Tfs, tradite le attese. Consulta ignorata e lavoratori disarmati. Il pagamento resterà fino a 7 anni dopo la pensione

Tratto da PAmagazine

Gli studiosi d’economia lo conoscono bene e lo chiamano “effetto annuncio”. Questa è la definizione che gli dà la Treccani, cioè la Cassazione della lingua italiana: “Variazione del comportamento degli operatori economici per effetto dell’annuncio di provvedimenti di politica economica da parte delle autorità di governo dell’economia. In conseguenza dell’effetto di annuncio, gli agenti economici mutano le proprie decisioni prima, e in una certa misura, indipendentemente dalla concreta attuazione delle misure annunciate, in quanto, in base al principio di razionalità, i loro comportamenti sono condizionati non dall’annuncio in sé, ma dalle aspettative rispetto agli effetti futuri dei provvedimenti annunciati”.

È una strategia che non si applica solo ai mercati, ma rende bene anche in politica o nei rapporti sindacali: c’è forte tensione su diversi temi e allora annunci che è un arrivo una soluzione attesa da tempo da una vasta platea e magicamente la tensione si placa, anche perché, quanto meno, di fronte alla novità lo schieramento avverso non è più compatto: c’è chi è soddisfatto, c’è chi semplicemente apprezza l’apertura e c’è ovviamente chi continua a protestare, ma è più solo e soprattutto l’attenzione si è ormai spostata dal problema alla soluzione.  Intanto il tempo passa, spuntano nuove tensioni, contrastate da altri annunci e così via. Se poi alle parole non seguono i fatti, poco male, per lo meno si è preso tempo e c’è sempre un’emergenza più impellente e le parole, si sa, sono come foglie nel vento. Chi se le ricorda tutte? Peccato, però, che talvolta è la vita a sollecitare la memoria, basta chiedere ad un pensionato della pubblica amministrazione che da anni aspetta il suo Tfs se si è dimenticato della promessa del governo di fargli ricevere subito i soldi, accollandosi l’onere dei costi di un prestito bancario.

Ricostruiamo la vicenda per chi se ne fosse dimenticato. Il Tfs, il Trattamento di fine servizio, a differenza del Tfr (Trattamento di fine rapporto) dei dipendenti privati, non viene pagato al momento dell’andata in pensione, ma due anni dopo il raggiungimento dell’età massima per la quiescenza, cioè i 67 anni, il che significa che in caso di pensione anticipata bisogna attendere anche sette anni per avere quei soldi che gli altri pensionati hanno subito a disposizione. Una disparità di trattamento che la Corte Costituzionale ha già bocciato due volte, chiarendo che non c’è differenza tra Tfr e Tfs, perché anche quest’ultimo non è altro che una forma di “retribuzione differita con concorrente funzione previdenziale, nell’ambito di un percorso di tendenziale assimilazione alle regole dettate nel settore privato dall’art. 2120 del codice civile”. E non solo: essendo retribuzione differita il tfs rientra nei confini dell’art. 36 della Costituzione, quello che sancisce il diritto del lavoratore “ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Incalzato dall’ultimo pronunciamento della Consulta ma soprattutto dalla rabbia dei lavoratori e dalla pressione dei sindacati, come la nostra confederazione Confsal-UNSA, che ha tra l’altro promosso entrambi i ricorsi alla Corte, il governo ha fatto balenare una soluzione provvisoria, parziale e limitata nella platea di beneficiari, ma pur sempre un primo passo in avanti. L’idea era quella di utilizzare la convenzione attivata con le banche per anticipare ai pensionati il Tfs sotto forma di prestito (rimasta lettera morta perché lascia tutti gli oneri dell’operazione a carico del lavoratore), accollando però allo stato i costi bancari. Un’opzione valida solo per chi avesse già compiuto i 67 anni e forse (le voci fatte uscire dal governo non erano state chiare su questo punto) limitata solo ai redditi più bassi. Insomma, un classico: volete i soldi? Eccoli qui, pochi, maledetti e subito. Purtroppo, come al solito, si è trattato solo di parole, peraltro neanche pronunciate ufficialmente, sufficienti comunque a raggiungere lo scopo. Tutta l’indignazione scatenata dal secondo pronunciamento della Corte Costituzionale sui ritardi all’erogazione del Tfs, si è lentamente diradata, nel frattempo a catalizzare l’attenzione è stata la novità dei 7 miliardi di euro messi in campo per i contratti del pubblico impiego, bilanciata però dalla doccia fredda del drastico e peggiorativo ricalcolo della pensione per 700 mila lavoratori pubblici (medici, infermieri, maestri, dipendenti comunali e del ministero della Giustizia), che guarda caso vale, nel lungo periodo, proprio 7 miliardi.

Del Tfs, ovviamente, non si parla più. L’effetto annuncio ha ottenuto il risultato e quindi anche quei pochi soldi (che siano maledetti ormai non c’è dubbio) possono rimanere in cassa. Come volevasi dimostrare, ma se vogliamo la validità del teorema qui esposta ha un valore doppio e coinvolge anche la Consulta. Personalmente sono stato uno dei pochi a non cantare vittoria alla lettura dell’ultima sentenza, non perché non avessi chiara la spiegazione in punto di diritto dell’incostituzionalità di tutte le norme che permettono al governo di ritardare il pagamento del Tfs. Quella indiscutibilmente c’è stata. La Corte è stata esplicita: non c’è giustificazione che tenga, nemmeno quella dei conti pubblici in affanno, per conculcare il diritto del lavoratore di avere subito i suoi, ribadisco i suoi, soldi.

A mancare, invece, è stata la logica conseguenza, ossia la cancellazione delle norme che continuano a permettere l’ingiustizia. La Corte ha spiegato che non lo ha fatto perché alle condizioni attuali un taglio così drastico avrebbe davvero messo a rischio il bilancio (si parla di di cifre complessive tra i 13 e i 14 miliardi di euro) ed ha lasciato a chi finora non ha mai risolto il problema, ossia il governo (in piena continuità con quelli che lo hanno preceduto), il compito di trovare una soluzione sostenibile. La Corte, insomma, ha preso una posizione politica, ma nel farlo ha tolto, per così dire, la pistola dal tavolo. Ha scelto la moral suasion, ma è un’arma spuntata. Ricorda un po’ quel dialogo tra Totò e Fabrizi in quel capolavoro che fu Guardie e ladri.

Il brigadiere Fabrizi, esausto dopo un lungo inseguimento, tira fuori la pistola e cerca di convincere il ladro Totò ad arrendersi:

-Te sparo, sai.
-Non puoi.
-Perché?
-Puoi sparare solo per legittima difesa: io non offendo.
-Va be’, allora sparo in aria a scopo intimidatorio.
-E va be’, io non mi intimido e sto qua.

Pubblicato da benedettomineo

Dirigente sindacale Cobas/Codir

3 Risposte a “Tfs, tradite le attese. Consulta ignorata e lavoratori disarmati. Il pagamento resterà fino a 7 anni dopo la pensione”

  1. Si da’ sempre la delega ai sindacati, vero è hanno le loro colpe , troppo indirizzati politicamente per contestare questo o quel governo sulle scelte operate anche a discapito dei lavoratori.
    Ma io mi chiedo, qui si tratta di pensionati, quindi presumibilmente liberi.
    Perche’ non vedo nessuno sotto i palazzi del potere?
    Perche’ relativamente la Regione siciliana, tutti quelli che aspettano il T.F.R. non si piazzano con le tende sotto la presidenza?
    Non c’e’ piu’ il problema che si perde la giornata ,ansi a volte si ci incontra con i colleghi.
    I sindacati qui non hanno alcuna colpa ne interesse, atteso che molti dopo la pensione si sono cancellati.
    Gia’ i sindacati hanno problemi per organizzare uno sciopero con il personale in servizio, ci si muove solo nelle assemblee retribuite, pensa organizzare uno sciopero con ” ormai” un libero cittadino.
    Io sono stato uno dei primi a subire questa ingiustizia, essendo andato in pensione nel 2015, ho cercato in tutti i modi, chiedo smentita, a coinvolgere il mio ex sindacato, Cobas-Codir, con un risultato ottimo, poiche con una legge , ricordo maggio del 2018, la Regione siciliana aveva riportato il termine di liquidazione a due anni dalla pensione , non piu’al raggiungimento della legge fornero.
    Ad agosto 2018, mentre tutti erano ad immergersi nei vari mari delle coste Italiane, e’ stato abrogato quell’articolo di legge, con una maggioranza risicata. Si ribadisce che la legge del maggio 2018 era stata gia’ pubblicata ed in vigore.

  2. Chiediamoci se i nostri signori politici se il loro vitalizio o la loro liquidazione la prendono dopo sette anni come noi poveracci, altro che i diritti acquisiti forse per loro vale questo. Ma per noi comuni mortali non è così, viva la Francia grande popolo

  3. Occorre rivolgersi alla Corte di Giustizia europea. Non capisco perché le Organizzazioni Sindacali non abbiano ancora provveduto.

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