Sentenza della Corte Costituzionale sulla RIA. Vediamo come stanno le cose

Di Jastrow (Opera propria) [Public domain], attraverso Wikimedia CommonsCon la sentenza della Corte Costituzionale n. 4/2024 è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3 della legge n. 388/2000 (Legge finanziaria 2001) che escludeva la proroga al 31 dicembre 1993 quale termine utile per la maturazione dell’anzianità di servizio ai fini dell’ottenimento della maggiorazione della RIA ai sensi dell’articolo 9, commi 4 e 5, del DPR n. 44/90.

In attesa di ulteriori sviluppi, gli effetti e le conseguenze della sentenza dalla Corte Costituzionale vanno letti alla luce delle sentenze della Corte di Cassazione, in particolare con quella a Sez. unite n. 36197/2023, in merito alle decorrenze della prescrizione.

In particolare, è emerso come la Corte di Cassazione si sia più volte pronunciata in merito, specificando come la dichiarata illegittimità di una norma non comporti né una declaratoria di inesistenza o di nullità (per cui la norma non esiste/non ha mai prodotto effetti), né l’abrogazione (per cui la norma perderebbe di efficacia a partire dalla data della sentenza), né l’annullamento (per cui la norma sarebbe stata privata dei suoi effetti fin dal principio).

L’art. 136 della costituzione stabilisce che a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.

L’articolo 30. comma 3, della legge 11 marzo 1953, n. 87, (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) precisa che “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”.

Dalla lettura di queste due norme si evince che gli effetti della sentenza di accoglimento della Corte Costituzionale “riguardano solo i rapporti giuridici futuri. Potrebbero riguardare anche quelli che sono sorti in passato qualora si tratti di rapporti giuridici non esauriti”’.

Secondo l’interpretazione prevalente, pertanto, fuori delle ipotesi, aventi carattere di eccezionalità, in cui essa travolge tutti gli effetti degli atti compiuti in base alla norma illegittima, la dichiarazione di incostituzionalità comporta la caducazione dei soli effetti non definitivi e, nei rapporti ancora in corso di svolgimento, anche degli effetti successivi alla pubblicazione della sentenza della corte costituzionale, restando quindi fermi quegli effetti anteriori che, pur essendo riconducibili allo stesso rapporto non ancora esaurito, abbiano definitivamente conseguito, in tutto o in parte, la loro funzione costitutiva, estintiva, modificativa o traslativa di situazioni giuridicamente rilevanti (Cass. Civile, sez. III, 11-04-1975, n. 1384)”.

Tornando al caso in questione sarebbe necessario che:

  1. il giudizio sul ricorso proposto dall’interessato sia stato sospeso in attesa di conoscere il pronunciamento della Corte Costituzionale sulla legittimità della norma;
  2. l’interessato abbia sistematicamente interrotta la prescrizione, avendo proposto la relativa istanza di interruzione dei termini quinquennali prima della relativa scadenza, e reiterandola periodicamente ad ogni quinquennio.

Per contro, la stessa Corte di Cassazione ribadisce inoltre che la sentenza di illegittimità non può in ogni caso produrre alcun effetto sui giudizi già conclusi.

Dunque, i ricorsi a suo tempo presentati passati in giudicato, avendo i giudici deciso per una sentenza di rigetto, non possono essere riaperti.

Altro caso è quello di chi non ha mai agito innanzi all’Autorità giudiziaria pur avendo maturato l’anzianità utile alla rivendicazione di che trattasi: come già anticipato, vale il principio per cui, in assenza di interruzione della prescrizione quinquennale, i crediti maturati nel 1993 risultano inesigibili e prescritti già nel 1998. Sul punto, infatti, si è pronunciata la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza 28.12.2023 n. 36197, confermando il principio per cui nel pubblico impiego (a differenza del privato…) vige la prescrizione anche in corso di rapporto.

Premesso quanto sopra, tentar non nuoce e tanti stanno inviando una richiesta/diffida alla propria amministrazione. La richiesta diffida è senza rischi ma è chiaro che, in caso di diniego da parte dell’amministrazione, il passo successivo dovrebbe essere il ricorso in giudizio.

Pubblicato da benedettomineo

Dirigente sindacale Cobas/Codir