In pensione sei anni dopo se lo stipendio è basso. Così la riforma beffa i più poveri

Repubblica dell'8 maggio. In pensione 6 anni dopo se lo stipendio è basso
Repubblica dell’8 maggio 2016

Il governo si dice pronto a concedere ai nati negli anni Cinquanta un po’ di flessibilità in uscita. E dunque ad andare in pensione due o tre anni prima, attorno ai sessanta o poco più. Senza darsi pensiero per chi verrà dopo, sebbene lo scenario sia sconfortante. La triste verità, mostrata in molte buste arancioni in arrivo nelle case degli italiani in queste settimane, è che il traguardo pensionistico si allontana a dismisura per i trentenni e quarantenni di oggi, i contributivi puri o post- 1996, che lavorano cioè dalla fine degli anni Novanta e riceveranno solo in base a quanto versato. Ebbene per questi (ex) giovani il mix micidiale di norme, per lo più sconosciute ma in vigore, pongono l’uscita anche oltre i 75 anni paventati dal presidente Inps Boeri per i nati nel 1980. Due regole in particolare destano perplessità. Quella per cui chi guadagna di più, può lavorare meno. E l’altra paradossale sulla longevità: se la speranza di vita aumenta l’età della pensione si allontana, ma se diminuisce resta uguale. Se a questo si aggiunge che le previsioni Inps, inserite nella busta, rivalutano i contributi ipotizzando un ottimistico Pil all’1,5% (quello imposto dalla Ragioneria) e ne sintetizzano il risultato con una stima di pensione lorda senza indicare il netto, il cortocircuito è micidiale. Ma andiamo per ordine.

Pubblicato da benedettomineo

Dirigente sindacale Cobas/Codir