Dipendente pubblico: può fare un secondo lavoro?

Tratto da laleggepertutti.it

Quali incarichi e impieghi sono consentiti anche ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni; come ottenere l’autorizzazione a svolgerli.

Non tutti i dipendenti pubblici navigano nell’oro: la maggior parte di essi ha stipendi piuttosto bassi. Perciò molti vorrebbero incrementare i propri redditi svolgendo ulteriori attività. Il cumulo di impieghi per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici è di regola vietato, ma non in modo assoluto. Talvolta l’assunzione di incarichi esterni è ammessa e perfettamente legale. E allora, quando il dipendente pubblico può fare un secondo lavoro? Le maggiori incompatibilità riguardano il doppio lavoro, uno pubblico e l’altro privato, perché, come dice Gesù nel Vangelo, non si possono avere due padroni, e bisogna per forza scegliere l’uno o l’altro. E come vedrai fra poco anche la legge italiana sancisce un principio analogo, forse in forma non altrettanto solenne ma sicuramente perentoria e inequivocabile.

Ovviamente il posto pubblico fornisce maggiori garanzie, e solo quando l’impiego privato offre una remunerazione appetibile e grosse opportunità di sviluppo di carriera il dipendente pubblico lascia definitivamente e senza esitazioni l’impiego nell’amministrazione di appartenenza, dando le dimissioni. Ma ci sono molti altri casi in cui si aprono possibilità di svolgere incarichi privati compatibili con la professionalità acquisita e senza che ciò crei alcuna interferenza con le mansioni pubbliche ricoperte. È proprio in queste situazioni che il dipendente pubblico ha bisogno di sapere se può fare un secondo lavoro e, in caso affermativo, a quali condizioni.

Divieto di secondo lavoro: cosa dice la legge

La radice del divieto del «pubblico impiegato» (con questa nozione, contenuta nel Testo Unico del Pubblico Impiego, comprendiamo qualsiasi figura di dipendente pubblico, dagli operatori ai funzionari ai dirigenti) di svolgere altre attività lavorative sta nel principio di esclusività delle prestazioni rese in favore della pubblica amministrazione di appartenenza: l’art. 98 della Costituzione sancisce che «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione».

Questa norma sembra così drastica da non ammettere deroghe ed eccezioni: quindi comunemente si ritiene che il dipendente pubblico non possa svolgere alcun tipo di lavoro come dipendente privato. E tale considerazione, come vedremo adesso, in linea di massima è giusta, ma ci sono degli spiragli.

Quando il divieto di fare un secondo lavoro non è assoluto

La legge [1] specifica l’esatta portata di questo divieto, quando preclude ai dipendenti pubblici di fare un secondo lavoro consistente in un rapporto retribuito da soggetti privati, anche se gli incarichi ricevuti hanno natura occasionale e dunque non comportano un rapporto lavorativo stabile e di tipo subordinato. Precisamente: «L’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro».

Quindi il doppio lavoro per il dipendente pubblico è vietato se comporta l’assunzione alle dipendenze di datori lavoro privati, o come componenti di società lucrative, perché farebbe venir meno la dovuta imparzialità della pubblica amministrazione (anche questo è un principio di rango costituzionale, sancito dall’art. 97).

Però con questa formulazione normativa rimangono aperti degli interstizi nella varietà di attività possibili, e così è prevista una importante eccezione: se l’incarico che il dipendente pubblico vuole svolgere è stato preventivamente autorizzato dall’amministrazione di appartenenza, allora il secondo lavoro diventa consentito. Questa autorizzazione deve essere rilasciata in forma scritta, e dal momento della sua ricezione da parte del pubblico dipendente interessato assume il valore di nulla osta, che consente di svolgere l’incarico assentito (senza eccedere i relativi limiti di mansioni, compiti e durata, altrimenti si rientra nel caso di lavoro non autorizzato e dunque vietato).

Quando si può ottenere l’autorizzazione a fare un secondo lavoro

Nella valutazione sul concedere o meno l’autorizzazione al dipendente, l’amministrazione considera se l’ulteriore attività proposta rientra tra quelle consentite dalla legge che abbiamo esaminato, concretizzando il precetto normativo in relazione alle mansioni pubbliche svolte ed ai compiti tipici dell’ufficio.

Ad esempio, un dipendente di un’Agenzia fiscale (come l’Agenzia delle Entrate o quella delle Dogane) non potrà essere autorizzato a lavorare nello studio di un commercialista o come manager di un’azienda di import-export, mentre un dirigente o funzionario della stessa Agenzia potrebbe ottenere l’autorizzazione per svolgere attività di docenza presso università private ed istituti di formazione, o collaborare con giornali e periodici che trattano materie tributarie per la pubblicazione di articoli o la partecipazione a trasmissioni radiofoniche, televisive e in streaming sul web.

Dipendenti pubblici in part time e secondo lavoro

La normativa è meno rigida per i dipendenti pubblici in part time, cioè coloro che sono stati assunti a tempo parziale e non superiore al 50% della prestazione lavorativa prevista per il tempo pieno. In questa posizione possono trovarsi diverse categorie di dipendenti pubblici, come i docenti scolastici e universitari a tempo determinato ed il personale sanitario.

Questi soggetti possono svolgere un’attività professionale – quindi anche aprire una partita Iva – se essa risulta compatibile con gli orari di insegnamento o di servizio, e purché non determini in nessun caso un conflitto di interessi con l’impiego pubblico. Al riguardo una recente circolare del ministero del Lavoro [2] ha precisato che il conflitto di interessi va inteso in senso ampio, e rileva anche se è soltanto potenziale: precisamente, esso ricorre quando «l’ulteriore attività lavorativa, pur non violando il dovere di fedeltà di cui all’art. 2105 Cod. civ. , comporti, anche potenzialmente, interessi in contrasto con quelli del datore di lavoro».

Come va chiesta l’autorizzazione a svolgere un secondo lavoro?

La richiesta di autorizzazione all’amministrazione di appartenenza deve sempre indicare il datore di lavoro o committente (quindi il soggetto, persona fisica o giuridica, che paga le prestazioni), il tipo di incarico da svolgere, la sua durata e l’entità dei compensi prestabiliti. Ciascuna amministrazione nei propri regolamenti interni determina le specifiche informazioni che il pubblico dipendente deve esporre, e la scala gerarchica dei destinatari coinvolti in quanto competenti a decidere o a fornire il proprio parere (ad esempio, il direttore dell’ufficio provinciale che inoltra, con parere positivo o negativo, la richiesta alla direzione generale).

Ricordiamo che l’autorizzazione a svolgere un secondo lavoro deve essere sempre preventiva [3], vale a dire che non può essere validamente chiesta ed ottenuta in un momento successivo, cioè “ora per allora”, quando ormai il doppio incarico è già stato assunto, altrimenti non avrebbe alcuna efficacia sanante, e il pubblico dipendente sarebbe esposto ad un procedimento disciplinare che, nei casi più gravi e di radicale incompatibilità dell’attività privata con il pubblico incarico ricoperto, potrebbe comportare anche il licenziamento.

Divieto di controllo a distanza sul posto di lavoro

Tratto da lentepubblica.it

Il Garante della Privacy ribadisce il no al controllo a distanza sul posto di lavoro: sanzionata un’azienda per violazioni alla normativa e allo Statuto dei lavoratori.


Non sono bastate le motivazioni presentate da un’azienda per evitare una sanzione di 20mila euro dal Garante per la protezione dei dati personali per aver installato un sistema di allarme la cui attivazione e disattivazione si basava sull’uso delle impronte digitali, un impianto di videosorveglianza e un applicativo per la geolocalizzazione di alcuni lavoratori.

Le violazioni sono emerse dall’ispezione avviata dall’Autorità in collaborazione con il Nucleo speciale tutela privacy della Guardia di finanza, a seguito di una segnalazione.

Divieto di controllo a distanza sul posto di lavoro, il provvedimento del Garante

In particolare, con riferimento al sistema di videosorveglianza, è stato accertato che lo stesso, oltre alle riprese delle immagini in diretta, era in grado di captare anche i suoni ed effettuare registrazioni. Avevano accesso attraverso uno smartphone il legale rappresentante della società e la sua famiglia.

L’applicativo permetteva all’utente di ammonire verbalmente gli interessati, attraverso le casse dell’impianto.

Dall’ispezione è emerso inoltre che l’azienda utilizzava un applicativo che, quand’era in uso, tracciava, tramite GPS, in modo continuativo, la posizione del dipendente nel corso della propria attività, nonché data e ora del rilevamento, determinando così un controllo del lavoratore non consentito.

Il trattamento dei dati effettuato attraverso il sistema di videosorveglianza e quello di localizzazione erano effettuati senza che i lavoratori avessero ricevuto un’adeguata informativa e fossero state attivate le procedure di garanzia previste dallo Statuto dei lavoratori (accordo sindacale o, in alternativa, autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro). Per quanto riguarda la videosorveglianza è stata rilevata anche l’assenza di cartelli informativi in loco.

Allo scopo di rinforzare ulteriormente le misure di sicurezza ai locali aziendali, la Società aveva installato anche un sistema di allarme la cui attivazione e disattivazione si basava sul trattamento dei dati biometrici (impronte digitali) di 21 soggetti, tra cui i dipendenti.

Conclusioni

Al riguardo nel provvedimento è stato rilevato che il trattamento dei dati biometrici, di regola vietato in quanto dati rientranti nelle categorie particolari di dati, è consentito solo al ricorrere di una delle condizioni tassativamente previste dal paragrafo 2 dell’art. 9 del GDPR e, per quanto riguarda i trattamenti effettuati nell’ambito del rapporto di lavoro, solo quando il trattamento sia necessario per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti del titolare del trattamento o dell’interessato e sia previsto da una disposizione normativa, circostanze non rinvenibili nel caso di specie.

Oltre al pagamento della sanzione, il Garante ha disposto il divieto del trattamento dei dati raccolti mediante il sistema di videosorveglianza e il monitoraggio continuo della posizione del lavoratore.

Il Garante ha pertanto ribadito che il rispetto della procedura di garanzia prevista dallo Statuto dei lavoratori e dal Codice privacy costituisce un requisito essenziale per la correttezza dei trattamenti dei dati personali dei lavoratori in azienda.

Il testo del provvedimento

Potete consultarlo qui.

Confermato il divieto di monetizzazione delle ferie non godute, se il dipendente non ha fatto espressa richiesta di fruizione delle stesse

Tratto da Ius & management

Consiglio di Stato, parere n. 982 del 3 luglio 2023

Nel caso di specie, un carabiniere in congedo aveva impugnato, con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, il provvedimento con cui la p.a. gli aveva negato la monetizzazione delle ferie non godute.
Il Consiglio di Stato ha espresso il parere nel senso dell’infondatezza del ricorso, atteso che era incontestata la circostanza in forza della quale la p.a. aveva invitato il ricorrente a presentare la domanda di ferie, e che il ricorrente non aveva a tanto provveduto: “La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato – in linea con la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 95 del 2016) e quella della Corte di giustizia (prima sezione, sentenza 25 giugno 2020, C-762/18 e C-37/19) – è ormai consolidata nel senso di ritenere che il diritto al compenso sostitutivo delle ferie non godute spetta quando sia certo che la loro mancata fruizione non sia stata determinata dalla volontà del lavoratore e non sia ad esso comunque imputabile (Consiglio di Stato, sezione seconda, sentenza 30 marzo 2022, n. 2349, sezione quarta, sentenza 13 marzo 2018, n. 1580, sezione terza, sentenze 17 maggio 2018, n. 2956, e 21 marzo 2016, n. 1138).
Ove invece il dipendente abbia avuto la possibilità di fruire delle ferie (e quindi in assenza di una indicazione di senso contrario proveniente dal datore di lavoro), vige il divieto di monetizzazione di cui all’art. 5, comma 8, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, che pertanto opera laddove il dipendente medesimo non abbia fatto espressa richiesta delle ferie medesime (Consiglio di Stato, sezione seconda, sentenza 30 marzo 2022, n. 2349, sezione quarta, sentenze 12 ottobre 2020, n. 6047, e 2 marzo 2020, n. 1490).”

Dipendenti pubblici, chiarimenti Aran su servizio fuori sede

Tratto da lentepubblica.it

In un recente orientamento applicativo dell’Aran sono forniti alcuni chiarimenti in merito al servizio fuori sede per i dipendenti pubblici.


I nuovi CCNL del pubblico impiego disciplinano molti aspetti relativi al lavoro quotidiano dei dipendenti. Uno di questi aspetti, analizzato di recente da un parere dell’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) riguarda il concetto di trasferte di lavoro e servizio fuori sede.

Questo è il testo dell’articolato quesito sottoposto all’Agenzia:

Secondo la previsione dettata dall’art. 90 del CCNL 2019-2021 il personale è da considerarsi in servizio fuori sede qualora, dopo aver preso servizio presso l’ordinaria sede di lavoro, sia chiamato a prestare la propria attività lavorativa in altri luoghi dove viene inviato per temporanee esigenze di servizio con previsione di rientro presso la stessa, se è soddisfatto almeno uno dei due seguenti requisiti: 1. la durata del servizio inferiore a otto ore; 2. il servizio viene effettuato entro il raggio di 50 km dalla ordinaria sede di lavoro. In relazione a questa previsione si chiede di chiarire gli aspetti di seguito evidenziati:

a) In relazione al primo dei due requisiti, con il termine “durata di servizio” si intende fare riferimento al tempo effettivamente lavorato o si intende considerare la durata complessiva dell’assenza dalla sede lavorativa, comprensiva quindi anche del tempo di andata e ritorno per recarsi dalla sede al luogo di svolgimento dell’attività?

b) A fronte di un servizio fuori sede programmato per una durata di servizio inferiore alle 8 ore, che richiede uno spostamento superiore ai 50 km dalla ordinaria sede di lavoro, nel caso in cui il servizio si prolunghi fino a superare il limite delle 8 ore, risulta comunque applicabile la disciplina del servizio fuori sede o va applicata quella relativa alla trasferta?

Vediamo qual è stata la risposta.

Dipendenti pubblici, chiarimenti Aran su servizio fuori sede

Con riferimento alla “durata di servizio” è opportuno precisare che deve intendersi il tempo complessivamente impiegato per l’attività lavorativa, compresi i tempi di percorrenza per recarsi dalla sede al luogo di svolgimento dell’attività.

Ed in questo senso si richiama il comma 3 dell’articolo 90 che prevede che “il tempo di andata e ritorno per recarsi dalla sede al luogo di svolgimento dell’attività è da considerarsi a tutti gli effetti orario di lavoro”.

Si sottolinea comunque, che il contratto ha introdotto la possibilità, considerati i progressi in campo informatico, che qualora risulti più conveniente, per l’ente, raggiungere il luogo di svolgimento dell’attività partendo direttamente dalla dimora abituale, l’inizio e la fine del servizio possano avvenire presso la dimora del dipendente attestando le stesse con le modalità sostitutive di controllo.

In merito al secondo quesito, si precisa che, fra le altre cose, il servizio fuori sede – a differenza della trasferta – si caratterizza per la presa in servizio presso la propria sede prima dell’avvio dell’attività lavorativa e il rientro successivo alla sede lavorativa dopo il termine dell’attività esterna.

Tuttavia si ritiene che comunque il caso in esame rientri nella fattispecie del servizio fuori sede, riconoscendo al dipendente tuttavia le ore effettuate in più per esigenze dovute al servizio come orario straordinario, ferma restando la valutazione del responsabile gestionale del dipendente in merito alle ragioni del prolungamento dell’attività lavorativa.

Il testo completo del documento

Potete consultarlo qui.

Pensioni, spesa fuori controllo: arriva l’allarme della Rgs. A settembre il governo deciderà quale “Quota” adottare nel 2024

Tratto da PAmagazine

La spesa per le pensioni nel biennio 2023-2024 supererà la soglia di guardia, portandosi al 16,2% del Pil contro il 15,6% del 2022. A lanciare l’allarme è stata la Ragioneria generale dello Stato nel rapporto “Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario”. A pesare in modo particolare sarà l’indicizzazione legata all’impennata dell’inflazione. Ma non solo. La spesa risente anche degli effetti previsti dalle norme contenute nelle leggi di Bilancio 2022 e 2023 (Quota 102 e Quota 103).

Montagne russe

«La crisi economica del triennio 2008-2010, e gli effetti negativi propagatisi nel quadriennio 2012-2015, hanno determinato una doppia recessione che ha portato la spesa pensionistica nel 2013-2014 al 15,8% del prodotto interno lordo», si legge nel rapporto della Rgs. L’asticella, complice una leggera crescita economica, è scesa nel 2016 al 15,4% e poi al 15,2% nel biennio 2017-2018. Poi, a partire dal 2019 e fino al 2022, il rapporto tra spesa pensionistica e Pil è tornato ad aumentare, raggiungendo un picco nel 2020 (il 16,9% del prodotto interno lordo) per effetto della pandemia e della contrazione economica, ma anche di Quota 100. Lo scorso anno il rapporto spesa-Pil è calato nuovamente, al 15,6%, un valore comunque superiore di 0,4 punti percentuali rispetto al dato del 2018. Il rapporto, spiega sempre la Rgs, tenderà invece a stabilizzarsi dal 2025 al 2029, per l’esaurirsi degli effetti di Quota 100, Quota 102 e Quota 103 e per l’ipotizzato parziale recupero dei livelli occupazionali. Le previsioni indicano tuttavia che dopo il 2029 il rapporto spesa-PIL riprenderà ad aumentare velocemente, fino a toccare il 17% nel 2042. Infine, nella seconda parte dell’orizzonte di previsione, il rapporto inizierà una rapida discesa, attestandosi al 16,1% nel 2050 e al 14,1% nel 2070 grazie all’applicazione generalizzata del calcolo contributivo e alla stabilizzazione, e successiva inversione di tendenza, del rapporto tra il numero di pensionati e il numero di occupati.

Che “Quota” farà?

Domani, 26 luglio, nuovo appuntamento tra le parti sociali e l’Osservatorio sul monitoraggio della spesa previdenziale. Si ragiona su quale “Quota” adottare nel 2024 per evitare un brusco ritorno alla legge Fornero. Diverse le ipotesi sul tavolo. Quota 103, che offre la possibilità di uscire dal lavoro con 41 anni di contributi e 62 anni d’età, scadrà il 31 dicembre, ma non è escluso che la misura venga prorogata anche nel 2024. Quota 41 (pensionamento con 41 anni di contributi a prescindere dall’età) costerebbe invece 4 miliardi di euro solo il primo anno. Ma vincolando lo scivolo al ricalcolo contributivo dell’assegno, che in questo caso si ridurrebbe del 15% circa, si riuscirebbe a risparmiare qualcosina. Sul tavolo ha poi trovato spazio Quota 96, che garantirebbe l’uscita dal lavoro con 61 anni d’età e 35 di contributi, ma solo per i lavoratori impegnati in attività gravose e usuranti.

Dopo la pausa estiva sono previsti altri due incontri tra le parti sociali e l’Osservatorio sul monitoraggio della spesa previdenziale, uno il 5 settembre sui trattamenti pensionistici delle donne e l’altro il 18 settembre sulla previdenza complementare. Al termine di questo ciclo di riunioni l’osservatorio consegnerà al ministro del Lavoro, Marina Calderone, le sue proposte. La fattibilità di queste ultime sarà valutata successivamente, a fine settembre, dopo la presentazione della nota di aggiornamento al Def, alla luce delle risorse effettivamente disponibili.

Stato di calamità per incendi città di Palermo. Richiesta possibilità prestazione lavorativa in regime di smart working per i dipendenti regionali

Vista l’attuale grave situazione in cui versa tutta la regione e in particolare la città di Palermo a causa degli ultimi eccezionali eventi calamitosi legati alle altissime temperature registrate in questi ultimi giorni, si chiede alla SV di conoscere l’effettivo stato emergenziale e, in particolare, al rischio di fuoriuscita di diossina da una vasca della discarica di Bellolampo interessata da un incendio.
Per quanto sopra, a titolo cautelativo e in attesa di conoscere l’esatta entità del rischio, tenuto conto anche delle alte temperature registrate all’interno di tutti gli Uffici causate anche dai continui blackout elettrici che hanno mandato in tilt gli impianti di climatizzazione, si chiede di valutare la possibilità di impartire opportune disposizione affinché i dipendenti degli uffici regionali, degli enti e società partecipate, possano esercitare la loro prestazione lavorativa in regime di smart working.

EMERGENZA INCENDI. LA SICUREZZA DI TUTTI GLI OPERATORI IMPEGNATI NELLE OPERAZIONI DI SPEGNIMENTO PRIMA DI TUTTO

Ancora una volta, l’ennesimo incidente sul lavoro che ha coinvolto un ispettore del Corpo forestale della Regione Siciliana impegnato nel coordinamento delle operazione di spegnimento di uno dei tanti incendi che nelle ultime ore hanno interessato, la Sicilia in generale e la provincia di Palermo in particolare, ha messo in evidenza come l’attività AIB sia quella di maggiore rischio per i lavoratori costretti ad operare in condizioni climatiche estreme come quelle di questi giorni con temperature mai registrate prima.
Nell’esprimere la piena solidarietà al collega coinvolto nell’incidente e a tutti gli operatori attualmente impegnati con grande sacrificio in tutte le operazioni di spegnimento degli incendi di queste ultime ore, le OO.SS. Fp Cgil, Cisl Fp, Cobas Codir, Sadirs, Siad Csa, Ugl, Uil Fpl, chiedono ancora una volta al Governo di porre la massima attenzione sul Corpo Forestale della Regione Siciliana auspicandone un rafforzamento urgente dell’organico ormai insufficiente ad affrontare situazioni via via sempre più estreme anche a causa delle variazioni climatiche. Manifestano la piena disponibilità nell’immediato ad ogni confronto necessario a trovare tutte le soluzioni necessarie al fine di ridurre a zero ogni possibilità di rischio per chi opera quotidianamente per la tutela dei cittadini e del patrimonio boschivo della Sicilia.

Progressioni verticali: legittimo anche effettuare un colloquio

Tratto da self-entilocali.it

L’Aran ha fornito un importante chiarimento in merito alle procedure per l’attuazione delle progressioni tra Aree, le così dette “progressioni verticali”, rispondendo alla richiesta di parere presentato da un Comune, sostenendo che nella disciplina adottata dall’ente sia coerente e ammissibile anche prevedere l’espletamento di un colloquio.

All’Agenzia si era infatti rivolto un Comune al fine di sapere se data la dizione contenuta nell’art. 13, comma 6 del Ccnl. FL 16/11/2022 (“la progressione tra le aree può aver luogo a seguito di una procedura valutativa”) potesse consentire all’Ente di accertare le competenze professionali possedute dai dipendenti interessati attraverso un colloquio conoscitivo.

L’Aran ha risposto con il Parere ARAN 5318 del 10-7-2023 ritenendo “possibile” e pertanto legittima la scelta dell’amministrazione di prevedere l’espletamento di un colloquio finalizzato ad accertare le competenze professionali.

Tale chiarimento pone fine a un problema pratico organizzativo che sta coinvolgendo molti enti che hanno iniziato il confronto su tale istituto con le parti sindacali.

L’Aran ha anche ricordato che sono oggetto di confronto con le parti sindacali soltanto i criteri per le progressioni verticali così dette “in deroga”, disciplinate dall’art. 13 comma 6 e 7 del Ccnl. FL 16/11/2022 e solo su questo l’ente deve dare comunicazione preventiva alle parti sindacali prima di approvare l’atto regolamentare, che rimane di competenza datoriale.

La procedura così detta “a regime”, disciplinata dall’art. 15 del Ccnl. non è oggetto né di confronto, né tanto meno della contrattazione.

A tal proposito, si ritiene utile evidenziare che in numerosi enti, le parti sindacali chiedono agli enti di predisporre e adottare due distinti regolamenti per la disciplina dello stesso istituto delle P.V., mentre nulla osta  all’adozione di un unico atto regolamentare dello stesso istituto (anzi, si ritiene quasi doverosa, in quanto maggiormente logica). Le P.V. infatti avranno una disciplina delle modalità attuative differenziata (per alcuni aspetti, ma non per tutto), una per quelle attuate entro il 31/12/2025 e una per quelle che verranno attuate dal 1/01/2026.

Leggi il parere

Parere ARAN 5318 del 10-7-2023

Performance 2022. Certificazione positiva dell’OIV

Nella seduta del 19 luglio 2023 l’OIV (organismo Indipendente di valutazione) ha validato la relazione sulla performance anno 2022.

Affinché la Funzione Pubblica possa procedere ai pagamenti è necessario che tutti i dipartimenti e uffici equiparati abbiano provveduto a comunicare le assenze e le valutazioni del personale.