Premi ai regionali. Nominati i tre «007» che dovranno vigilare

ScioperoValuteranno il lavoro dei direttori generali, verificheranno che i premi di produttività erogati ai regionali siano proporzionati ai risultati, sorveglieranno gli uffici e comunicheranno eventuali criticità alla Corte dei Conti.

Eccoli gli «007» della Regione, tre superesperti esterni che avranno il compito di rivoluzionare il sistema dei controlli nell’amministrazione regionale. Lo faranno all’interno dell’Oiv, l’organismo indipendente di valutazione.

Burocrati in rivolta contro il taglio dei compensi. In 11 non firmano i contratti

Repubblica del 9 luglio. Taglio stipendi burocrati
Repubblica del 9 luglio 2016. Per scaricare l’articolo dal sito dell’Ars, clicca sopra l’immagine

Una rivolta trasversale dei superburocrati in servizio e in pensione della Regione contro i tagli e i tetti ai loro stipendi. Nell’era dell’austerity, fioccano le proteste contro il tetto da 100 mila euro per i dirigenti delle controllate e contro il limite dei 160 mila euro per i pensionati d’oro di Palazzo d’Orléans. E se per i primi la partita è aperta, per i pensionati non lo è: la Corte dei conti ha rigettato il ricorso di uno dei cinquanta pensionati che non volevano il tetto a 160 mila euro. In compenso dovranno “tirare la cinghia” ancora solo per qualche mese: dal prossimo 1° gennaio riprenderanno la pensione per intero.

Brexit. I dati mostrano che anche nello scenario peggiore Londra non guarda l’abisso

Il Fatto Quotidiano del 6 luglio 2016. Bagnai sulla Brexit
Il Fatto Quotidiano del 6 luglio 2016

di Alberto Bagnai
Il Fatto Quotidiano, 6 luglio 2016

Ci siamo già detti che il vero nodo della Brexit è quello politico: ce lo confermano tanto la cronaca quanto un’analisi fattuale delle conseguenze economiche. Partiamo dal breve periodo. Il risultato del referendum ha scatenato una fisiologica ondata di volatilità sui mercati finanziari. La Borsa di Londra, che tifava “remain”, ha ceduto, recuperando in meno di una settimana. Il FTSE 100, che il 23 giugno era a 6338,1, una settimana dopo era a 6504,3. I media catastrofisti sono stati smentiti dai dati e dalle dichiarazioni di tante multinazionali che hanno confermato di non voler abbandonare Londra. Veniamo alla sterlina, che ha ceduto di circa il 10% rispetto al dollaro e dell’8% rispetto all’euro, stabilizzandosi in un paio di giorni. Non c’è stata la caduta libera di cui fantasticavano certi gazzettieri, ma non c’è stato nemmeno un recupero, né è prevedibile che ci sia. Il cambio della sterlina era infatti sopravvalutato, per due motivi: la pesante svalutazione competitiva praticata da Draghi a partire dalla metà del 2014, che ha portato una sterlina a costare 1,4 euro (erano 1,2 a inizio 2014); le politiche di austerità imposte da Bruxelles, che hanno compresso i redditi dei cittadini dell’Europa continentale, e quindi, fra l’altro, i loro acquisti di beni inglesi, aggravando il deficit commerciale del Regno Unito.

Queste scaltre mosse dei nostri apprendisti stregoni hanno messo in difficoltà il resto del mondo, che ha reagito: la Cina a metà del 2015 (svalutando), gli Usa a fine aprile 2016 (mettendo la Germania nella lista nera dei manipolatori di valuta), e la Gran Bretagna approfittando della Brexit (ottima scusa per riportare il cambio alla casella di partenza, sfruttando razionalmente l’irrazionale isteria dei mercati). E nel lungo periodo cosa dobbiamo aspettarci? Dalla Brexit proprio niente. Il nostro problema è un altro: la crisi del sistema bancario, un’altra figlia dell’austerità, che ha compresso i redditi e quindi la capacità di famiglie e imprese di rimborsare i propri debiti. Certo, i politicanti useranno la Brexit come capro espiatorio. La banca tale salta? Colpa della Brexit! Il deficit pubblico esplode? Colpa della Brexit! Una canzoncina che sentiremo spesso, ma gli studi disponibili chiariscono che le cose non stanno così, e per capire perché basta considerare lo scenario peggiore, quello in cui la Gran Bretagna non riesce a concludere alcun accordo con l’Ue e deve applicare le regole dell’Organizzazione mondiale per il commercio (Omc): i famigerati dazi! Ora, basta andare sul sito dell’Omc per rendersi conto del fatto che questi non sono un enorme problema. Il loro livello medio all’interno dell’area Ocse (che esprime la maggior parte del commercio britannico) è inferiore al 2%. E voi pensate che l’Inghilterra, sopravvissuta a una svalutazione competitiva dell’euro pari a quasi il 20%, sarebbe distrutta da dazi attorno al 2%? Chi pensa che verrebbero applicate percentuali punitive o chi teme che il prezzo del whisky raddoppierebbe ignora che la Gran Bretagna con le sue importazioni sostiene significativamente la crescita tedesca. Avete fatto caso alla prudenza della signora Merkel? Lei sa che le esportazioni nette della Germania verso la Gran Bretagna sono superiori a 35 miliardi di euro. Ma, si dice, c’è il settore finanziario: non sarebbe isolato dall’Europa? E questa non sarebbe una catastrofe per l’Inghilterra? Può essere utile ristabilire le proporzioni. L’Eurostat chiarisce che la finanza conta per il 7,9% del Pil britannico. Più che in Italia (5,8%), ma meno che in Olanda (8,1%). Anche nel caso peggiore, quello di un’applicazione “punitiva” delle regole del Gats (l’accordo generale sul commercio dei servizi, disciplinato dall’Omc), l’Inghilterra non scomparirebbe dalle carte geografiche: ne rimarrebbe pur sempre il 92,1%! E poi, chi avrebbe un interesse economico a punire così la Gran Bretagna? Certo non le nostre illuminate élite, alle quali torna molto comodo far gestire i propri affari e i propri risparmi da un sistema finanziario solido perché supportato da una banca centrale che a differenza della Bce è libera da condizionamenti tedeschi e può quindi intervenire per tempo (come ha fatto dall’inizio della crisi). Insomma: alle élite conviene importare servizi finanziari inglesi (cioè mettere i loro soldi al sicuro) tanto quanto agli inglesi conviene esportarli (cioè farli fruttare). Risalta ancora una volta come il terrorismo dei media risponda a una razionalità puramente politica: i nostri governanti vogliono scongiurare un evento che sta mettendo in luce la loro pochezza, indicando una strada che altri potrebbero essere tentati di seguire. Ma se in tanti vogliono uscire dall’Unione europea, la colpa è di chi l’ha concepita e di chi la governa, non di chi ha indicato la porta. Usare il pugno di ferro contro l’Inghilterra, vellicare i risentimenti nazionalistici della Scozia, insultare gli elettori inglesi, servirà solo a confermare agli altri eventuali secessionisti che stanno facendo la cosa giusta.

A proposito di par condicio

Il Fatto Quotidiano del 16 giugno. Par condicio
Il Fatto Quotidiano del 16 giugno 2016. Per scaricare l’articolo dal sito dell’Ars, clicca sopra l’immagine

Sette ore contro un minuto e 19 secondi contando tutti i programmi gestiti dai telegiornali Rai (Tgl, Tg2, Tg3 e Rainews) nei 47 giorni che corrono dal 20 aprile al 6 giugno scorso. Le sette ore sono quelle in cui Matteo Renzi ha parlato del referendum costituzionale di ottobre o è stata riportata la sua posizione sul tema, mentre il minuto e 19 secondi è il tempo che la tv pubblica ha dedicato per lo stesso motivo ad Alessandro Pace, uno dei più importanti costituzionali sti italiani e presidente del Comitato per il No.