Ecco la deliberazione n. 158 del 18 aprile 2024 “Approvazione disegno di legge: ‘Modifiche ed integrazioni di norme’” con la quale la Giunta ha approvato la riscrittura dell’articolo relativo alla progressione dei dipendenti regionali assunti in base alla legge regionale n. 20 del 1999

Con deliberazione n. 158 del 18 aprile 2024 la Giunta regionale ha approvato il disegno di legge recante: ‘Modifiche ed integrazioni di norme’.

Il testo del DDL e la relazione di accompagnamento sono allegati alla delibera (SCARICA LA DELIBERA).

Mi riprometto di studiare l’articolo con maggiore attenzione, ma, ad un prima lettura, sembrerebbe che non si parli più, per il personale in possesso del diploma di laurea e con esperienza lavorativa maturata nell’amministrazione regionale, di collocamento nel livello contrattuale e qualifica corrispondenti al titolo di studio previsto per l’accesso dall’esterno né per il personale assunto ai sensi dell’art. 4 della L.r. n. 20/99 e smi né per altro personale.

La riscrittura dell’art. 74 della L.r. n. 3/2024 stabilisce, infatti, che “nell’ambito delle procedure di progressione tra le categorie del CCRL del personale del comparto non dirigenziale della Regione siciliana, il 50% delle posizioni disponibili è riservato al personale in possesso del requisito del titolo di studio necessario per l’accesso alla categoria superiore ed esperienza almeno decennale nella qualifica immediatamente inferiore anche assunto ai sensi dell’art. 4 della L.r. n. 20/99 e smi”.

Il nuovo articolo sembrerebbe limitarsi a riservare il 50% delle posizioni disponibili al personale in possesso del requisito del titolo di studio necessario per l’accesso alla categoria superiore ed esperienza almeno decennale nella qualifica immediatamente inferiore anche per il personale assunto ai sensi dell’art. 4 della L.r. n. 20/99 e smi”.

Richiesta convocazione per definizione criteri di attuazione delle progressioni tra le aree

Con la Legge di stabilità regionale 2024-2026 n. 1 del 16 gennaio 2024, art. 7, il legislatore regionale ha recepito la normativa statale in materia di revisione del sistema di classificazione del personale, stanziando a decorrere dall’esercizio finanziario 2024, per le progressioni verticali, un importo pari a euro 3.410.095,00, comprensivo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione e dell’IRAP.
Inoltre, con l’art. 50 della legge regionale 31 gennaio 2024, n. 3, lo stesso legislatore ha stabilito di avviare il processo di potenziamento della dotazione organica del personale della Regione Siciliana, sia per il personale del comparto non dirigenziale che dirigenziale, stanziando euro 20.050.000,00 per l’anno 2024, euro 30.707.814,53 per l’anno 2025 ed euro 40.228.683,62 per l’anno 2026.
Premesso quanto sopra, atteso che l’art. 1 bis del d.lgs. 165/2001 ha previsto che: “Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno, le progressioni fra le aree e, negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area dall’esterno, nonché sul numero e sulla tipologia degli incarichi rivestiti, si chiede alla S.V. di convocare le Organizzazioni sindacali per definire criteri e modalità di attuazione delle progressioni verticali finanziate come sopra specificato.

La sedia vuota – Perché non bisogna sprecare il capitale umano della Pubblica amministrazione

Vi segnalo un interessante articolo di Francesco Verbaro pubblicato su linkiesta.it (che potete leggere più in basso) a proposito delle carenze di personale in tutta la pubblica amministrazione.

Verbaro suggerisce, in estrema sintesi, non un prolungamento dell’età lavorativa, ma di dare al datore di lavoro, nell’attesa di concorsi e selezioni, uno strumento temporaneo per soddisfare i propri fabbisogni chiedendo al lavoratore qualificato di permanere in servizio qualche anno in più, anche con condizioni (orari, lavoro da remoto) diversi.

Mi permetto, sommessamente, di ricordare a Verbaro che la fuga dei dipendenti pubblici è determinata soprattutto dal regime di incertezza che ruota attorno al regime pensionistico. Di anno in anno assistiamo ad accese discussioni sulle pensioni che parlano di giri di vite sulle uscite e tagli dell’assegno (come introduzione di coefficienti peggiorativi nel calcolo della quota retributivo per coloro che beneficiano ancora del sistema misto o il ricalcolo contributivo). Se il rischio è stare di più per prendere di meno. penso che pochi accetteranno di rimanere.

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Di

È sempre più difficile attrarre nuovi laureati nel settore pubblico, quindi sarebbe giusto permettere al personale non dirigenziale dei livelli più alti della Pa di rimanere qualche anno in più per attività di formazione e tutoraggio.


Tempi nuovi e difficili richiedono misure, strumenti e idee innovative. Soprattutto per aiutare la nostra Pubblica amministrazione che oggi si trova a reclutare con approcci e strumenti vecchi in un contesto sempre più complesso. I dati Istat sulla natalità e sulla restrizione della forza lavoro ci dovrebbero far capire che il peggio per l’Italia deve ancora venire. Il reclutamento tradizionale, anche nella sua forma banalizzata dei quiz, non è sufficiente in un contesto storico di emergenza delle risorse umane. I giovani laureati sono pochi, la loro età media è elevata e rifiutano spesso di allontanarsi da casa o vivere e lavorare in città dove il costo della vita è più elevato.

Se nel settore pubblico non riusciremo a remunerare il disagio, il maggior costo della vita e il famoso merito, avremo un reclutamento sempre parziale e fallimentare. Occorre pensare a strumenti nuovi. Si è parlato, ad esempio, dell’apprendistato, ma anche questo strumento, difficile da comprendere e gestire per i nostri deboli uffici del personale avrà bisogno dei tempi lunghi della Pa per essere adottato. Lo stesso si può dire del reclutamento con inquadramento nella quarta Area, per assumere gli esperti che si intendono internalizzare. Un cambio di mentalità per la Pubblica amministrazione necessario anche alla luce della situazione finanziaria del Paese e delle nuove regole europee sul Patto di stabilità.

Occorre pertanto valorizzare e adottare alcuni strumenti che consentano di muoversi meglio in un contesto caratterizzato da scarsità di risorse umane, da incapacità di reclutamento e lenta, troppo lenta, trasformazione digitale. Quest’ultima insieme all’uso dei big data amministrativi potrebbe portarci, in brevissimo tempo, a poter operare ed erogare servizi con meno personale, ma più qualificato.

Per questo diventa ancora più importante la formazione. Non a pioggia o come adempimento, ma mirata per recuperare nell’immediato quelle competenze mancanti e necessarie iniziando a formare quelle persone, che sono meno distanti dal profilo necessario. Bisogna scegliere il settore in cui si può colmare con minore sforzo e in tempi brevi il divario di competenze. Sarà infatti difficile rimediare ad anni di abbandono del personale con una formazione uguale per tutti, in un contesto in cui le risorse destinate alla formazione sono scarse e l’adempimento formale da remoto risulta inutile, rispetto all’emergenza. Occorre intervenire sulle competenze necessarie e prioritarie che richiedono una formazione mirata rispetto ad alcuni fabbisogni. Questa scelta aiuterebbe a contrastare il sottoutilizzo dei dipendenti della Pa.

Il ministro per la Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo ha ricordato quanto è assurdo veder spende meno in formazione nel settore con l’età media dei lavoratori più elevata. Addirittura nel caso delle amministrazioni centrali è ancora vietato, secondo una assurda norma del decreto legge del 2010 che nessuno ha la buona creanza di cancellare. In questo senso è utile guardare a come il settore privato tenti di non perdere nell’immediato quelle competenze preziose che stanno per andare in pensione, trattenendole al lavoro con incentivi. Su questo occorre superare pregiudizi e mali italiani oltre che certe prassi patologiche. Non si tratta di abolire la legge Madia del 2014, odiata da molti grand commis e baroni, ma di prevedere un mantenimento sul posto di lavoro per quelle competenze operative non facili da reperire nel breve periodo.

Nel Paese dove si entra più tardi nel mercato del lavoro e si vuole uscire prima, e quindi con un’età media di pensionamento reale più bassa, esistono tanti lavoratori disponibili a lavorare ancora qualche mese o anno in più oltre al diritto o al limite di pensionamento. Non si tratta di introdurre un diritto in capo al lavoratore al prolungamento dell’età lavorativa, ma di dare al datore di lavoro, nell’attesa di concorsi e selezioni, uno strumento temporaneo per soddisfare i propri fabbisogni chiedendo al lavoratore qualificato di permanere in servizio qualche anno in più, anche con condizioni (orari, lavoro da remoto) diversi. Anche per attività di tutoraggio e formazione, per le quali non dovrebbe valere la legge Madia.

In via sperimentale e al fine di prevenire esperienze patologiche come quelle vissute nel primo decennio di questo secolo con il trattenimento in servizio fino a settanta anni a valere sulle risorse assunzionali, questa volta si tratterebbe di consentire l’applicazione di questa proposta solo per il personale non dirigenziale collocato nei livelli elevati di inquadramento. Di dirigenti ne abbiamo anche troppi e spesso la loro permanenza porta a mantenere in vita uffici inutili e a rallentare la razionalizzazione delle amministrazioni. Mantenere in servizio per qualche anno alcune competenze, specie nelle amministrazioni più piccole, potrebbe aiutare molto la Pa, specie in un momento difficile in cui aumentano i compiti e non si trovano le competenze.

Con l’aumento dell’aspettativa di vita, in molti ambiti del mercato del lavoro assistiamo non solo a richieste di pensionamento anticipato, ma anche a disponibilità di permanenza in servizio oltre eventuali limiti di pensionamento e oltre il requisito minimo. Per affrontare le emergenze in atto, serve maggiore flessibilità e discrezionalità e non tetti e misure flat. Questo richiederà la necessità di porre fiducia nella dirigenza, che anche in questo ambito oggi vitale, quello della gestione delle risorse umane, non dovrà aver paura di valutare e decidere.

Zangrillo, carriera dipendenti pubblici legata a formazione. Intervento ministro PA all’Economic forum ‘Giannini’ di Chiavari

Paolo Zangrillo 2022Fonte ansa.it

La carriera dei dipendenti pubblici sarà legata alla formazione”.

Lo ha annunciato Paolo Zangrillo, ministro della Pubblica Amministrazione nell’intervento inviato all’Economic Forum Giannini di Chiavari, una due giorni di dibattiti nel nome di Amadeo Peter Giannini, il fondatore della Bank of America, di origini liguri.
“Non può esserci una buona crescita senza una buona amministrazione” – ha spiegato Zangrillo parlando della riforma della Pubblica Amministrazione – Non può esserci una buona crescita senza una buona amministrazione che passa dalla formazione.

Rafforzare la capacità amministrativa vuol dire risparmiare miliardi di euro”.

Regione, giunta approva ddl su rilievi del governo nazionale “Collegato”. Prevista la riscrittura dell’articolo relativo alla progressione dei dipendenti regionali assunti in base alla legge regionale n. 20 del 1999

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Approvato dalla giunta il disegno di legge “Impegni governativi” con cui il governo regionale risponde ai rilievi effettuati dalla presidenza del Consiglio dei ministri sulle norme del “collegato” alla legge di Stabilità della Sicilia.

Per un gruppo di articoli, impugnati innanzi alla Corte Costituzionale, si propone direttamente l’abrogazione, mentre per altri, sulla base della “leale collaborazione fra lo Stato e la Regione” e “nel rispetto degli impegni assunti dal governo regionale per superare le ipotesi di incostituzionalità”, viene proposta la modifica.

In particolare, il presidente della Regione, che firma il disegno di legge, ha proposto, tra gli altri, la riformulazione di articoli considerati caratterizzanti per il loro valore sociale. Tra queste, la norma che prevede gli incentivi per i medici impiegati in strutture periferiche o di provincia e quella per l’adeguamento tariffario delle strutture riabilitative per disabili psico-fisico sensoriali, per le comunità terapeutiche assistite, per le residenze sanitarie assistenziali e per i centri diurni per soggetti autistici.

Prevista anche la riscrittura dell’articolo relativo alla progressione dei dipendenti regionali assunti in base alla legge regionale n. 20 del 1999, “Nuove norme in materia di interventi contro la mafia e di misure di solidarietà in favore delle vittime della mafia e dei loro familiari”, riservando il 50 per cento delle posizioni disponibili ed estendendo il beneficio a tutto il personale in possesso dei requisiti richiesti. Inoltre, fino al 31 dicembre 2025 e nell’attesa che venga definita una disciplina statale, il ddl prevede che la legge 20 si applichi anche alle donne vittime di violenza con deformazione o sfregio permanente del viso e ai figli delle vittime di femminicidio.

Oltre alle norme del “collegato”, il testo approvato dalla giunta introduce anche alcune modifiche alla disciplina delle ex Province, fino all’approvazione dell’attesa legge nazionale di riforma degli enti di area vasta per l’introduzione dell’elezione a suffragio universale diretto degli organi. Nel rispetto della sentenza della Corte Costituzionale dello scorso luglio, infatti, il governo regionale prevede intanto l’indizione delle elezioni di secondo livello dei presidenti dei Liberi consorzi comunali e dei consigli metropolitani in una delle domeniche comprese tra il 6 e il 27 ottobre 2024. I commissari straordinari di nomina regionale, quindi, resteranno in carica soltanto fino alla costituzione dei nuovi organi.

Il testo del disegno di legge governativo sarà ora trasmesso all’Ars per la discussione e l’approvazione definitiva.

Statali, sì alla settimana di 4 giorni

Tratto da PAmagazine

Il caso più eclatante è quello di Intesa SanPaolo, la principale banca italiana, che dopo aver rotto l’unità del fronte datoriale, accettando unilateralmente la proposta dei sindacati di un aumento di ben 435 euro mensili (ratificato poi da tutte le altre imprese nel nuovo contratto dei bancari), ha anche sottoscritto un accordo aziendale estremamente innovativo che introduce la settimana lavorativa di 4 giorni, nei quali l’orario viene esteso a nove ore. E non è tutto, perché di tutte queste giornate, ben 120 saranno di lavoro a domicilio.

Un caso, quello di Intesa, che sta facendo scuola, visto che altri grandi gruppi si sono avviati in questa direzione, da Sace a Luxottica e altre ancora la stanno studiando seriamente. Il tema della settimana ultracorta si sta quindi imponendo nel dibattito sindacale, come era già accaduto con lo smart working, anche se stavolta, grazie a Dio, ci è stata risparmiata l’invenzione, alquanto provinciale, di un termine inglese che nessuno nel mondo anglosassone utilizza (in Gran Bretagna o negli Stati Uniti il lavoro a domicilio si chiama remote working, o flexible working, o mobile working, ma non certo smart).

Grande tema, quello della durata della settimana lavorativa, che inevitabilmente ha cominciato a circolare anche nel settore pubblico dove già il lavoro a domicilio è stato accettato solo come soluzione emergenziale durante la pandemia (chi si dimentica l’opposizione ferrea dell’ex ministro Renato Brunetta, ora presidente del Cnel). E infatti le reazioni da parte delle varie amministrazioni non giustificano ottimismi. Nessuno ancora ha affrontato esplicitamente il tema, ma come nel caso del lavoro domiciliare, si fa notare che soluzioni così innovative richiederebbero prima una generale riforma del sistema. Tutto ciò che va in direzione di una maggiore flessibilità, è la tesi di chi non vuole parlare di settimana ultracorta, richiede prima una profonda revisione dei meccanismi di analisi delle performance e di valutazione dell’efficienza. Non solo, si fa notare che servirebbe anche una seria ristrutturazione organizzativa, che non potrebbe non investire la formazione e i modelli di gestione del personale e la stessa dirigenza. La conclusione è che per imboccare questa strada più che di una riforma servirebbe una vera e propria rivoluzione del sistema amministrativo pubblico.

Ora, che non sia più tempo di mettere pezze a un tessuto fin troppo lacerato, come quello della Pubblica Amministrazione, non lo scopriamo oggi ma lo diciamo, per lo più inascoltati, da anni. Io personalmente mi sono sgolato nei convegni ed ho scritto, anche su queste colonne, non so quanti articoli per invocare una nuova visione del lavoro pubblico e investimenti adeguati alla sfida. Sono arrivato a invocare un piano Marshall per la PA, figuriamoci se non sono d’accordo sulla necessità di una rivoluzione del sistema, ma avverto anche la (spiacevole) sensazione che tutta questa enfasi sia un modo come l’altro per mettere le mani avanti e limitarsi a gestire l’esistente. E non è l’unica nota stonata che percepisco. Sì, perché l’obiezione che mi viene per prima in mente, quando sento parlare della settimana ultracorta, non riguarda i modelli organizzativi ma gli organici. Se ogni singola amministrazione soffre di una carenza di almeno un terzo degli addetti, che senso ha parlare di una riduzione delle giornate lavorative?

Già adesso per smaltire gli arretrati non bastano gli straordinari. E’ così vera questa riflessione che in qualche modo le stesse amministrazioni se ne rendono conto, anche se le soluzioni che propongono non vanno nella direzione giusta, come il bonus retributivo concesso ai dipendenti dell’Agenzia delle Entrate per il superlavoro connesso alle pratiche del PNRR. Ben venga ogni tipo di aumento salariale, ma trasformare i colleghi delle Entrate in cottimisti non è la strada migliore per risolvere il problema, quella passa per farli tornare da 29 mila a 43 mila, numero fissato nella loro pianta organica.

L’assoluta priorità della Pubblica Amministrazione, ora, è la ricostituzione degli organici. Primum vivere, deinde philosophari, come dicevano quelli colti. Dopodiché è ovvio che questi nuovi modelli organizzativi approfondiranno il divario già esistente tra lavoro pubblico e privato, rendendo il secondo sempre più attrattivo e competitivo rispetto al primo e non è buttando la palla in tribuna che si potrà invertire la tendenza alla disaffezione che tante volte abbiamo lamentato, ma ora che si apre la complicata fase del rinnovo contrattuale della PA sarebbe già un ottimo risultato se entrambe le parti, sindacato e amministrazioni, stessero focalizzate sulle immediate priorità e la prima di essere, ribadisco, riguarda gli organici.

CCRL 2019/2021. Inquadramento del personale nel nuovo sistema di classificazione. Sarebbe stato possibile uno scivolamento in avanti per tutti o per alcuni? Si può fare riferimento all’inquadramento in caso di mobilità intercompartimentale regolamentata dal DPCM 26 giugno 2015?

Voglio esprimere la mia personalissima opinione relativamente ad un argomento che tiene banco da diverse settimane ovvero l’inquadramento del personale regionale nel nuovo sistema di classificazione con il passaggio dalle 4 categorie alle 3 aree.

Ripeto, è la mia personalissima opinione sulla base della normativa vigente, che non intende assolutamente scoraggiare le azioni di coloro che ritengono sia stata adottata una procedura non corretta.

Sarò ovviamente felicissimo di essere smentito da un giudice in questa mia disamina.

Vediamo cosa stabilisce a tal proposito la normativa vigente, ovvero il testo unico del pubblico impiego (D.lgs 165/01).

L’Art. 52 del D.lgs 165/01 (Disciplina delle mansioni) stabilisce che:

1. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all’articolo 35, comma 1, lettera a). L’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione.
1-bis. I dipendenti pubblici, con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, dei conservatori e degli istituti assimilati, sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali. La contrattazione collettiva individua un’ulteriore area per l’inquadramento del personale di elevata qualificazione. Le progressioni all’interno della stessa area avvengono, con modalità stabilite dalla contrattazione collettiva, in funzione delle capacità culturali e professionali e dell’esperienza maturata e secondo principi di selettività, in funzione della qualità dell’attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito. Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno, le progressioni fra le aree e, negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area dall’esterno, nonché sul numero e sulla tipologia de gli incarichi rivestiti. In sede di revisione degli ordinamenti professionali, i contratti collettivi nazionali di lavoro di comparto per il periodo 2019-2021 possono definire tabelle di corrispondenza tra vecchi e nuovi inquadramenti, ad esclusione dell’area di cui al secondo periodo, sulla base di requisiti di esperienza e professionalità maturate ed effettivamente utilizzate ((dalle amministrazioni)) per almeno cinque anni, anche in deroga al possesso del titolo di studio richiesto per l’accesso all’area dall’esterno.
All’attuazione del presente comma si provvede nei limiti delle risorse destinate ad assunzioni di personale a tempo indeterminato disponibili a legislazione vigente.

Il D.lgs 165/01 vieta, quindi, uno scivolamento in avanti per tutti o per alcuni che non sia giustificato da procedure selettive.

La riclassificazione non prevede alcuna promozione ma è l’adozione di un nuovo sistema classificatorio del personale che avviene attraverso tabelle di equiparazione tra il vecchio e il nuovo sistema classificatorio che tiene conto dei requisiti per l’accesso (per A e B assolvimento dell’obbligo scolastico).
La valorizzazione del personale è la fase successiva prevista dal contratto appena sottoscritto, con la progressione tra le aree (art. 23 del CCRL) per cui è prevista una riserva del 50% dei posti disponibili nell’ambito delle risorse assunzionali.
Il CCRL (art. 24) prevede, inoltre, una norma di prima applicazione cui sono ammessi (solo) i dipendenti in servizio. Le risorse pari allo 0,55 della massa salariale sono già disponibili.
Art. 24 comma 6. “Ai sensi dell’art. 52, comma 1-bis, penultimo periodo, del d.lgs. n. 165/2001, al fine di tener conto dell’esperienza e professionalità maturate ed effettivamente utilizzate dall’Amministrazione di appartenenza, in fase di prima applicazione del nuovo ordinamento professionale e comunque entro il termine del 31 dicembre 2025, la progressione tra le aree ha luogo con procedure valutative cui sono ammessi i dipendenti in servizio in possesso dei requisiti indicati nell’allegata tabella di corrispondenza”.

Cosa diversa è l’inquadramento in caso di mobilità intercompartimentale.
Vediamo cosa dice il D.lgs 165/01 a proposito della mobilità.

L’art. 29-bis del D.legs 165/ 01 (Mobilita’ intercompartimentale) stabilisce che:
1. Al fine di favorire i processi di mobilità fra i comparti di contrattazione del personale delle pubbliche amministrazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previo parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997, sentite le Organizzazioni sindacali è definita, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, una tabella di equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi ai diversi comparti di contrattazione.
Originariamente queste tabelle di equiparazione erano previste dal DPCM 26 giugno 2015 che ha individuato le tabelle di equiparazione tra le varie categorie e posizioni economiche dei dipendenti.

I contratti degli ultimi anni, però, hanno rivisto totalmente gli ordinamenti professionali ed hanno fatto sparire le posizioni economiche all’interno delle singole aree.

Di conseguenza, quelle tabelle non sono più minimamente applicabili.

Oggi la mobilità intercompartimentale è regolamentata dal DPCM 30 novembre 2023 che, appunto,  disciplina i processi di mobilità tra le diverse amministrazioni.

Il recente decreto stabilisce che l’equiparazione tra le aree e le categorie previste per le p.a. di provenienza e di destinazione deve avvenire mediante confronto degli ordinamenti professionali disciplinati dai rispettivi CCNL.

Si deve tenere conto delle mansioni, delle competenze professionali, dei compiti, delle responsabilità e dei titoli di accesso relativi alle declaratorie delle medesime aree e categorie.

Quindi, al dipendente trasferito è attribuito un trattamento economico composto dalla retribuzione tabellare dell’area di inquadramento e dal differenziale stipendiale dell’amministrazione di destinazione.

Il datore di lavoro può controllare la posta elettronica del dipendente?

Tratto da lentepubblica.it

Vediamo se è legale che il datore di lavoro controlli la posta elettronica di uno dei dipendenti, per cercare un illecito.


Se c’è un illecito da confermare, da parte di un dipendente, il datore di lavoro ha la possibilità di controllare la sua posta elettronica?

Dopo l’istituzione della riforma del lavoro del 2015 (il Jobs Act), si sono fatti più sottili i limiti tra controlli e privacy, fra datore di lavoro e dipendenti.

Ma è pur vero che un accesso libero viene considerato illegittimo. Ecco allora quali sono i limiti.

Posta elettronica dipendente: il datore di lavoro può controllarla indistintamente?

Secondo la legge, possono essere effettuati dei controlli sulla messaggistica elettronica dei dipendenti, da parte del datore di lavoro, solo nei seguenti casi:

  • Se avvengono sull’account aziendale (che è di proprietà del datore di lavoro);
  • Se il dipendente viene informato della possibilità dei controlli sulle mail, prima dell’inizio del lavoro (l’informativa deve essere preferibilmente in forma scritta);
  • In caso di “sospetto fondato” di un eventuale illecito da parte del dipendente.

Esclusi questi casi, il datore di lavoro non può controllare la mail dei suoi dipendenti (o ex dipendenti).

Licenziamento dipendente a causa di una mail: è possibile?

Se il datore di lavoro viene a conoscenza di un illecito, all’interno di una mail (come la divulgazione di informazioni riservate o commenti fatti per screditare il vertice aziendale), c’è la possibilità di licenziare il dipendente.

Ma il licenziamento può essere possibile solo se

  • Il dipendente era stato informato della possibilità di controllo della sua posta elettronica;
  • Il controllo della mail viene fatto dopo la notizia della condotta illecita e quindi dopo l’insorgere del sospetto.

In una sentenza del Tribunale del Lavoro di Roma, pubblicata lo scorso 14 febbraio 2024, è stato annullato il licenziamento di un dirigente di una compagnia aerea.
L’azienda aveva ritenuto giusto il licenziamento, perché aveva trovato delle mail denigratorie, nei confronti della governance aziendale, nella casella postale del dipendente.

Le informazioni, però, erano state ottenute tramite un accesso illecito del manager, violando l’art.4 dello Statuto dei Lavoratori e la normativa europea e nazionale sulla privacy. Per questo, il Tribunale ha annullato la decisione precedente, reintegrando il dipendente licenziato.

Perciò, il controllo delle mail può avvenire solo dopo l’insorgere di un “fondato sospetto” e non prima. Nel caso in oggetto alla sentenza, invece, i datori di lavoro avevano acquisito le mail, prima di avere il dubbio per la commissione dell’illecito.