Il CdM ha impugnato la legge di stabilita regionale 2024-2026. La scure si abbatte in particolare sulla norma che stanziava le risorse in favore dell’indennità di amministrazione

Dettaglio Legge Regionale

Legge di stabilita` regionale 2024-2026. (16-1-2024)
Regione: Sicilia
Estremi: Legge n.1 del 16-1-2024
Bur: n.3 del 20-1-2024
Settore: Politiche economiche e finanziarie
Delibera C.d.M. del: 11-3-2024 / ImpugnataLa legge della regione Siciliana n. 1 del 16/01/2024 recante “Legge di stabilità regionale 2024-2026”, presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale.
§§§
Articolo 8 – “Benefici retributivi a favore del personale dipendente di cui all’articolo 87 del CCRL 2016-2018”
La disposizione in esame, al comma 1, prevede che, in conformità alle disposizioni dei commi 869 e 959 dell’articolo 1 della legge n. 178/2020, gli incrementi di cui all’articolo 87 del Contratto collettivo regionale di lavoro del personale del comparto non dirigenziale della Regione siciliana – triennio normativo ed economico 2016-2018, previsti in sostituzione dell’elemento perequativo di cui alla lettera b) del comma 440 dell’articolo 1 della legge n. 145/2018, sono finanziati a regime nell’ambito del rinnovo contrattuale per il triennio 2019-2021 del medesimo comparto. Al comma 2 dispone, inoltre, che per le finalità del precedente comma 1, le risorse finanziarie per i rinnovi dei contratti collettivi di lavoro relativi al triennio 2019-2021 sono integrate, a decorrere dall’esercizio finanziario 2024, di un importo pari a 4,3 milioni di euro, da destinare al rinnovo contrattuale del personale del comparto non dirigenziale (Missione 1, Programma 10, capitolo 212017).
Al riguardo, in via preliminare, va evidenziato che l’accordo tra Stato e Regione siciliana per il ripiano decennale del disavanzo, sottoscritto il 16 ottobre 2023, contiene l’impegno della Regione siciliana finalizzato al contenimento della spesa di personale, al netto dei rinnovi contrattuali nei limiti previsti per il medesimo periodo a livello nazionale, incluso il trattamento accessorio e, sulla base del predetto impegno di contenimento di tale importante componente della spesa corrente, come contropartita, il nuovo accordo ha previsto la ripresa delle assunzioni a tempo indeterminato di personale sia del comparto sia con qualifica dirigenziale, con tassi di sostituzione delle cessazioni dl servizio superiori, per il triennio 2023-2025, al 100% del turn over.
Ciò posto, la disposizione in esame determina un aggiramento del limite finanziario cui sono sottoposti i fondi per il trattamento accessorio del personale previsto dall’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75/2017, ed anche la conseguente violazione del punto 10), dell’accordo tra Stato e Regione siciliana per il ripiano decennale del disavanzo, sottoscritto il 16 ottobre 2023, nella parte in cui prevede l’impegno della Regione siciliana a contenere le spese di personale nei limiti dei rinnovi contrattuali previsti per tutti i comparti di contrattazione nazionale (Funzioni centrali, Funzioni locali, Sanità, Istruzione e ricerca).
La norma in esame stanzia 4,3 milioni di euro, a decorrere dall’anno 2024, in aggiunta agli stanziamenti già effettuati con le leggi regionali n. 10/2021 e n. 35/2021 relativi all’incremento medio a regime del 3,78% da destinare al rinnovo contrattuale del personale del comparto non dirigenziale per il triennio 2019-2021, unitamente anche ad altri stanziamenti previsti nell’ambito della stessa legge regionale, come di seguito indicati:
• articolo 6, euro 1.668.946 sulla base della percentuale dello 0,22% prevista quale incremento dei fondi per il trattamento accessorio dall’articolo 1, comma 604, della legge n. 234/2021 (legge di bilancio statale 2022);
• articolo 7, euro 3.410.095 sulla base della percentuale dell’0,55% prevista per la riforma degli ordinamenti professionali dall’articolo 1, comma 612, della legge n. 234/2021 (legge di bilancio statale 2022).
Lo stanziamento di 4,3 milioni a decorrere dall’anno 2024 fuoriesce dall’accordo Stato Regione siciliana, in quanto le motivazioni addotte fanno riferimento all’elemento perequativo una tantum introdotto nei contratti collettivi di lavoro nazionali riferiti al triennio 2016-2018 con oneri a carico delle risorse contrattuali di tale triennio, che con specifico finanziamento disposto dall’articolo 1, commi 869 e 959, della legge n. 178/2020 è stato reso strutturale con inclusione nel trattamento fondamentale con la tornata contrattuale 2019-2021.
Nel caso, invece, dell’articolo 87 del CCRL del personale del comparto non dirigenziale della Regione siciliana del triennio 2016-2018 richiamato dalla norma regionale, tale clausola negoziale non ha istituto un analogo elemento perequativo una tantum, ma con criteri nettamente diversi dai contratti collettivi nazionali ha incrementato l’”indennità di amministrazione” (componente fissa mensile della retribuzione) con la corrispondente diminuzione delle risorse per il trattamento accessorio appostate nel “Fondo per risorse decentrate” di cui all’articolo 90 del medesimo CCRL (somme destinate alla produttività da erogarsi all’esito delle risultanze del sistema di valutazione della performance); operazione sulla quale la Corte dei Conti – Sezione regionale di controllo per la Sicilia, in sede di rapporto di certificazione del CCRL 2016-2018, ha espresso le proprie perplessità ed osservazioni anche se di natura non ostativa.
Stante quanto sopra, risulta evidente che lo stanziamento di 4,3 milioni di euro previsto dalla norma regionale in esame non è finalizzato, come nei contratti collettivi nazionali, a reintegrare le risorse contrattuali utilizzate per l’elemento perequativo una tantum a valere sulle risorse che la finanza pubblica ha destinato ai rinnovi contrattuali 2016-2018 (3,78% a regime), ma è destinato a compensare le risorse dirottate dal “Fondo per risorse decentrate” per incrementare l’“Indennità di amministrazione” con ciò aggirando di fatto il vincolo normativo del rispetto del limite finanziario delle somme complessivamente destinate ai trattamenti accessori del personale previsto dall’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75/2017.
Sul punto, va rilevato che sia l’“Indennità di amministrazione” sia le risorse del “Fondo per risorse decentrate” assumono natura di componenti del trattamento accessorio come indicato dallo stesso CCRL e oggettivamente confermato dall’applicazione per entrambi i predetti istituti contrattuali delle ritenute previste per i primo 10 giorni di malattia dall’articolo 71 della legge 133 del 2008, che ha introdotto tali trattenute a “ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio”.
Anche dal punto di vista dei contenuti tecnici emergono in misura evidente le diverse finalità tra i due istituti economici presi a confronto, in quanto l’elemento perequativo una tantum è stato erogato in misura fortemente decrescente rispetto all’inquadramento giuridico ed economico dei dipendenti arrivando, nel caso del CCNL Funzioni centrali, ad escludere da tale beneficio la maggior parte dei dipendenti inquadrati nella seconda Area funzionale e tutti i dipendenti inquadrati nella terza Area funzionale; ciò proprio per difendere i livelli retributivi più bassi in linea con quanto previsto dall’articolo 1, comma 12, della legge n. 190/2014 (c.d. bonus detrazioni fiscali 80 euro mensili).
La norma regionale, invece, con finalità opposte incrementa l’“Indennità di amministrazione” già in godimento in misura significativamente crescente rispetto all’inquadramento giuridico ed economico dei dipendenti, con conseguente maggiore beneficio per i soggetti con inquadramenti medio-alti, ciò ponendosi in evidente antitesi con le finalità di difesa dei livelli retributivi più bassi prevista dai contratti collettivi nazionali e dal citato articolo 1, comma 12, della legge n. 190/2014.
Al fine di evidenziare la diversa finalità della norma regionale rispetto ai contratti collettivi nazionali, vanno richiamati i contenuti attuativi delle rispettive clausole contrattuali che hanno introdotto nella tornata contrattuale 2016-2018 l’istituto dell’elemento perequativo una tantum di cui all’articolo 75 ed allegata tabella D del CCNL Funzioni centrali del 12.2.2018, articolo 66 ed allegata tabella D del CCNL Funzioni locali del 21.5.2018, articolo 78 ed allegata tabella D del CCNL Sanità del 21.5.2018, articolo 37 ed allegata tabella D1 del CCNL Istruzione ricerca del 19.4.2018.
Per quanto sopra esposto, la norma regionale in esame non risulta in linea con la previsione contenuta nell’Accordo Stato e Regione siciliana per il ripiano decennale del disavanzo, in relazione all’impegno assunto di contenere i rinnovi contrattuali del personale regionale nei limiti previsti per il medesimo periodo a livello nazionale, incluso il trattamento accessorio, tenuto conto che la legge di bilancio nazionale è finalizzata al reintegro delle risorse stanziate per la tornata contrattuale 2016-2018 ed utilizzate per l’elemento perequativo una tantum, mentre la disposizione regionale incrementa le risorse destinate al trattamento economico accessorio in violazione dei limiti di spesa previsti dall’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75/2107 e, in quanto tali, in misura eccedente agli incrementi previsti per i contratti collettivi nazionali.
Su tale aspetto, per completezza di informazione, si segnala che, successivamente alla sottoscrizione del primo accordo del 14 gennaio 2021, la Regione Siciliana ha legiferato norme in materia di incremento del trattamento accessorio del personale in palese contrasto con le finalità dell’accordo stesso finalizzate al contenimento di tale spesa, ivi incluso il trattamento accessorio, che sono state impugnate per violazione della Cost. e sono state tutte dichiarate incostituzionali dalla Corte con le sentenze sotto riportate:
• Sentenza Corte costituzionale n. 190 depositata il 25 luglio 2022 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 5, comma 1, lettera f) – Indennità trattamento accessorio personale UREGA- e dell’articolo 14 – Ricostruzione trattamento economico personale ex ARRA della legge Regione Siciliana n. 9/2021 (legge di stabilità 2021) nonché dell’articolo 14 – Trattamento accessorio personale Dipartimento Beni Culturali – dichiarata l’illegittimità costituzionale- della Legge Regione Siciliana n. 29/2021 (Modifiche alla legge regionale n. 9/2021);
• Sentenza Corte costituzionale n. 200 depositata il 28 luglio 2022 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge Regione Siciliana n. 28/2021 (Norme in materia di funzionamento del Corpo Forestale) nonché dell’articolo 1, comma 1 (Corpo Forestale) della Legge Regione Siciliana n. 1/2022 (Esercizio provvisorio).
Su tale aspetto, si richiamano anche i consolidati orientamenti della Corte costituzionale, la quale ha chiarito che gli interventi finalizzati al contenimento della spesa pubblica costituiscono principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, in quanto pongono obiettivi di riequilibrio, rilevando altresì che “[…..] la spesa per il personale, per la sua importanza strategica ai fini dell’attuazione del patto stabilità interna (data la sua rilevante entità), costituisce non già una minuta voce di dettaglio, ma un importante aggregato della spesa corrente, con la conseguenza che le disposizioni relative al suo contenimento assurgono a principio fondamentale della legislazione statale (Corte Costituzionale – sentenza n. 69 del 2011, che richiama la sentenza n. 169 del 2007).

Alla luce di tutto quanto sopra indicato e per i motivi ivi indicati, va pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 8 della legge regionale in oggetto per violazione dell’articolo 97, primo e secondo comma (in particolare, primo comma che fa riferimento all’equilibrio dei bilanci e alla sostenibilità del debito pubblico), e dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione nella materia di legislazione concorrente del coordinamento della finanza pubblica, confliggendo anche con le norme fondamentali e i criteri stabiliti dalla legge n. 243/2012, in particolare con l’articolo 9 di detta legge, vincolante anche per le Regioni a statuto speciale (Corte Cost. n. 221 del 2013, n. 217 e n. 215 del 2012).
§§§
Articolo 25, comma 2 – “Abrogazioni e modifiche di norme”
L’articolo 25, comma 2, attraverso una modifica del comma 1 dell’articolo 20 della legge regionale 3 novembre 1993, n. 30 riconosce, a decorrere dal 20 gennaio 2024 e con applicabilità dal 1° gennaio 2024 (ai sensi del combinato disposto dell’art. 28, comma I e dell’art. 27, comma 2, della medesima legge), la nuova natura del Centro di formazione (CEFPAS) di Caltanissetta – per la formazione permanente e l’aggiornamento del personale del servizio sanitario – quale ente del Servizio sanitario regionale cui la Regione affiderà in maniera centralizzata servizi e funzioni a supporto delle aziende e degli enti che erogano prestazioni sanitarie.
Premesso che le funzioni del CEFPAS non sono riconducibili a funzioni sanitarie in senso stretto (cfr. Corte Cost. n. 172/2018) e che gli enti del servizio sanitario nazionale sono già indicati dal legislatore statale all’articolo 19 del decreto legislativo n. 118/2011, l’inclusione del CEFPAS (ente strumentale della Regione Sicilia) nel perimetro sanitario finisce per estendere l’area stessa di tale perimetro, tracciato, peraltro, anche dalla disciplina contabile nazionale di cui all’art. 20 del d.lgs. n. 118 del 2011, incidendo, innanzitutto sulle modalità e quantità del finanziamento dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).
Tenuto conto che la Corte Costituzionale ha affermato che la disciplina concernente il c.d. «perimetro sanitario» stabilisce le condizioni, non derogabili dalla legislazione regionale, per l’individuazione e l’allocazione delle risorse destinate a garantire i livelli essenziali delle prestazioni (sentenza Corte Cost. n. 132 del 2021).), con conseguente impossibilità di destinare risorse correnti a spese diverse da quelle quantificate per la copertura dei LEA, la norma regionale segnalata si pone in violazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, in relazione alla norma interposta di cui all’articolo 20 del d.lgs. n. 118 del 2011, poiché estende il perimetro sanitario, ponendosi in contrasto con il principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria, da ritenersi principio di coordinamento della finanza pubblica.

Come già osservato dalla Corte dei Conti con Ordinanza n. 41 del 2023, consolidata giurisprudenza costituzionale (cfr. specialmente, sentenza Corte cost. n. 233 del 2022) ha affermato che la disciplina concernente il c.d. «perimetro sanitario» stabilisce le condizioni, non derogabili dalla legislazione regionale, per l’individuazione e l’allocazione delle risorse destinate a garantire i livelli essenziali delle prestazioni (sentenza Corte Cost. n. 197 del 2019), da cui discende l’impossibilità di destinare risorse correnti, specificamente allocate in bilancio per il finanziamento dei LEA, a spese diverse da quelle quantificate per la copertura di questi ultimi (sentenza Corte Cost. n. 132 del 2021).
La norma regionale in esame, invece, non pone in alcun rapporto di immediata e diretta destinazione all’erogazione di servizi sanitari afferenti ai LEA il trasferimento di risorse dal FSR, così da alterare la struttura del perimetro sanitario prescritto dal citato art. 20. Peraltro, l’inserimento del CEFPAS (ente strumentale della Regione Sicilia) nel perimetro sanitario determinerebbe un trattamento contabile derogatorio per tutta una serie di spese, in quanto andrebbe ad essere disciplinato dal titolo II d.lgs. 118/2011.

Sotto altro profilo, la norma regionale oggetto di attenzione si pone in contrasto anche con quanto disposto dagli articoli contenuti nel Titolo I – “Ordinamento” del d.lgs. 30/12/1992, n. 502 e con la normativa in materia di Piano di rientro, considerato che il riconoscimento di un ente di diritto pubblico quale ente del SSR potrebbe generare un incremento di costi non quantificato e non compatibile con l’equilibrio economico finanziario del bilancio sanitario della regione impegnata nel Piano di rientro.
Ed infatti, tenuto conto che la Regione è impegnata nel Piano di rientro dal disavanzo sanitario, qualsiasi intervento messo in campo deve essere valutato in coerenza con il quadro economico programmatico complessivo per il triennio 2022-2024, poiché la vincolatività del Programma operativo di consolidamento e sviluppo è da considerarsi, come noto, espressione del principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e del correlato principio di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’articolo 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009 (cfr. per tutte Corte Cost. sent. n. 104 del 2013).
In tale prospettiva, qualsiasi eventuale modifica della programmazione sanitaria deve passare attraverso un aggiornamento del Programma Operativo 2023-2025, anche e soprattutto allo scopo di valutarne la compatibilità economica, con conseguente previa valutazione dei Ministeri affiancanti.
Inoltre, va ricordato quanto disposto dall’articolo 2, comma 80, della legge 191/2009 in merito alla cogenza degli interventi individuati dal Piano di rientro che sono vincolanti per la Regione obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che possano essere di ostacolo alla piena attuazione del suddetto piano.
Infine, la qualificazione compiuta dall’art. 25 della legge regionale di che trattasi, implica il rischio che si configuri per la regione una violazione del divieto di spese non obbligatorie, ai sensi dell’art. 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ed ai sensi dell’art. 2, comma 80, della legge 23 dicembre 2009, n, 191.
La Corte Costituzionale ha, infatti, in più di un’occasione affermato che l’assoggettamento ai vincoli dei piani di rientro dal disavanzo sanitario impedisce la possibilità di incrementare la spesa sanitaria per motivi non inerenti alla garanzia delle prestazioni essenziali e per spese, dunque, non obbligatorie (sentenze n. 142 e n.36 del 2021, e n. 166 del 2020). È stato, altresì, chiarito che i predetti vincoli in materia di contenimento della spesa pubblica sanitaria costituiscono espressione di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica (ex plurimis, sentenze n. 36 del 2021, n. 130, n. 62 del 2020 e n. 197 del 2019).
Ne consegue che l’effettuazione di altre spese, in una condizione di risorse contingentate, pone anche il problema della congruità della copertura della spesa “necessaria” (art. 81, terzo comma, Cost.), posto che un impiego di risorse per prestazioni “non essenziali” verrebbe a ridurre corrispondentemente le risorse per quelle essenziali.

Alla luce di tutto quanto sopra e per i motivi ivi indicati, va pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 25, comma 2, della legge regionale in oggetto per contrasto con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione in materia di coordinamento della finanza pubblica, in relazione alla norma interposta di cui all’articolo 20 del d.lgs. n. 118 del 2011, nonché, sotto altro profilo, alla norma di cui all’articolo 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009, per violazione del principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria, da ritenersi principio di coordinamento della finanza pubblica.

§§§
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, la legge regionale in parola, negli articoli sopra indicati, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

Pensioni, tutti i lavoratori passeranno al contributivo? Ecco cosa può succedere

Tratto da tuttolavoro24.it

Il Governo sta pensando di portare, dal 2025, tutte le pensioni nel sistema contributivo abolendo il sistema misto?

E’ questa la preoccupazione che denuncia il SiULM, Sindacato Unitario Lavoratori Militari.

Il sistema “misto”

Attualmente, tolti i pochissimi casi di lavoratori che hanno maturato 18 anni al 31 dicembre 1995, possiamo dividere le pensioni in due categorie, secondo le modalità di calcolo:

  • sistema misto per il lavoratori in servizio fino al 31 dicembre 1995.
  • sistema contributivo per il lavoratori in servizio a partire dal 1° gennaio 1996.

Nel sistema misto, il periodo lavorato fino al 31 dicembre 1995, si calcola con il sistema retributivo, mentre dal 1° gennaio 1996 si calcola con il sistema contributivo.

Quindi, retributivo + contributivo = misto.

Ogni anno di lavoro effettuato fino al 1995 vale il 2,333% dell’ultima retribuzione.

Facciamo un esempio.

Un’insegnante ha una retribuzione formata da:

  • stipendio € 2.281,48
  • iis conglobata € 538,30
  • ind. vacanza contrattuale € 14,10
  • Retribuzione Professionale docenti € 288,20

Il calcolo retributivo della pensione si fa in questo modo:

(stipendio x 1,18 + iis conglobata + indennità vacanza contrattuale) x 2,333 : 100

Lo stipendio base viene maggiorato del 18% in base all’art. 43 del DPR 1092 del 1973 che è stato poi riconfermato dall’art. 15 della Legge 724 del 1994.

Ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza dei dipendenti civili, la base pensionabile, costituita dall’ultimo stipendio o dall’ultima paga o retribuzione e dagli assegni o indennità pensionabili sotto indicati integralmente percepiti, è aumentata del 18 per cento

La retribuzione professionale docenti, essendo un accessorio, non viene ricompresa nel calcolo contributivo.

Quindi un anno di lavoro, calcolato con il sistema retributivo nel nostro esempio viene così calcolato:

(2.281,48 x 1,18 +538,30 + 14,10) x 2,333 : 100 = 75,70 euro mensili.

Eliminare il sistema misto e portare il calcolo delle pensioni con il sistema contributivo, permetterebbe un grosso risparmi per le casse dello Stato.

Le pensioni miste subirebbero un taglio fino al 30%.

Il sistema contributivo

Il sistema contributivo è un modo di calcolo delle pensioni basato sulla contribuzione effettivamente versata dai dipendenti.

Sulla retribuzione lorda vengono versati i contributi pensionistici pari al 33%.

Ogni anno i contributi vengono rivalutati attraverso un tasso di rendimento in base all’incremento del PIL.

Se il Prodotto Interno Lordo è negativo (come per esempio nel periodo del COVID) i contributi non vengono deprezzati ma si tiene conto della percentuale negativa nei successivi incrementi.

Quando il dipendente viene collocato in pensione, il montante contributivo viene moltiplicato per un coefficiente di rendimento che varia in base all’età.

I coefficienti di rendimento sono sottoposti a revisione ogni due anni e dipendono dall’aspettativa di vita.