La sentenza con cui giovedì la Consulta ha “corretto” la riforma Madia, imponendo l’«intesa» con le autonomie invece del «parere» nei capitoli che intrecciano le competenze locali, non si limita a far cadere i decreti su dirigenza pubblica e servizi pubblici locali, per i quali oggi scadono (invano) i termini della delega. La pronuncia dei giudici delle leggi, in punta di diritto, mantiene in vigore i provvedimenti dall’iter contestato ma già completato, ma li espone al rischio concretissimo di ricorsi fino a quando non saranno rinforzati dai decreti correttivi (per adottarli, il governo ha 12 mesi di tempo dopo la scadenza delle deleghe) che dovranno appunto ottenere l’intesa delle autonomie: in gioco ci sono prima di tutto le norme anti-assenteismo, con la sospensione in 48 ore e il licenziamento in 30 giorni per chi è colto a timbrare l’entrata per poi allontanarsi dall’ufficio, la riforma delle partecipate chiamata a ridurre «da 8mila a mille» le società pubbliche e le nuove regole per la scelta dei dirigenti sanitari.