Poche tasse, tanto lavoro: promesse & bugie elettorali

Corriere della Sera dell’8 gennaio 2018

di Gian Antonio Stella

«Imbianchiamo la casa a tutti! Gratis!». Nel ventaglio di promesse via via offerte agli elettori manca ancora solo il tinteggiatore con vernice e pennello. L’ultimo, col ritorno del pesce spada sotto costa, degli impegni presi da Cetto La Qualunque nel comizio tivù dove assicura l’abolizione delle bollette del gas e della luce. «E se non siete contenti aboliremo la tassa sulla spazzatura, il bollo auto e l’assicurazione». Pausa. «Applauso, va!».

Nonostante una storia di propagande elettorali lunga lunga, che vide un «Partito della bistecca» garantire «l’abolizione totale delle tasse» e «svaghi, divertimenti, poco lavoro e molto guadagno per tutti», fatichiamo a ricordare infatti una campagna elettorale così gonfia di promesse.

C’è l’impegno preso ieri da Pietro Grasso di «abolire le tasse universitarie.

Matteo Renzi, scommettendo su «un altro Jobs act» e nuove decontribuzioni per passare «da 23 a 24 milioni di occupati», vuol cambiar tutto sul canone Rai e dopo averlo messo nella bolletta elettrica («pagare meno, pagare tutti») promette di cancellarlo in nome d’una riforma dell’azienda che darebbe (pare) dare fastidio a Mediaset.

Luigi Di Maio vuole distribuire un «reddito di cittadinanza» di 780 euro al mese recuperando i 15 miliardi necessari con tasse su gioco d’azzardo, banche e petrolieri e tagli ad auto blu, enti inutili, pensioni d’oro e vitalizi.

Matteo Salvini Promette invece: Una riforma del sistema fiscale, introducendo una Flat Tax al 15% per famiglie e imprese» (otto punti meno di quanto offre l’ex Cavaliere) con un costo paventato di decine di miliardi. Non manca la soppressione «non negoziabile» della legge Fornero.

Silvio Berlusconi parla invece di una flat tax al 23%, che rappresenta l’aliquota più bassa oggi esistente. Poi si arriverà a un livello anche inferiore al 20% e modifiche (non l’abolizione) della Fornero.

La carriera vecchio stile e la Pa senza futuro

Il Sole 24 Ore dell’8 gennaio 2018

Il contratto collettivo non “serve” solo a dare i soldi.Il personale è un fattore centrale nell’organizzazione della pubblica amministrazione e, pertanto, non può essere trascurato o “sacrificato” il modo in cui viene organizzato e disciplinato. Per vedere le conquiste e i passi fatti avanti con l’ultimo contratto per gli statali, che potrà costituire un modello per gli altri comparti, occorre analizzare il modo in cui disciplina alcuni istituti e soprattutto con quali finalità e con quali effetti. Uno di questi temi riguarda i profili professionali e gli inquadramenti, cioè la domanda di competenze che nel settore pubblico è stata, soprattutto negli ultimi 30 anni, fortemente condizionata dalle relazioni sindacali. Se nel privato, è il datore di lavoro che decide quanti e quali profili professionali scegliere, nel settore pubblico l’approccio cambia e i risultati sono chiaramente diversi.