAS-CODIR, in proposito, a tutela dei diritti dei lavoratori iscritti procederà, nell’immediato, ad avviare un’azione legale mirata all’interruzione dei termini che eviti ogni possibile rischio di prescrizione del diritto a danno dei lavorato ri riservandosi di agire in giudizio successivamente all’emissione di eventuali sentenze favorevoli passate in giudicato.
L’Ufficio Legale del COBAS-CODIR ha predisposto, quindi, un’azione legale finalizzata a offrire agli iscritti la possibilità di interr ompere gratuitamente e senza alcun rischio i termini di prescrizione, riservandosi di agire in giudizio successivamente in caso di giurisprudenza favorevole ai lavoratori.
Per potere partecipare gratuitamente all’atto di diffida e messa in mora avente valore di immediata interruzione dei termini, invitiamo tutti i lavoratori iscritti al sindacato COBAS-CODIR interessati alla problematica a contattare i responsabili provinciali o regionali del sindacato. In alternativa, si può inviare una e mail a segret [email protected] per chiedere di essere ricontattati dai nostri dirigenti sindacali in quanto interessati all’atto di diffida e messa in mora; tale possibilità è riservata anche nel caso in cui si voglia aderire iscrivendosi per partecipare all’azione.

Carriere nella pubblica amministrazione: tanta anzianità, poco merito*

Tratto da lavoce.info

Le valutazioni sull’operato dei dipendenti pubblici e sulle loro competenze sono sostanzialmente neutralizzate dagli accordi fra la Pa e i sindacati, con un ruolo quasi esclusivo dell’anzianità di servizio. Il caso del ministero dell’Interno.

Il “merito” della riforma Brunetta

Se è vero che la riforma della pubblica amministrazione rientra fra gli obiettivi (trasversali) del Piano nazionale di ripresa e resilienza, è altrettanto vero che nel documento non viene mai espressamente richiamata la parola “merito”. Eppure, la promozione del merito è l’unica alternativa a logiche di pura affiliazione politica o, d’altro lato, alla promozione per sola anzianità di servizio (criterio che, in assenza di forti “motivazioni intrinseche”, abbatte ogni incentivo al miglioramento della prestazione lavorativa).

La riforma Brunetta (Dlgs 150/2009), tuttora in vigore, è invece stata piuttosto esplicita nello stabilire che le Pa “promuovono il merito e il miglioramento della performance organizzativa e individuale, anche attraverso l’utilizzo di sistemi premianti selettivi, secondo logiche meritocratiche” (art. 18). Come se non bastasse, la “capacità di valutazione dei propri collaboratori, dimostrata tramite una significativa differenziazione dei giudizi” (art. 9) è diventata un parametro per la misurazione delle prestazioni dei dirigenti pubblici. Vediamo, a distanza di 15 anni, che ne è di tutto questo.

Le progressioni “orizzontali”: il ruolo egemone dell’anzianità di servizio

Prendiamo come case study il recente bando per le progressioni (cosiddette “orizzontali”) del personale di ruolo civile al ministero dell’Interno. Per ognuna delle tre aree in cui è diviso il personale non dirigenziale (operatori, assistenti, funzionari), la graduatoria si forma a partire da un punteggio individuale così composto: a) 40 per cento media delle ultime tre valutazioni annuali; b) 30 per cento esperienza professionale maturata; c) 30 per cento capacità culturali acquisite. Partiamo dalla lettera b).

Dal bando apprendiamo che i punti di esperienza professionale (lett. b) sono esclusivamente legati agli anni di servizio nell’amministrazione, cioè al trascorrere inesorabile del tempo. Per il personale a tempo indeterminato nella Pa, infatti, vale ancora il regime differenziato della “tutela reale” del posto di lavoro, che rende nella stragrande maggioranza dei casi il rapporto di lavoro vita natural durante. Anche di fronte a  gravi illeciti penali (si veda l’art. 43 del Ccnl comparto funzioni centrali) o a condotte del personale che comportino la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno (art. 55 sexies del Dlgs 165/2001). Addirittura, il punteggio è quasi dimezzato per ogni anno di servizio presso altre amministrazioni, in evidente contraddizione con ogni logica di promozione della mobilità(considerata universalmente uno strumento di sviluppo delle carriere).

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L’azzeramento delle competenze

La parte di punteggio relativa alle “capacità culturali” (lett. c), come vengono ambiguamente definite, è costruita in funzione dei titoli di studio ottenuti. Ma le regole del bando annullano nei fatti l’incidenza di questa componente: vediamo come.

Anzitutto, non si dà rilievo al voto con cui è stato conseguito il titolo: diplomarsi col massimo o col minimo sembrerebbe indifferente. Inoltre, si attribuisce un ruolo egemone (36/36 punti) al conseguimento della laurea magistrale o equivalente: titolo che ormai ha la maggioranza dei candidati a concorsi per l’accesso al pubblico impiego (rapporto di Formez Pa). L’area dei funzionari è quella che riserva più sorprese: la laurea continua a giocare un ruolo quasi egemone (31-34/36 punti), nonostante il titolo di studio – lo dice il bando – serva “per l’accesso dall’esterno al profilo posseduto”. Rimane un massimo di 3 punti per i titoli post laurea. Il dottorato di ricerca, cioè il più alto grado di istruzione previsto nell’ordinamento accademico italiano, attribuisce 1,5 punti. L’abilitazione professionale ancora meno: 1 punto. Parliamo del 3/4 per cento sul totale delle “capacità culturali”, cioè punteggi raggiungibili da un altro candidato, pressoché automaticamente, con uno/due anni di servizio (lett. a).

L’appiattimento delle valutazioni sulla performance

Appurato che la variabile “capacità culturali” (lett. c) serve a distinguere ben poco, resta da capire se almeno le valutazioni sulla performance individuale dei candidati (lett. a) possano giocare un qualche ruolo nella progressione. L‘ultimo dato pubblicato sulla pagina del ministero, risalente all’anno 2021, parla da sé. E fornisce un quadro di prestazioni “ottime” e “eccellenti” – che insieme fanno l’86 per cento delle valutazioni – contrario a qualunque fenomeno di distribuzioni empiriche di tipo “normale”.

Figura 1 – distribuzione fondo di sede e delle performance individuale  (anno 2021)

Fra il personale “eccellente” figurano 2384 unità che, nella distribuzione del “fondo unico di sede”, hanno avuto “una maggiorazione del 30 per cento”. Con che criterio? Nell’accordo fra amministrazione e sigle sindacali relativo all’anno 2021, poi ripreso nell’anno 2022, si legge che quando le “eccellenze” superino il 20 per cento del personale soggetto alla valutazione, cioè di fatto sempre, “si terrà conto della esperienza professionale maturata” (art. 2 lett. d). A decidere anche sui premi è ancora l’anzianità di servizio.

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La contrattazione integrativa è il futuro delle politiche pubbliche?

Quanto analizzato finora è il prodotto della contrattazione integrativa, cioè quell’insieme di accordi, a valle dei Ccnl, tra la Pa e le sigle sindacali più rappresentative. Visto che questi accordi incidono su aspetti centrali del rapporto di lavoro, come le progressioni, è essenziale riconsiderare la fase di implementazione delle politiche pubbliche. Ad esempio, monitorando attentamente se le contrattazioni successive alle riforme legislative ne rispettino lo spirito e gli obiettivi. D’altronde, la Pa, come controparte negoziale, non ha un “obbligo di firma”. La legge prevede infatti che, in caso di mancato accordo, possa regolare in via provvisoria le materie oggetto di contrattazione (art. 40 comma 3-ter del Dlgs 165/2001).