La contrattazione con stipendi più o meno uguali per tutti, finisce per penalizzare i lavoratori delle regioni settentrionali?

Repubblica del 6 giugno 2016 - Salari appiattiti. Sud batte nord
Repubblica del 6 giugno 2016

Al Festival dell’economia di Trento alcuni economisti, assieme a Tito Boeri, presidente dell’Inps e professore alla Bocconi, hanno presentato uno studio (commissionato dal governo?) che, in futuro, potrebbe penalizzare ulteriormente le regioni meridionali e i relativi lavoratori.

Questo studio tenderebbe a dimostrare che un salario nominale uguale per tutti avvantaggia i lavoratori del Sud e i proprietari di casa del Nord. In media il potere d’acquisto è più basso di circa il 13% nelle regioni settentrionali rispetto a quelle meridionali, con un picco del 32% tra gli insegnanti della scuola elementare pubblica. Risultato della contrattazione non collegata alle dinamiche della produttività e al costo reale territoriale della vita.

Così un bancario con cinque anni di anzianità, al quale si applica il contratto nazionale della categoria, ha un potere d’acquisto a Milano inferiore del 27,3% rispetto al collega che vive a Ragusa. Per avere lo stesso potere d’acquisto dovrebbe guadagnare il 37% in più in termini nominali. Il divario si accresce ancor di più se si prende in considerazione la condizione di un insegnante di scuola elementare. Con uno stipendio identico a Milano e Ragusa pari a 1.305 euro mensili, l’insegnante di Milano ha un potere d’acquisto inferiore del 32% e per raggiungere la capacità di spesa del collega di Ragusa dovrebbe guadagnare il 48% in più.

Lo studio di questi economisti (gli economisti sono quella categoria che prima non ha previsto la crisi e ora, anno dopo anno, vede una ripresa che non arriva) non tiene, però conto del divario dei servizi tra nord e sud.

Un milanese, ad esempio, anche se abita in periferia può fare benissimo a meno dell’auto e servirsi dei mezzi pubblici nel percorso casa-lavoro. Chi abita al sud, special modo in Sicilia, è costretto a utilizzare l’auto per gli spostamenti casa-lavoro con costi nettamente più elevati. Così mentre un milanese può spostarsi per Milano in lungo e in largo servendosi dei mezzi pubblici pagando un abbonamento di circa 50/60 €, al sud deve spendere almeno il quadruplo (200/300 €) solo per il carburante, senza considerare il costo del bollo auto e dell’assicurazione che, vorrei ricordare agli “economisti”, è più cara al sud rispetto che al nord. Il più delle volte le famiglie sono costrette a mantenere anche più di una automobile. A tutto ciò va aggiunto il costo del parcheggiatore abusivo (almeno 1 € al giorno) dal momento che le amministrazioni non fanno nulla per evitare che i cittadini vengano taglieggiati giornalmente e ovunque parcheggino.

Prima di effettuare questi calcoli “in vitro”, invito questi illustri economisti a soggiornare almeno un anno in una delle città siciliane e rivedere, eventualmente, alcuni aspetti della loro brillante ricerca.

Il reddito delle famiglie è in calo costante ma continua la politica degli aiuti alle imprese

Corriere della Sera del 5 giugno. Reddito delle famiglie in calo
Corriere della Sera del 5 giugno 2016. Per scaricare l’articolo clicca sopra l’immagine

Il ceto medio si è assottigliato; le diseguaglianze sono aumentate.

Le persone a basso reddito che rappresentavano il 16% del totale nel 1989, sono salite al 21%.

Lo si ricava da un capitolo aggiunto quest’anno alla Relazione della Banca d’Italia che accompagna le Considerazioni finali del governatore, lette martedì scorso da Ignazio Visco.

Il reddito annuo medio netto pro capite da lavoro dipendente, dopo essere salito fino alla fine degli anni Ottanta, ha invertito la rotta ed è tornato al livello di fine anni Settanta. Un andamento sul quale ha pesato, dice la relazione, anche «la diffusione di forme di occupazione meno stabile», il precariato insomma.

Commento

Il Sole 24 Ore del 5 giugno. Sgravi sostenere le imprese
Il Sole 24 Ore

Ma se la politica dell’ultimo decennio è stata proprio quella del blocco dei salari e quella della precarizzazione, attraverso l’abolizione dell’art. 18, per lasciare maggiore libertà di licenziamento agli imprenditori, come mai i giornali e gli economisti ne parlano come di qualcosa che accade inaspettatamente e non come di qualcosa che è stato cercato e fortemente voluto e che è culminato con l’approvazione del jobs act?

Come mai si continua a perseguire la politica degli aiuti e degli sgravi alle imprese invece di mettere più soldi nelle mani delle famiglie attraverso anche il rinnovo dei contratti?

A chi venderanno le imprese se le famiglie non possono acquistare?

Eppure nessun giornalista si chiede ciò o pone queste domande nelle interviste.