Stipendi d’oro, sedici mensilità. Il ritorno degli ultimi burosauri

Repubblica del 22 dicembre 2017

Dal 1° gennaio fine dell’austerity, se così si può definire guadagnare “solo” 240mila euro all’anno. «Questo Palazzo tornerà a essere quello che avevo lasciato, il marxismo è stato sconfitto dalla storia», dice trionfante il neo-presidente Gianfranco Miccichè che conferma come «dal 1° gennaio cadrà il tetto da 240mila euro fissato nella scorsa legislatura per gli stipendi dei dipendenti». «La norma prevede lo stop dal 2018, e anche la Corte costituzionale ha chiarito che queste limitazioni posso essere fatte solo per motivi eccezionali – dice Miccichè – se più avanti il Senato reintrodurrà dei tetti, allora vedremo di adeguarci.

Ma io ripeto: un’amministrazione funziona se chi ci lavora è felice e ben retribuito, non come accade adesso con dirigenti che guadagnano poco più dei commessi parlamentari».

Miccichè: non taglio gli stipendi all’Ars. Non sto difendendo privilegi ma ridò risorse a chi lavora

Giornale di Sicilia del 22 dicembre 2017

A padre Cosimo Scordato, che dalle colonne del Giornale di Sicilia ha invocato più attenzione per i poveri e meno interesse per gli aumenti degli stipendi all’Ars, Gianfranco Miccichè ha risposto con una lettera. «Nessuno intende sprecare soldi e darli a chi è fin troppo ricco, ma la legge vieta che questi tagli vengano rifatti. La Corte Costituzionale ha detto che possono essere considerati come contributo di solidarietà una tantum. L’Ars, quindi, si adeguerà al Senato: se riproporrà questo sistema ci adegueremo».

La Corte dei Conti boccia il bilancio: si rischia buco da 300 milioni

Repubblica del 21 dicembre 2017

Per il 2016 spunta un errore che vale fra 80 e 100 milioni. E altri 200 servono per il 2017.

Una tegola che rischia di portare a un buco da 300 milioni di euro nel bilancio della regione tra rendiconto 2017 e previsionale 2018. «L’ennesima tegola frutto di errori di chi mi ha preceduto » , dice mettendo le mani avanti l’assessore all’Economia Gaetano Armao. Ma le grane non finiscono qui: perché se c’è già un ” buco” nei conti del 2018, al momento la ragioneria generale ha difficoltà a chiudere anche i conti del 2017 nei quali mancano all’appello circa 200 milioni di euro a causa di minori entrate previste, anche per accordi previsti dall’ex governo con lo Stato ma non ancora siglati, come quello sulla imposta di bollo.