La scorsa estate Crocetta ha rinunciato ai contenziosi con lo Stato (valore 4 miliardi). Ora Renzi ci farà l’elemosina in cambio di riforme (tagli)

Alla luce di ciò che sta accadendo in questi giorni in Sicilia, la rinuncia al contenzioso da parte di Crocetta sta assumendo un significato e una dimensione diversa.


Ha in calce le firme del ministro all’Economia Pier Carlo Padoan e del presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta, l’accordo con il quale la Sicilia ha rinunciato ai contenziosi e alle pretese nei confronti dello Stato per i prossimi tre anni.

Sottoscrivendo suddetto accordo la regione avrebbe rinunciato almeno quattro miliardi in cambio di circa 520 milioni cash.

Ma facciamo un passo indietro e vediamo di cosa si tratta.

Il 12 gennaio del 2012 Raffaele Lombardo si oppone allo Stato riguardo a due commi previsti nella legge di stabilità nazionale. Quei commi (il 10 e l’11) contengono disposizioni relative al patto di stabilità delle regioni a Statuto speciale.

Un patto che il governo nazionale avrebbe siglato in maniera, sostanzialmente, unilaterale. La determinazione delle somme oggetto del patto, infatti, doveva essere il frutto di una interlocuzione in sede di Commissione partitetica.

Non solo. Quella norma, secondo il governo Lombardo, attribuiva alla Sicilia funzioni fino a quel giorno svolte dallo Stato, “senza che vengano impinguate le risorse finanziarie per farvi fronte”. La legge statale, insomma, violerebbe lo Statuto siciliano e il principio di “leale collaborazione”.

Passa un mese. E il 23 febbraio del 2012 la giunta regionale dà mandato al presidente Lombardo di avanzare un nuovo ricorso. Anche in questo caso di fronte alla Corte costituzionale. Un’altra norma statale avrebbe violato quei principi. Si tratta del decreto legge del 6 dicembre del 2011. Con quel decreto, infatti, lo Stato aveva deciso di anticipare “in via sperimentale” al primo gennaio del 2012 l’istituzione dell’Imu.

“L’Imu – secondo quanto contestato dal governo Lombardo – è in parte sostitutiva di tributi di pacifica spettanza regionale, ivi compresi sanzioni e interessi”.

Con l’entrata in vigore di quella imposta, lo Stato centrale si sarebbe “accaparrato” alcune entrate spettanti alla Regione. E ai Comuni che sarebbero stati “depauperati” dall’applicazione della norma. Somme che la Regione siciliana avrebbe dovuto “colmare” in un secondo momento.

La giunta ricorda come lo Statuto sancisca un prinicipio chiaro: “Spettano alla Regione siciliana, oltre alle entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezioni di quelle riservate allo Stato (entrate sui tabacchi, accise sulla produzione, lotto e lotterie a carattere nazionale)”.

Il 21 maggio 2012, la giunta di Raffaele Lombardo decide di avanzare un nuovo ricorso. Contro un altro decreto-legge nazionale, del 24 gennaio dello stesso anno.

Il decreto disponeva di raddoppiare il cosiddetto “contributo unificato” per le spese di giustizia, col contestuale trasferimento allo Stato di 600 mila euro sia per il 2012 che per il 2013. Anche in questo caso, ovviamente, la Regione ha eccepito che le imposte riscosse nel territorio siciliano debbano restare in Sicilia, come sancito dall’articolo 36 dello Statuto. La portata di questo ricorso è stata quantificata in 116 milioni di euro l’anno per quattro anni. Circa mezzo miliardo.

Poletti: decreti Jobs act non applicati a pubblico impiego (per ora). È l’effetto del calo del consenso per il governo Renzi?

I decreti relativi al Jobs act «non sono applicabili al pubblico impiego»: lo dice il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti rispondendo nel corso di Radio anch’io a una domanda sull’applicabilità dell’articolo 18 riformato anche ai lavoratori della P.A. Per essere applicati alla P.A, dice,ci vorrebbero norme di raccordo.

Anche il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, si è così unito al coro dell’esecutivo e ha tagliato la testa al toro spostando il tema da un ambito squisitamente tecnico a uno politico e il messaggio è molto chiaro: per il governo Renzi gli statali non si toccano. Per ora.

Licenziamenti disciplinari, Madia: “Per statali reintegro sia regola generale”

Reintegro sul posto di lavoro per dipendenti pubblici (per i dipendenti privati la norma prevede il riconoscimento di un indennizzo) nel caso di licenziamenti disciplinari illegittimi. Lo ha detto il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, secondo cui nel pubblico impiego “ci deve essere la possibilità di reintegro, anche perché si licenzia con i soldi di tutti”.

Fino a quando resisterà questa posizione?