Il blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici era già nel Def ma il governo ad aprile smentì

Per paura di perdere le elezioni europee dello scorso maggio il governo ha mentito.

Quando ad aprile i giornali scrissero che gli stipendi pubblici sarebbero stati bloccati anche per i prossimi anni perché così era scritto nel Documento di economia e finanza, il governo smentì sdegnato con apposita nota del sottosegretario Angelo Rughetti alla Funzione pubblica, Pd di rito renziano: il Def si scrive a legislazione vigente e quindi non può contenere il rinnovo dei contratti, quello sarà definito nella Finanziaria.

Ieri sera, però, un’apposita velina di palazzo Chigi ha smentito la smentita: “Il blocco degli stipendi pubblici era già nel Def, non c’è niente di nuovo”. Allora, se è vero, tutti dovrebbero sapere che nel Def è previsto il blocco totale fino al 2018, anno in cui vengono stanziati i soldi per la sola indennità di vacanza contrattuale fino al 2020.

CALCOLANDO gli aumenti non percepiti anno per anno il conto fa 6.250 euro a testa in cinque anni.

Queste perdite sono irreversibili ed andranno sommate nel tempo fino alla pensione del singolo lavoratore, arrivando a sfiorare i 30.000 euro nel caso l’uscita dal lavoro dovesse avvenire per esempio nel 2024.

Finita la luna di miele tra l’Italia e Renzi. Dopo le contestazioni popolari anche la stampa amica ora lo attacca

Matteo Renzi Conferenza2.2014Non si riesce ancora a capire se la luna di miele di Renzi sia finita con i cittadini o con i giornalisti. O, più verosimilmente, sia con gli uni che con gli altri.

Dopo le contestazioni di Taranto e Palermo, di certo è visibile un’escalation di editoriali che mettono in discussione l’operato del governo.

Mario Sechi sul Foglio e Lucia Annunziata sull’Huffington Post non le mandano certo a dire a Matteo Renzi.

Anche quotidiani che all’inizio si erano espressi positivamente nei confronti del nuovo premier e del governo, ora lo attaccano

Scrive Eugenio Scalfari sulle pagine di Repubblica: “ Il 25 maggio numerosi italiani hanno votato Renzi nelle elezioni europee, dandogli un’altissima percentuale di consensi e molta forza all’interno e all’estero. Ma sono passati appena quattro mesi e la fiducia nel giovane leader si è alquanto erosa: il 70 per cento degli elettori teme che il Paese non ce la faccia a superare la crisi, il 90 per cento si attende molti e sempre meno sopportabili sacrifici. Infine la fiducia nel leader è scesa per la prima volta passando dal 74 al 60 per cento. È ancora molto alta ma il verso, come direbbe lui, è cambiato e non è da escludere che nelle prossime settimane scenda ancora di più.

Le ragioni ci sono. La pressione fiscale rilevata dalla Banca d’Italia, tra il 2013 e il 2014 è aumentata dal 43,8 al 44,1 per cento. Per erogare a 10 milioni di cittadini un bonus di 80 euro al mese le tasse sono aumentate per 41 milioni di contribuenti. Il governo ha fatto molti annunci e molte promesse ma ha realizzato assai poco. Secondo il capogruppo dei senatori di Forza Italia, Renato Brunetta, il tasso di realizzazione delle promesse di Renzi oscilla tra il 10 e il 20 per cento.