Disuguaglianze, il record dell’Italia nella Ue. La crisi ha tolto a chi aveva meno

Il Mattino del 23 aprile 2018

La crisi è stata mondiale ma in Italia gli effetti sulle fasce più deboli sono stati più pesanti che in altri paesi europei, con un aumento delle diseguaglianze sociali. L’ultimo report viene elaborato dall’Ansa sulla base delle tabelle Eurostat sulle percentuali di reddito tra le varie quote di popolazione. I dati Eurostat per l’Italia sono fermi al 2016 e quindi le indicazioni non si discostano da quelle dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane diffusa dalla Banca d’Italia lo scorso 12 marzo. Tuttavia Eurostat consente un immediato confronto fra tutti membri dell’Unione europea, per cinque paesi (ma non l’Italia) aggiornati al 2017 lo scorso 19 aprile. I metodi per misurare le disuguaglianze sono sostanzialmente due: uno meno immediato da comprendere si basa sull’indice ideato dall’italiano Corrado Gini, primo presidente dell’Istat. L’indica va da un minimo di 0 che indica la perfetta uguaglianza a un massimo di 1 che indica la massima disuguaglianza e cioè una sola persona che possiede tutto. I valori estremi sono entrambi assurdi ed è difficile affermare quale sia il numero ideale. Tuttavia l’indice di Gini è perfetto per misurare le variazioni e dire quindi se un paese sta diventando più egualitario e invece aumentano i divari. Ebbene in Europa (28 membri) dal 2010 al 2016 il coefficiente di Gini è aumentato da 30,5 a 30,8 segnando quindi un +0,3. Le disuguaglianze sono aumentate, quindi, ma in misura non drammatica. In Italia invece si è passati da 31,7 a 33,1 cioè con un incremento di 1,4 punti. Un trend identico alla Grecia, passata da 32,9 a 34,3. Tuttavia l’Italia dovrebbe confrontarsi con nazioni del suo status, come 1 Germania o la Francia. Solo che l’indice di disuguaglianza tedesco dal 2010 al 2016 è aumentato solo di 0,2 punti da 29,3 a 29,5 mentre in Francia è addirittura diminuito da 29,8 a 29,3. In Italia, insomma, i costi della crisi gravano di più sulle categorie già svantaggiate. L’altro metodo per misurare le disuguaglianze, di più immediata comprensione, è quello di prendere una quota di popolazione, per esempio il 40% più povere, e verificare quale quota di reddito si assicura In una situazione di perfetta uguaglianza la quota sarebbe ovviamente il 40% ma in Europa la percentale del 2016 è del 20,9% in calo di 0,3 punti rispetto al 21,2% del 2010. Eurostat segnala però che in Italia il 40%della popolazione con i redditi più bassi aveva nel 2016 appena il 19,1% dei redditi complessivi contro il 19,7% del 2015 e il 20,2% del 2010. La flessione è stata di 1,1 punti e ormai la distanza dalla media europea è di 1,8 punti. La contrazione quindi è stata avvertita anche nel resto del vecchio continente, tuttavia in modo meno accentuato. In Germania la disuguaglianza è meno accentuata con il 21,7% di reddito per il primo 40% più povero (era il 22% nel 2010). In Francia la percentuale è del 22,6% (era 22,2%). In Italia quindi la forbice tra ricchi e poveri si è andata progressivamente allargando, approfondendo il solco che divide due parti della società ormai sempre più distanti anche per l’assottigliamento di quello che per anni ha fatto da collante, cioè la r•1 • sse media Sempre secondo le tabelle Eurostat, nel 2016 il decile più povero della popolazione italiana (cioè il decimo della società risultato al livello più basso di un’ipotetica rlassifica dei redditi divisa in 10 fasce) poteva contare infatti appena sull’1,8% dei redditi. Complessivamente quasi un quarto (il 24,4%) del reddito complessivo era percepito invece da110°%della popolazione che si trovava nella fascia più alta. 11 confronto con il periodo pre-crisi è impietoso e mostra come negli anni sia mancata una appositapolitica di ridistribuzione della ricchezza. Rispetto al 2008, anno nel quale la crisi finanziaria ha cominciato a ripercuotesi sull’economiareale e quindi su cittadinie lavoratori, il decile più benestante ha accresciuto la sua quota di reddito disponibile (era al 23,8%) mentre quello più povero ha registrato un crollo (dal 2,6% ad appunto 1’1,8%).

Pubblicato da benedettomineo

Dirigente sindacale Cobas/Codir