Mi chiamo Ceto, Ceto Medio, e un tempo risolvevo problemi in casa e nel Paese. Viaggiavo su Fiat, Ferrovie dello Stato e al massimo Alitalia; le hostess sorridevano, i miei simili prosperavano. Ero il papà del Mulino bianco, il vicino della villetta a schiera, quello dell’ombrellone stessa spiaggia stesso mare. Lo so, direte voi. La glkobalizzazione, la crisi, la rivoluzione digitale… Direte che c’è un tempo per primo secondo dolce poi tutti al cinema e un tempo per aprire una scatoletta di tonno. Ceto Medio puzza di muffa. Niente più soldi in tasca, la pacchia è finita. Ditelo a me… Ero io quello che ai figli pensava di garantire un futuro radioso, fiducioso come Ceto Medio senior venuto prima. Lavoro fisso, 40 anni stesso ufficio, pensione sicura. Ci credevo che i figli avrebbero avuto più fama del padre, l’auto più moderna, la casa più grande, lo stipendio migliore. E una reputazione indiscussa. Erano gli anni in cui Ceto Medio senior lavorava e guadagnava. La sera s’andava al ristorante, qualcuno anche due sere la settimana. Il cinema, poi. E il mutuo per la casa, a cuor leggero. Tanto di anno in anno il mattone sarebbe diventato oro, gli interessi anche se alti, se li digeriva l’inflazione e il valore moltiplicato delle nostre quattro mura. Ora Ceto Medio è fuori target. Il mutuo si mangia il reddito, la casa vale meno di prima, lo stipendio è inchiodato a quando i prezzi erano la metà. Vacanze? Magari. Altro che un mese al mare: massimo una settimana, a casa del cognato. Se si rompe il frigo è uno schiaffo, se serve l’idraulico una tragedia. Le rate sono una parentesi di carta tra l’accredito e il rosso in banca. Si va al ristorante? Meglio una pizza. Ma Ceto Medio non si lamenta: arretro ma non mollo perché c’è chi sta peggio, molto peggio. Mio figlio, per esempio. Lavoro? Uno stage. Stipendio? Chiamiamolo rimborso spese. Pensione? Torni dopo i 70 anni e vediamo. Vorrebbe andarsene di casa, ma dove va? Nell’attesa ha cambiato nome. Si firma Nuovo Povero. 

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