Dipendente pubblico: può fare un secondo lavoro?

Tratto da laleggepertutti.it

Quali incarichi e impieghi sono consentiti anche ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni; come ottenere l’autorizzazione a svolgerli.

Non tutti i dipendenti pubblici navigano nell’oro: la maggior parte di essi ha stipendi piuttosto bassi. Perciò molti vorrebbero incrementare i propri redditi svolgendo ulteriori attività. Il cumulo di impieghi per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici è di regola vietato, ma non in modo assoluto. Talvolta l’assunzione di incarichi esterni è ammessa e perfettamente legale. E allora, quando il dipendente pubblico può fare un secondo lavoro? Le maggiori incompatibilità riguardano il doppio lavoro, uno pubblico e l’altro privato, perché, come dice Gesù nel Vangelo, non si possono avere due padroni, e bisogna per forza scegliere l’uno o l’altro. E come vedrai fra poco anche la legge italiana sancisce un principio analogo, forse in forma non altrettanto solenne ma sicuramente perentoria e inequivocabile.

Ovviamente il posto pubblico fornisce maggiori garanzie, e solo quando l’impiego privato offre una remunerazione appetibile e grosse opportunità di sviluppo di carriera il dipendente pubblico lascia definitivamente e senza esitazioni l’impiego nell’amministrazione di appartenenza, dando le dimissioni. Ma ci sono molti altri casi in cui si aprono possibilità di svolgere incarichi privati compatibili con la professionalità acquisita e senza che ciò crei alcuna interferenza con le mansioni pubbliche ricoperte. È proprio in queste situazioni che il dipendente pubblico ha bisogno di sapere se può fare un secondo lavoro e, in caso affermativo, a quali condizioni.

Divieto di secondo lavoro: cosa dice la legge

La radice del divieto del «pubblico impiegato» (con questa nozione, contenuta nel Testo Unico del Pubblico Impiego, comprendiamo qualsiasi figura di dipendente pubblico, dagli operatori ai funzionari ai dirigenti) di svolgere altre attività lavorative sta nel principio di esclusività delle prestazioni rese in favore della pubblica amministrazione di appartenenza: l’art. 98 della Costituzione sancisce che «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione».

Questa norma sembra così drastica da non ammettere deroghe ed eccezioni: quindi comunemente si ritiene che il dipendente pubblico non possa svolgere alcun tipo di lavoro come dipendente privato. E tale considerazione, come vedremo adesso, in linea di massima è giusta, ma ci sono degli spiragli.

Quando il divieto di fare un secondo lavoro non è assoluto

La legge [1] specifica l’esatta portata di questo divieto, quando preclude ai dipendenti pubblici di fare un secondo lavoro consistente in un rapporto retribuito da soggetti privati, anche se gli incarichi ricevuti hanno natura occasionale e dunque non comportano un rapporto lavorativo stabile e di tipo subordinato. Precisamente: «L’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro».

Quindi il doppio lavoro per il dipendente pubblico è vietato se comporta l’assunzione alle dipendenze di datori lavoro privati, o come componenti di società lucrative, perché farebbe venir meno la dovuta imparzialità della pubblica amministrazione (anche questo è un principio di rango costituzionale, sancito dall’art. 97).

Però con questa formulazione normativa rimangono aperti degli interstizi nella varietà di attività possibili, e così è prevista una importante eccezione: se l’incarico che il dipendente pubblico vuole svolgere è stato preventivamente autorizzato dall’amministrazione di appartenenza, allora il secondo lavoro diventa consentito. Questa autorizzazione deve essere rilasciata in forma scritta, e dal momento della sua ricezione da parte del pubblico dipendente interessato assume il valore di nulla osta, che consente di svolgere l’incarico assentito (senza eccedere i relativi limiti di mansioni, compiti e durata, altrimenti si rientra nel caso di lavoro non autorizzato e dunque vietato).

Quando si può ottenere l’autorizzazione a fare un secondo lavoro

Nella valutazione sul concedere o meno l’autorizzazione al dipendente, l’amministrazione considera se l’ulteriore attività proposta rientra tra quelle consentite dalla legge che abbiamo esaminato, concretizzando il precetto normativo in relazione alle mansioni pubbliche svolte ed ai compiti tipici dell’ufficio.

Ad esempio, un dipendente di un’Agenzia fiscale (come l’Agenzia delle Entrate o quella delle Dogane) non potrà essere autorizzato a lavorare nello studio di un commercialista o come manager di un’azienda di import-export, mentre un dirigente o funzionario della stessa Agenzia potrebbe ottenere l’autorizzazione per svolgere attività di docenza presso università private ed istituti di formazione, o collaborare con giornali e periodici che trattano materie tributarie per la pubblicazione di articoli o la partecipazione a trasmissioni radiofoniche, televisive e in streaming sul web.

Dipendenti pubblici in part time e secondo lavoro

La normativa è meno rigida per i dipendenti pubblici in part time, cioè coloro che sono stati assunti a tempo parziale e non superiore al 50% della prestazione lavorativa prevista per il tempo pieno. In questa posizione possono trovarsi diverse categorie di dipendenti pubblici, come i docenti scolastici e universitari a tempo determinato ed il personale sanitario.

Questi soggetti possono svolgere un’attività professionale – quindi anche aprire una partita Iva – se essa risulta compatibile con gli orari di insegnamento o di servizio, e purché non determini in nessun caso un conflitto di interessi con l’impiego pubblico. Al riguardo una recente circolare del ministero del Lavoro [2] ha precisato che il conflitto di interessi va inteso in senso ampio, e rileva anche se è soltanto potenziale: precisamente, esso ricorre quando «l’ulteriore attività lavorativa, pur non violando il dovere di fedeltà di cui all’art. 2105 Cod. civ. , comporti, anche potenzialmente, interessi in contrasto con quelli del datore di lavoro».

Come va chiesta l’autorizzazione a svolgere un secondo lavoro?

La richiesta di autorizzazione all’amministrazione di appartenenza deve sempre indicare il datore di lavoro o committente (quindi il soggetto, persona fisica o giuridica, che paga le prestazioni), il tipo di incarico da svolgere, la sua durata e l’entità dei compensi prestabiliti. Ciascuna amministrazione nei propri regolamenti interni determina le specifiche informazioni che il pubblico dipendente deve esporre, e la scala gerarchica dei destinatari coinvolti in quanto competenti a decidere o a fornire il proprio parere (ad esempio, il direttore dell’ufficio provinciale che inoltra, con parere positivo o negativo, la richiesta alla direzione generale).

Ricordiamo che l’autorizzazione a svolgere un secondo lavoro deve essere sempre preventiva [3], vale a dire che non può essere validamente chiesta ed ottenuta in un momento successivo, cioè “ora per allora”, quando ormai il doppio incarico è già stato assunto, altrimenti non avrebbe alcuna efficacia sanante, e il pubblico dipendente sarebbe esposto ad un procedimento disciplinare che, nei casi più gravi e di radicale incompatibilità dell’attività privata con il pubblico incarico ricoperto, potrebbe comportare anche il licenziamento.

Pubblicato da benedettomineo

Dirigente sindacale Cobas/Codir