Alberto Bonisoli: «I concorsi non sono un flop, ma la Pa deve essere più attrattiva»

Tratto da PAmagazine

Il dato lo ha tirato fuori proprio il Formez: due vincitori su dieci di concorsi pubblici si sfilano all’ultimo e rinunciano all’incarico conquistato. Non solo, a presentarsi ai concorsi sono sempre meno candidati. Due circostanze che hanno portato molti a parlare di flop delle procedure di selezione pubbliche. Ma per il presidente del Formez Pa, Alberto Bonisoli, intervistato da PaMagazine, non si tratta di flop ma di un positivo aumento delle scelte a disposizione dei candidati. Certo, per Bonisoli il comparto delle selezioni pubbliche non è esente da possibili migliorie, che viaggiano su due priorità assolute, ci dice: migliorare la comunicazione – rendendola giù pop – per aumentare l’attrattiva delle Pa; e fare tanta formazione, anche questa al passo con i tempi. E poi una sfida che Bonisoli lancia: promuovere una rivoluzione culturale e cercare di cambiare lo sguardo dell’italiano medio sul lavoro statale. Come? Il presidente del Formez lancia un’idea: attraverso una sorta di Oscar della Pubblica amministrazione».

Presidente, si parla di flop dei concorsi, è veramente così?

«Nessun flop. Le rinunce che hanno fatto ragazze e ragazzi le vedo come una scelta, perché sono fatte all’interno del perimetro pubblico: non c’è una massiccia migrazione di candidati verso il privato, non è vero. C’è finalmente una massiccia quantità di candidati che hanno una scelta e che quindi scelgono tra l’amministrazione A e l’amministrazione B».

Si tratta di un dato destinato a durare? 

«Assolutamente sì. Siamo all’inizio di una fase nuova di selezione del personale. Prima del 2018 noi siamo arrivati ad avere 200 candidati per posto, ora ne abbiamo 40 e stanno scendendo. Perché? Perché abbiamo un aumento importante dei concorsi pubblici e ci sono meno persone. Perché non dimentichiamoci che fino al 2018 noi avevamo il turnover di 1 a 5. Ora non è più così, parliamo di 1 milione di nuovi posti da qui al 2030 e abbiamo grande fame di concorsi. Poi non dobbiamo dimenticarci che il numero di giovani è significativamente minore delle persone che vanno in pensione. Questo vuol dire che in futuro le pubbliche amministrazioni saranno in concorrenza tra di loro».

Ci potrebbe essere un problema allora nelle Pa meno appetibili.

«Sì, un aspetto è sicuramente la sede e un altro aspetto è la durata del contratto. Noi storicamente non facevamo concorsi a tempo determinato e invece da quando abbiamo riaperto ai concorsi in presenza post Covid-19, con la riforma Brunetta, dal maggio del 2021 ne abbiamo fatti diversi, sia collegati al Pnrr – come l’ufficio del processo – sia altri indirettamente collegati. E lì è un po’ compito della singola Pubblica amministrazione di rendere il posto messo a concorso appetibile. E questo è un aspetto su cui bisognerebbe lavorare».

Soffermiamoci un momento su questo. Come si potrebbe intervenire? Perché certo anche tra Pa vincerà sempre il contratto a tempo indeterminato…

«Non è detto, dipende, abbiamo avuto anche esempi contrari. Abbiamo avuto dei casi di persone che, per prestigio, hanno preferito andare a lavorare, seppur a termine, al ministero dell’Economia e delle Finanze o al ministero della Transizione digitale. Ci sono ambiti della Pubblica amministrazione che se raccontati bene possono essere delle esperienze professionalizzanti immense: per un giovane possono veramente fare la differenza tra un’impostazione di carriera e un’altra».

L’attrazione dei talenti seppure a tempo determinato la immagina come una operazione innanzitutto comunicativa?

«Deve partire dalla comunicazione perché molte Pa quando comunicano il bando, a volte si accontentano di utilizzare quello che viene pubblicato in Gazzetta ufficiale. E questo oggettivamente va bene, però il mondo sta cambiando, e i candidati sono più abituati a un linguaggio da LinkedIn, dove si usano meno riferimenti giuridici ma si spiega, magari in maniera più diretta, cosa realmente si andrà a fare. Non c’è questa abitudine in maniera massiccia: ci sono tante Pubbliche amministrazioni che già lo fanno ma dovrebbe diventare una sorta di cosa scontata. E oggi così scontata non è. C’è un tema di scelta dei media: per uno della mia generazione il media principale è il giornale cartaceo; per i potenziali candidati di oggi magari invece sono i giornali on line o i social network».

Puntare sulla comunicazione basterà?

«Probabilmente no, c’è anche tanto altro da fare. Ma senza questa operazione non ci ascolta nessuno. Questa è sicuramente la priorità “zero”. Poi c’è una priorità uno, che è quella della formazione. Noi abbiamo delle pubbliche amministrazioni che per anni sono state costrette ad agire in un ambiente che sicuramente non giocava a favore: carenza di personale, blocco del turnover, anche una narrazione che non era positiva. Basti pensare che abbiamo dei pregiudizi e dei cliché sulla Pa molto forti, che è uno dei motivi per cui ad esempio facciamo fatica a trovare candidati al Nord. Non per un problema economico, ma per un problema quasi culturale. Tenuto conto di questo dobbiamo fare una riflessione: le persone che assumiamo oggi avranno una vita professionale nella Pubblica amministrazione di 20-30 anni e quindi ci dobbiamo porre il problema non solo di cosa sanno fare oggi ma di cosa sapranno e dovranno saper fare tra 10-15 anni. E questa formazione deve ovviamente essere fatta con strumenti moderni: on line, asincrona, con pillole multimediali».

C’è qualcos’altro che servirebbe per migliorare i concorsi pubblici?

«Io vengo da un mondo in cui a tavola non si parlava certo di concorsi pubblici, per rifarmi a quanto dicevo sul Nord e sui pregiudizi sul lavoro statale. Mi rendo conto che questo mondo non c’è più ed è interesse di tutti, dell’intero Paese, trovare abbastanza candidati anche al Nord. Secondo me va fatta un’operazione culturale: ci sono Pa che fanno cose pazzesche, anche futuriste, e nessuno le racconta. A me piacerebbe che ci fosse una specie di Oscar per le Pa, questa un po’ la sfida che mi sento di lanciare. Che se ci pensa è quello che è successo negli anni SCORSI quando sono nati i primi concorsi per designer ad esempio, il Compasso d’oro, quando si è passati dalle sartine ai fashion designer: non è cambiata l’attività ma il modo in cui è stata vista. Stiamo parlando di medio e lungo periodo, non è una cosa che si fa in 6 mesi, ma è veramente una cosa che può cambiare la prospettiva».

C’è anche forse un problema di attrattività riferita agli stipendi offerti dal pubblico rispetto a quelli offerti dal settore privato. 

«La prima risposta in realtà l’ha data il ministro Zangrillo, dichiarando che c’è una riflessione sul tema delle retribuzioni. Però qui tocchiamo un altro punto: dipende un po’ da cosa cercano le singole Pubbliche amministrazioni, se cercano professionalità specifiche già formate, come un ingegnere o un architetto, non ricorreranno magari al concorso pubblico ma potranno reclutarlE tramite il portale InPa, che è stato creato anche con questo intento, utilizzando strumenti più leggeri e flessibili».

Pubblicato da benedettomineo

Dirigente sindacale Cobas/Codir