Riforme strutturali. La parola d’ordine dei politici con un unico fine: smantellare lo “Stato Sociale”

Scrive Turi Comito in un post (che vi invito a rileggere) di qualche tempo fa che se state cercando di capire cosa intendano i politici ogni volta che parlano di “riforme strutturali”, lasciate perdere!

Ciascuno a quella espressione dà i contenuti che meglio gli aggradano e, comprensibilmente, c’è di tutto: dal cambiare le Costituzioni, alla liberalizzazione del “mercato” del lavoro, alla riduzione della pressione fiscale, alla sistemazione del tetto pericolante.

Elencarle tutte sarebbe impossibile e anche, credo, abbastanza inutile.

E la teoria che sta dietro alle “riforme strutturali” è quella che enunciò una decina di anni fa uno dei padri dell’euro, Tommaso Padoa-Schioppa: “Nell’Europa continentale, un programma completo di riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora. Ma dev’essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difetti o qualità.” (qui il testo integrale).

Il diaframma di cui parla Padoa-Schioppa è quello che volgarmente viene chiamato “Stato sociale“, ovverossia tutta quella serie di strumenti (politiche pubbliche) che gli Stati europei occidentali, soprattutto dal secondo dopoguerra in poi, hanno escogitato per rendere la vita meno difficile agli uomini.

Di fatto lo Stato sociale, Padoa-Schioppa, ha rammollito l’individuo (europeo), l’ha reso un “bamboccione”.

Pubblicato da benedettomineo

Dirigente sindacale Cobas/Codir