Contratto dei regionali in uno stallo inaccettabile. STRALCIAMO LA PARTE ECONOMICA

Nei giorni scorsi è stata distribuita dai sindacati autonomi ai dipendenti regionali l’ultima bozza del contratto giuridico ed economico triennio 2019-2021 (inviata dall’ARAN Sicilia il 14 luglio scorso) che, il governo regionale e i sindacati confederali vorrebbero venisse immediatamente sottoscritta.
Ciò si è reso necessario a seguito delle inverosimili accuse mosse dai sindacati confederali di “irresponsabilità” ai sindacati autonomi maggioritari che, così, hanno invitato tutti i dipendenti a trovare “un solo rigo” del contratto che fosse stato scritto a favore dei lavoratori.
Nel frattempo, sulla legge di stabilità regionale, si è pure abbattuta pesantemente la scure della Presidenza del Consiglio dei Ministri che, sostanzialmente, ha impugnato gran parte delle norme di carattere finanziario con ricadute anche sulle aspettative di rimpinguamento delle risorse destinate, a diverso titolo, ai miglioramenti economici dei dipendenti regionali.
Ciò oltre a dimostrare, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la solita incapacità e inadeguatezza della classe politica siciliana, rende necessario, nel rispetto prioritario dei diritti dei cittadini/utenti, uno specifico e urgente intervento legislativo utile a sancire l’assoluta necessità di modernizzare la macchina amministrativa della Regione siciliana attraverso una riscrittura di tutto l’apparato amministrativo e tecnico del personale e, immediatamente dopo, sbloccare l’indizione di specifici concorsi per rimpiazzare la moltitudine di regionali andati, nel frattempo, in pensione.
Intanto, al fine di non mortificare oltremodo le aspettative disattese di tutti i lavoratori regionali degli enti e societĂ  in house, i sindacati autonomi maggioritari chiedono al governo regionale:
1. di dare immediate disposizioni affinché venga stralciata dal contratto la parte economica, il cui costo complessivo deve essere pari al totale dell’incremento medio complessivo delle voci retributive, adottato dall’Aran per il rinnovo dei contratti nazionali del pubblico impiego e nello specifico dal comparto nazionale funzioni locali;
2. l’approvazione da parte dell’ARS, nella legge di assestamento di bilancio, di una norma che autorizza le delegazioni trattanti ad utilizzare tutte le risorse presenti nel fondo per il rinnovo del contratto 2019 – 2021;
3. la prosecuzione della trattativa per il rinnovo giuridico, nelle more che siano risolti gli impedimenti giuridici in atto pendenti: impugnativa dello Stato e compensazione del debito con i previsti 8 miliardi di introiti statali a sostegno dell’aumentata spesa sanitaria.
Sia chiaro che a ulteriori atteggiamenti dilatori da parte della politica costringeranno i sindacati autonomi maggioritari, inevitabilmente, a una campagna stampa e sindacale contro tutte le malefatte e inadempienze del governo proprio nell’imminenza delle votazioni per il rinnovo dell’assemblea regionale siciliana.

In Italia anche chi lavora è povero

In Italia la povertà assoluta è ai massimi storici. Secondo i dati Istat, si attestano sotto la soglia 1,9 milioni di famiglie (7,4 per cento) e 5,6 milioni di individui (il 9,4 per cento della popolazione). Fin qui, dati abbastanza noti, ma confrontando altri dati, appare chiaro che nel Belpaese, oggi, anche chi lavora non è al riparo dal rischio povertà.

Il potere d’acquisto degli italiani negli ultimi trent’anni è crollato. Ha fatto scalpore, nel maggio scorso, il dato Ocse che posiziona l’Italia all’ultimo posto in Europa per aumenti degli stipendi dal 1990 al 2020. In realtĂ , il nostro Paese è l’unico a far registrare un valore negativo, -2,9. Vuol dire che in questo lasso di tempo, a paritĂ  di occupazione, lo stipendio è diminuito in valore assoluto.

Lo stipendio medio lordo di un lavoratore dipendente italiano è di poco superiore ai 29mila euro annui. Molto poco in confronto alla media europea, 37.400 euro, e a quella dei principali Paesi come Francia (superiore ai 40mila euro) e Germania (44mila euro). Per comprendere quanto siano pochi i 29mila euro italiani basta pensare al bonus 200 erogato dal Governo per i lavoratori a basso reddito, con un limite massimo individuato a 35mila euro. Ciò vuol dire che il reddito medio è quasi 6mila euro sotto la soglia individuata come basso reddito.

A ciò va aggiunto un altro dei temi di maggiore attualitĂ  del momento: il tasso di inflazione. Secondo Eurostat, a maggio di quest’anno l’indice della Penisola si è attestato al 7,3 per cento. Un dato che potrebbe apparire addirittura positivo se confrontato con la media Ue (8,1 per cento) o con Germania (8,2) e Spagna (8,5). Pure illusioni. Infatti, la media europa è “drogata” dai tassi di inflazione a due cifre dei paesi in via di sviluppo come Lituania (18,5) ed Estonia (20,1), dove inflazione può voler dire anche crescita. in considerazione del fatto che i due paesi, negli ultimi trent’anni, hanno visto aumentare gli stipendi rispettivamente del 276 e del 237 per cento.

Allo stesso modo, anche il tasso di inflazione di Germania e Spagna si registra in paesi che hanno visto crescere i redditi medi, basti pensare che i tedeschi guadagnano il 33,7 per cento in piĂą rispetto al 1990. In Italia, quindi, con gli stipendi che continuano a scendere, l’inflazione al 7,3 per cento è una pessima notizia.

A rendere ancora piĂą poveri i lavoratori italiani è la pressione fiscale. Con il 42,6 per cento il nostro paese si attesta sopra alla media Ue (41,6) e al sesto posto in Europa. I cittadini dei cinque Stati davanti (Francia, Danimarca, Belgio, Svezia e Austria) hanno un potere d’acquisto maggiore e maggiori servizi.

Questi numeri raccontano un paese in declino e sempre piĂą povero, dove chi lavora ha sempre piĂą difficoltĂ  ad arrivare a fine mese. Da anni si parla di un riforma del cuneo fiscale, la differenza che passa tra quanto un lavoratore costa all’azienda e quanti soldi arrivano effettivamente nelle tasche del dipendente. Ma i vari Governi non sono mai andati oltre le chiacchiere.