Pa. Secondo le previsioni appena tremila dipendenti pubblici chiederanno la pensione anticipata nel 2024. A frenare l’esodo il taglio alle pensioni anticipate. Niente penalizzazione sul calcolo dell’assegno di vecchiaia e sui trattamenti anticipati purché maturati entro il 31 dicembre 2023

Tratto da PAmagazine

Pa, tremila dipendenti pubblici in pensione anticipata nel 2024


In pensione anticipata? Magari. Ma non certo con il taglio degli assegni. La stretta del governo alle formule che consentono l’uscita dal lavoro in deroga alle norme ordinarie frenano l’esodo degli statali. Secondo i calcoli della relazione tecnica della legge di Bilancio, quest’anno appena 3 mila dipendenti pubblici (su un totale di 17 mila) chiederanno il prepensionamento. Davvero molto pochi, considerando che nei tre anni precedenti questa opzione è stata attivata da 55 mila soggetti. Occorre ricordare che in manovra è stato rivisto il taglio alle pensioni dei dipendenti pubblici: niente penalizzazione sul calcolo dell’assegno di vecchiaia e sui trattamenti anticipati purché maturati entro il 31 dicembre 2023. Si applicherà, invece, la riduzione delle aliquote di rendimento per tutte le pensioni anticipate con sistema misto maturate dal 2024, con un taglio che però si alleggerisce per il personale sanitario. Di contro, dal 2025 si allungano le finestre di decorrenza per le pensioni anticipate, che a regime (dal 2028) dureranno addirittura nove mesi.

La platea

La platea di dipendenti coinvolta dalle nuove penalizzazioni, nella legge finanziaria 2024, sono gli iscritti alle ex gestioni CPDEL (dipendenti enti locali) CPS (sanitari), CPI (insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate)e CPUG (ufficiali giudiziari), prima confluite nell’INPDAP e poi nell’INPS. Nella manovra 2024, per questi lavoratori, è previsto che il calcolo della quota di pensione maturata nel sistema misto subisca una penalizzazione a causa dell’aggiornamento delle aliquote di rendimento applicate alla parte retributiva della pensione per chi ha fino a 15 anni di contributi versati entro il 31 dicembre 1995, con un meccanismo che penalizza maggiormente (con una riduzione che può arrivare fino al 30 per cento) chi ha meno contributi nel retributivo: via via, il taglio decresce fino ad azzerarsi con 15 anni di contributi precedenti al 1996. Con i correttivi inseriti dal governo, in un emendamento degli ultimi giorni al disegno di legge, il taglio verrà rimodulato, escludendo da questo taglio le pensioni di vecchiaia ed anche coloro che vengono collocati a riposo per d’ufficio per limiti di età (65 anni). Quindi, i dipendenti pubblici delle quattro gestioni che sono state citate in precedenza continueranno ad avere l’assegno previdenziale calcolato con le aliquote originarie.

Resta la penalizzazione per chi sceglie la pensione anticipata ma con un’applicazione meno rigida: sono infatti esclusi dal taglio tutti coloro che maturano la pensione anticipata entro il 31 dicembre 2023 anche se poi vanno in pensione in un momento successivo: quel che rileva è il momento in cui viene maturato il diritto. Chi invece raggiunge i requisiti per la pensione anticipata a partire dal 1° gennaio 2024 in poi, avrà un assegno ridotto, applicando i nuovi coefficienti contenuti nella legge di Bilancio. L’entità del taglio dipendente sempre dagli anni di contributi versati precedentemente al 1° gennaio 1996 e, come detto, si azzera con 15 anni di versamenti a questa data. Quindi verrà introdotto un meccanismo più favorevole per il personale sanitario, a cui la penalizzazione viene ridotta di 1/36 per ogni mese di posticipo del pensionamento. Questo che, dopo tre anni dalla maturazione del diritto alla pensione anticipata, il taglio si azzera. La pensione anticipata si raggiunge a 42 anni e dieci mesi per gli uomini e a 41 anni e dieci mesi per le donne, dunque il personale sanitario andrà in pensione anticipata senza penalizzazione solo a partire da 45 anni e dieci mesi di contributi, uno in meno per le donne. Allo scopo di compensare, almeno in parte, la maggiore spesa, a partire dal 2025, ci sarà un incremento della finestra mobile sulle pensioni anticipate.

Finestre

La finestra di uscita resta di tre mesi per l’anno 2024 mentre sale a quattro mesi nel 2025, a cinque mesi nel 2026, a sette mesi nel 2027 ed a nove mesi a partire dall’anno 2028. Il rallentamento del flusso dei prepensionamenti non modifica però di molto il quadro generale. Prendendo in esame i dati Inps sui contratti a tempo indeterminato nel settore pubblico e assumendo come punto fermo che i pensionamenti avvengano solo per vecchiaia a 67 anni, che tutti i dipendenti con il requisito di età abbiano la richiesta anzianità contributiva e che al contempo non vi siano pensionamenti anticipati, entro il 2026 si stimano 450 mila persone in uscita. Lo stesso calcolo sui prossimi dieci anni porta a stimare 1,17 milioni di pensionamenti, corrispondente a quasi un terzo dei dipendenti pubblici attuali. Di questi il 40% avverrebbe nella scuola e un 20% sia nelle amministrazioni locali che nel sistema sanitario.

Zangrillo alle amministrazioni, “assegnare obiettivi non oltre febbraio”

Assegnare gli obiettivi al personale “non oltre il mese di febbraio”, in modo che “la valutazione della performance individuale” diventi “una attività concreta e non un mero esercizio burocratico”. Sono le prime indicazioni operative del ministro per la Pubblica amministrazione, senatore Paolo Zangrillo, per l’attuazione concreta della sua direttiva in materia.

In una lettera inviata a tutte le amministrazioni, il Ministro Zangrillo sottolinea come “la realizzazione degli obiettivi, e quindi la corresponsione degli istituti retributivi a questi collegata, debba essere effettiva”. Perché ciò si realizzi, tali obiettivi – che devono impegnare i dirigenti a promuovere una adeguata formazione per se stessi e il personale assegnato – devono essere “chiari, concreti, misurabili e assegnati tempestivamente”, “finalizzati all’incremento dell’efficienza e dell’efficacia del lavoro pubblico”, nonché “aderenti alla specificità dei destinatari e alle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa”.

“La tempestività nella loro assegnazione – evidenzia ancora il Ministro Zangrillo – è il presupposto necessario affinché il personale abbia modo e tempo di predisporre gli strumenti organizzativi che ritiene necessari per il loro conseguimento”.

Emanata lo scorso novembre, la direttiva in materia di misurazione e valutazione della performance dei dipendenti pubblici ha l’obiettivo di attuare una strategia di piena valorizzazione del merito, nel solco dei modelli adottati nello scenario europeo e OCSE. Una “bussola” dei dirigenti verso la valorizzazione delle persone delle pubbliche amministrazioni nel loro contesto organizzativo che non può prescindere dall’assegnazione degli obiettivi, che il Ministro Zangrillo considera “un adempimento preliminare per l’attuazione della stessa direttiva”.

Cassazione. Licenziamento disciplinare per mancata timbratura di uscita nella pausa pranzo

Tratto da lasettimanagiuridica.it

Non segnare la timbratura in uscita nella pausa pranzo configura una “modalità fraudolenta” di attestazione della presenza in servizio e comporta il licenziamento disciplinare, ai sensi dell’articolo 55-quater del decreto legislativo 165/2001.

E’ quanto afferma la Corte di Cassazione con la sentenza numero 30418 del 2/11/2023.

Nel caso di specie una dipendente, per cinque volte si è assentata nell’orario della pausa pranzo, rientrando nel rispetto del tempo previsto, ma non ha provveduto a timbrare l’uscita dall’ente e il successivo rientro.

A giudizio del giudice di primo grado e di quello di appello, nella specie viene in rilievo il licenziamento disciplinare per falsa attestazione della presenza sul luogo di lavoro, concretizzatasi non già mediante materiale alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza, bensì “con altre modalità fraudolente” e cioè la mancata timbratura dell’uscita dall’ufficio, non autorizzata.

Il comma 1 bis dell’art. 55 quater – introdotto con il decreto n. 116 del 2016, illustra che “costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso”.

La disposizione ha, dunque, introdotto una tipizzazione di illecito disciplinare da sanzionarsi con il

licenziamento. In particolare, l’introduzione del d.lgs. n. 165 del 2001, art. 55-quater, comma 1-bis (avvenuta con il d.lgs. n. 116 del 2016) non ha portata innovativa, ma vale come interpretazione chiarificatrice del concetto di “falsa attestazione di presenza”.

È falsa attestazione (prima e dopo la riforma) non solo l’alterazione/manomissione del sistema automatico di rilevazione delle presenze, ma anche il non registrare le uscite interruttive del servizio.

Sul punto viene affermato che la norma cristallizza, dal punto di vista oggettivo, la gravità della sanzione prevedendo ipotesi specifiche di condotte del lavoratore, mentre consente la verifica, caso per caso, della sussistenza dell’elemento intenzionale o colposo, ossia la valutazione se ricorrono elementi che assurgono a scriminante della condotta.

In sostanza, le condotte tenute dalla lavoratrice non possono essere giustificate o comunque valutate con minor rigore solo perché poste in essere in coincidenza dell’orario della pausa pranzo, atteso che era chiara a tutto il personale l’esistenza dell’obbligo di procedere alla timbratura anche nel caso di assenza per recarsi a pranzo.

Ciò, in coerenza con la giurisprudenza secondo cui la modesta entità del fatto addebitato non va riferita alla tenuità del danno patrimoniale subito dal datore di lavoro, dovendosi valutare la condotta del prestatore di lavoro sotto il profilo del valore sintomatico che può assumere rispetto ai suoi futuri comportamenti, nonché all’idoneità a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e ad incidere sull’elemento essenziale della fiducia, sotteso al rapporto di lavoro.