La differenza tra “andare al lavoro” e il lavoro. Compresa questa, si comprende a cosa serva lo smart working

Tratto da blOgLIVERI

Non si risponde mai alla domanda “domani che fai?” non “lavoro”, ma “vado a lavorare”. “Andare a lavorare” è un endiadi; si considera che si lavora se si “va” nella specifica sede ove lavorare: la terra da coltivare, la fabbrica, l’ufficio. Spesso è l’azione di “andare” a lavorare che, nel pensare comune, qualifica il lavoro. “Come sono stanco: ho messo un’ora ad andare e un’ora a tornare dal lavoro”. Non stanca tanto il lavoro, quanto l’azione di andarci. Questa viene raccontata e vissuta come sacrificio. O come “nobilitazione” dell’azione lavorativa. Sulla base di questa visione, tanto radicata quanto fuori tempo, si pensa che se non si “va” a lavorare, ma semplicemente si lavora, non sia lavoro, sia un privilegio. Per qui, un’avversione che è culturale, anzi, sotto-culturale, allo smart working. Infatti, con il lavoro agile, specie se da casa, non “si va”. Non conta quel che si fa, per molti. Conta la fatica per andare a “timbrare”. Quel che accade tra una timbratura e l’altra può anche non contare, se si è “andati”. Una sub-cultura che, forse, l’emergenza contribuirà a sradicare e a far capire che il lavoro vecchio stile è cambiato ed anche la sua regolamentazione e, soprattutto, concezione devono cambiare.

Il CdM ha prorogato lo stato di emergenza al 31 gennaio. Obbligo di mascherine anche all’aperto

Subito operativo l’obbligo di indossare la mascherina all’aperto, in presenza di non conviventi. L’obbligo vale «in tutti i luoghi all’aperto ad eccezione dei casi in cui sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento» da altre persone. Obbligo anche in tutti i luoghi chiusi, tranne a casa.

Il Cdm ha dato il via libera alla proroga dello stato di emergenza causato dal coronavirus fino al 31 gennaio 2021 e ha approvato, nell’ambito del decreto legge Covid, una norma che proroga il dpcm con le norme anti contagio attualmente in vigore fino al 15 ottobre. Ora entro quella data andrà adottato un nuovo dpcm che confermi o aggiorni le regole anti contagio che sarebbero scadute oggi.

Detassazione del trattamento di fine servizio, a chi spetta – La circolare Inps

L’art. 24 del D.L. n. 4/2019 (cd. “Decretone”), convertito con modificazioni in L. n. 26/2019, ha introdotto una parziale detassazione del trattamento di fine servizio (TFS). In particolare, la disposizione normativa ha introdotto un beneficio fiscale, sotto forma di riduzione dell’aliquota determinata ai sensi dell’art. 19, co. 2-bis, del Dpr. n. 917/1986 (TUIR), da applicarsi all’imponibile dei trattamenti di fine servizio (TFS) con importo fino a 50.000 euro.

L’agevolazione fiscale, che si applica in misura crescente in funzione dell’intervallo temporale che intercorre tra la data di cessazione dal servizio dell’iscritto e la data di decorrenza del pagamento del trattamento di fine servizio e riguarda le indennità di buonuscita, le indennità di premio di servizio e le indennità di anzianità per la parte di imponibile fino 50.000 euro. Il beneficio si applica, sia nel caso di pagamento della prestazione di TFS in un’unica soluzione che in forma rateale, ossia su ogni singola rata.

L’agevolazione consiste in una riduzione dell’aliquota dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, determinata ai sensi dell’art. 19, co. 2-bis, del Tuir, calcolata sull’indennità di fine servizio, in misura pari a:

  • 1,5% per le indennità corrisposte decorsi 12 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro o, se la cessazione sia anteriore al 1° gennaio 2019, a decorrere da tale data;
  • 3% per le indennità corrisposte decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro o, se la cessazione sia anteriore al 1° gennaio 2019, a decorrere da tale data;
  • 4,5% per le indennità corrisposte decorsi trentasei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro o, se la cessazione sia anteriore al 1° gennaio 2019, a decorrere da tale data;
  • 6% per le indennità corrisposte decorsi quarantotto mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro o, se la cessazione sia anteriore al 1° gennaio 2019, a decorrere da tale data;
  • 7,5% per le indennità corrisposte decorsi sessanta mesi o più dalla cessazione del rapporto di lavoro o, se la cessazione sia anteriore al 1° gennaio 2019, a decorrere da tale data.

INPS – Circolare n. 90 del 30 luglio 2020 (SCARICA LA CIRCOLARE)

Smart working alla Regione, nei dipartimenti si procede in ordine sparso

Alla Regione siciliana è stato attivato lo smart working in alcuni dipartimenti dei vari assessorati a causa della nuova ondata della pandemia coronavirus. In particolare, sono l’Assessorato regionale alla Salute, la Ragioneria generale e il Dipartimento finanze ad avere optato per il lavoro agile per i propri dipendenti.

In altri dipartimenti non è stato, invece attivato il lavoro agile. “Assistiamo, in questi giorni – aveva scritto il Cobas-Codir, il sindacato numericamente più rappresentativo dei lavoratori della Regione – ad una impennata dei contagi che purtroppo vede la Sicilia tra le regioni con un tasso di contagi tra i più alti contrariamente a quanto avvenuto la scorsa primavera. Preoccupano poi i casi verificatisi in diversi dipartimenti regionali. Secondo diverse fonti: Dipartimento Agricoltura di Via Camilliani, del Dipartimento Lavoro, dell’Assessorato Salute, mentre in altri dipartimenti alcuni dipendenti sarebbero in attesa di tampone”.

In pensione a 64 anni ma con un assegno più leggero: chi viene penalizzato da “Quota 102”

Conte ribadisce lo stop a Quota 100: “Ma c’è un problema oggettivo, vanno trovate altre formule”. L’ipotesi di cui si parla con più insistenza prevede l’uscita dal lavoro a 64 anni di età con un minimo di 38 anni di contributi (la così detta Quota 102) a patto di accettare un taglio sull’assegno previdenziale pari al 2,8-3% della quota contributiva. Se così fosse, i meno penalizzati sarebbero quei lavoratori la cui pensione è calcolata per buona parte con il modello misto retributivo (fino al 1996), mentre per gli altri la penalizzazione sarebbe più cospicua.

Scontata la proroga di “Opzione Donna”, niente da fare invece per Quota 41 il cui costo è eccessivo (12 miliardi).

Boeri propone la cassa integrazione per gli statali? L’ex Presidente dell’Inps, ignora che la cassa integrazione è prevista per Legge anche per gli Statali

“Trovo grave – ha detto Boeri- che si sia permesso a tante persone della Pa di non lavorare, senza monitorare e senza adottare nella Pubblica amministrazione gli stessi mezzi di monitoraggio che ha adottato nell’emergenza il settore privato” E, ha aggiunto l’ex numero uno dell’Inps, “perché non pensare ad un a Cig anche nella pubblica amministrazione, così da fare in modo che ci sia parità di trattamento fra dipendente pubblico e privato”.

L’ex Presidente dell’Inps, ignora che la cassa integrazione è prevista per Legge anche per gli Statali, ma non si chiama cassa bensì, collocamento in disponibilità. Esattamente come la Cig, l’impiegato Statale collocato in disponibilità per esuberi, a norma del D.Lgs 165/2001, percepisce l’80% del suo stipendio tabellare. Il trattamento economico, esattamente come per i cassaintegrati, è al netto di ogni altro compenso accessorio. Trascorsi due anni senza che sia intervenuta alcuna altra possibilità di ricollocamento obbligatorio, il destino dello Statale è segnato analogamente a quanto accade per il settore privato.

Preoccupazione coronavirus negli uffici regionali – COMUNICATO STAMPA

Assistiamo, in questi giorni, ad una impennata dei contagi che purtroppo vede la Sicilia tra le regioni con un tasso di contagi tra i più alti contrariamente a quanto avvenuto la scorsa primavera.
Preoccupano poi i casi verificatisi in diversi dipartimenti regionali. Secondo diverse fonti: Dipartimento Agricoltura di Via Camilliani, della Soprintendenza del Mare, del Dipartimento Lavoro, dell’Assessorato Salute, mentre in altri dipartimenti alcuni dipendenti sarebbero in attesa di tampone.
Il virus sembra che sia arrivato anche nelle stanze adiacenti a quelle del presidente con un caso positivo presso l’ufficio del Cerimoniale di Palazzo d’Orleans.
<<Siamo molto preoccupati la situazione è secondo noi piuttosto seria – dichiarano i segretari generali del Cobas/Codir Dario Matranga e Marcello Minio- . Ci preoccupa in particolare la situazione di tanti uffici regionali, centrali e periferici di cui non abbiamo certezze sul rispetto dei protocolli di sicurezza e se effettuano sanificazioni programmate, disinfezione giornaliera di scrivanie, suppellettili, tastiere, mouse e servizi igienici.
Vorremmo ricordare – dichiarano i segretari del Cobas/Codir – che la responsabilità civile e penale ricade sui dirigenti generali individuati per Legge come datori di lavoro e non sull’organo politico e la responsabilità civile e penale del datore di lavoro viene meno solo qualora dimostri di avere messo in campo tutte le misure previste dai protocolli per evitare i contagi, non ultimo il ricorso al lavoro agile come previsto dalla normativa nazionale>>.

Non si possono imporre ferie d’ufficio se è possibile attivare il lavoro agile, sentenza

Tratto da orizzontescuola.it

L’ARAN condivide nei propri canali una interessante ordinanza del Tribunale del Lavoro di Grosseto, la numero 203 del 2020, che interviene sulla questione del lavoro agile, e ferie d’ufficio. Il caso in questione interessa l’ambito privatistico, ma in realtà il quadro normativo incide anche nella P.A e in parte interessa anche la scuola. Pensiamo ad esempio alla questione del lavoro agile, che oggi esiste sostanzialmente per una parte del personale scolastico. 23.04.2020) od alla problematica delle ferie.

Il fatto

Con ricorso ex art. 700 c.p.c un dipendente con contratto a tempo in determinato lamentava che il datore di lavoro aveva illegittimamente rifiutato di adibirlo al lavoro cd. agile nonostante tutti i colleghi del suo reparto lo fossero già stati. Evidenziava che, nell’attuale periodo di crisi sanitaria connessa ai noti problemi della diffusione del Covid19, avrebbe avuto diritto ad essere preferito nell’assegnazione alla modalità di lavoro agile in ragione della previsione di cui all’art. 39, co. 2, D.l. 18/2020 in quanto portatore di patologia da cui era derivato il riconoscimento di un’invalidità civile con riduzione della sua capacità lavorativa. L’azienda invece si era limitata a prospettargli il ricorso alle ferie “anticipate”.

Illegittima la negazione del lavoro agile se non si prova l’impossibilità organizzativa

“La resistente affida le motivazioni della presunta impossibilità di soddisfare la richiesta del dipendente di assegnazione al lavoro agile a vaghe, quanto poco plausibili, difficoltà di carattere organizzativo ed ai conseguenti costi che la predisposizione dei mezzi per il lavoro da remoto sul pc aziendale del ricorrente avrebbe comportato; motivazioni, legate a costi e difficoltà, che, per un’importante società per azioni operante nel settore della fornitura di energia elettrica e gas sul territorio nazionale, appaiono pretestuose ed incomprensibili a fronte della già attuata misura in favore degli altri dipendenti del medesimo reparto del ricorrente e dei, ragionevolmente, circoscritti interventi necessari per mettere in condizioni il dipendente di lavorare da remoto”.

Il lavoro agile è raccomandato e nella PA è attività ordinaria

“Per ovvie ragioni, tale modalità lavorativa non può, né poteva, essere imposta in via generale ed indiscriminata; cionondimeno la stessa è stata, reiteratamente e fortemente, raccomandata ed addirittura considerata modalità ordinaria di svolgimento della prestazione nella P.A. (cfr. art. 87 D.l. 18/2020)”.

Va rispettato il diritto alle ferie del lavoratore

“Non è contestato, e del resto risulta documentalmente, che il ricorrente si trovi in situazione di ridotta capacità lavorativa e abbia dunque titolo di priorità.  che, non solo non trova fondamento normativo alcuno, ma si profila, già in astratto, contrario al principio generale per cui le ferie (maturate) servono a compensare annualmente il lavoro svolto con periodi di riposo, consentendo al lavoratore il recupero delle energie psico-fisiche e la cura delle sue relazioni affettive e sociali, e pertanto maturano in proporzione alla durata della prestazione lavorativa. In quanto tale, il godimento delle ferie non può essere subordinato nella sua esistenza e ricorrenza annuale alle esigenze aziendali se non nei limiti di cui all’art. 2109, co. 2, cod.civ. e nel rispetto delle previsioni dei singoli contratti collettivi, avuto riguardo ai principi costituzionali affidati all’art. 36 della carta. 6.5 Deve quindi concludersi che, nello specifico contesto come sopra riassunto, il rifiuto di ammettere il ricorrente al lavoro agile e la correlata prospettazione della necessaria scelta tra la sospensione non retribuita del rapporto e il godimento forzato di ferie non ancora maturate si profilano illegittimo”.

Cassa Integrazione anche per i Dipendenti Pubblici: la proposta che fa discutere

Tratto da lentepubblica.it

Una proposta che evidenzierebbe la disparità di trattamento tra Dipendenti Pubblici e Privati: ecco di cosa si tratta.


Cassa Integrazione anche per i Dipendenti Pubblici: una proposta che sta già facendo discutere, provocazione che sia o meno.

La proposta arriva dall’economista ed ex presidente dell’Inps, Tito Boeri, che, dialogando con il premier Giuseppe Conte nel corso del Festival dell’Economia di Trento, ha proposto di inserire la Cig anche per i dipendenti pubblici.

Cassa Integrazione per i Dipendenti Pubblici

Nelle parole di Tito Boeri escono fuori le caratteristiche della sua proposta.

Boeri è partito dall’assunto della disparità di trattamento, concreta o percepita che sia, tra pubblico e privato. Compito di un governo responsabile sarebbe quello di appianare qualsiasi divario per cercare di superare i pregiudizi, fondati o no che siano, sul lavoro pubblico.

Infatti, Boeri ha detto: “Trovo grave che si sia permesso a tante persone della Pa di non lavorare, senza monitorare e senza adottare nella Pubblica amministrazione gli stessi mezzi di monitoraggio che ha adottato nell’emergenza il settore privato“.

Si potevano, secondo Boeri, “evitare scompensi gravi nella Pa” nel “corso dell’emergenza coronavirus e del lock down” e si dovrebbe “far sì che l’immagine del dipendente pubblico migliori agli occhi dei cittadini. Perchè non pensare ad un a Cig anche nella pubblica amministrazione, così da fare in modo che ci sia parità di trattamento fra dipendente pubblico e privato?“.

Ovviamente si tratta solamente di una proposta: chissà però che il Premier Conte possa iniziare a pensarci sul serio dopo il colloquio con Boeri.

Che cos’è la Cassa Integrazione?

Per chi non lo sapesse la Cassa Integrazione è un ammortizzatore sociale erogato dall’Inps in costanza di rapporto di lavoro.

Ne hanno diritto i lavoratori a seguito di una riduzione o sospensione dell’attività lavorativa per motivi di crisi aziendale o di riorganizzazione interna.

Possono beneficiare della cassa integrazione i lavoratori che hanno maturato, al momento della richiesta all’Inps da parte del datore di lavoro, almeno 90 giorni di lavoro presso l’unità produttiva.

Lo scopo, comunque sia, è quello di venire incontro alle aziende che si trovino in momentanea difficoltà, sgravandole in parte dei costi della manodopera temporaneamente non utilizzata.

La Cassa Integrazione nel 2021

Intanto si pensa già a delle modifiche sul meccanismo di Cassa Integrazione che abbiamo visto nel 2020 durante la pandemia.

La cassa integrazione “per tutti”, per sostenere le aziende nella crisi innescata dalla pandemia di coronavirus finirà col 2020. Dal 2021 non sarà più generalizzata e gratuita.

Ci sarà, invece la cassa integrazione nella sua versione standard: pertanto le imprese potranno continuare a usare i normali ammortizzatori sociali (la CIG 2020 con causale Covid non ha intaccato i massimali previsti). E ci saranno eventualmente interventi a sostegno di settori particolarmente colpiti dalla crisi economica determinata dal Coronavirus.

Chissà solamente se la grande sorpresa riguarderà anche la Pubblica Amministrazione il prossimo anno. Ma sono (per il momento) solo congetture.