L’assessore alla Funzione pubblica e alle Autonomie locali, Bernardette Grasso, interviene in merito ai dati sui dipendenti della Regione Siciliana

Dipendenti regionali in Sicilia, Grasso: “Numeri nella media nazionale. I dati vanno letti in modo corretto”

Tengo a precisare – ha dichiarato l’assessore – che il dato relativo ai dipendenti regionali siciliani è in media con quello nazionale: per 10.000 residenti la Regione Siciliana conta, infatti, 539,7 dipendenti pubblici, a fronte dei 535,7 che si registrano nel resto del Paese (Elaborazione su dati della Ragioneria Generale dello Stato – Conto Annuale e Istat – 2016). Ribadisco inoltre che il suddetto dato va letto ricordando che la Sicilia è una regione a statuto speciale e i suoi dipendenti pubblici gestiscono servizi che nelle regioni a statuto ordinario sono gestiti dallo Stato, con dipendenti pagati dallo Stato. Non si tratta di un elemento marginale, se pensiamo che fra i servizi per il lavoro, il settore per i beni culturali, le motorizzazioni civili e il Corpo forestale, solo per fare qualche esempio, si arriva a circa 6.000 unità.

Licenziamento Pubblico Impiego 2019: patteggiamento non salva il dipendente? A fornire chiarimenti è la sentenza della Corte di cassazione n. 20721/2019

Licenziamento Pubblico Impiego 2019: patteggiamento non basta a salvare il dipendente pubblico dall’estrema sanzione disciplinare? A fornire chiarimenti è la sentenza della Corte di cassazione n. 20721/2019.


Licenziamento Pubblico Impiego 2019 e patteggiamento. Nel caso in esame, dopo la sentenza penale di patteggiamento per i reati di turbativa d’asta e corruzione, pronunciata dal Tribunale di Pescara, a carico di un dipendente comunale, istruttore del settore lavori pubblici, l’ente locale decideva di licenziarlo. E così allora il dipendente aveva deciso di appellarsi e ricorrere contro il procedimento disciplinare da parte del proprio Comune. E il caso è giunto fino alla Cassazione.

Regione, Musumeci: “Sui dipendenti la Corte dei conti conferma le nostre denunce”

La Corte dei conti conferma quello che noi abbiamo sempre denunciato. La Regione è stata, per settant’anni, un ammortizzatore sociale: spesso premiando l’appartenenza piuttosto che il merito. Con il mio governo é iniziata la cura dimagrante e punteremo solo ad acquisire quelle professionalità che mancano, indispensabili per fare della Regione un motore di crescita e di sviluppo“.

Le dichiarazioni del presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, dopo la denuncia dalla sezione Autonomie della Corte dei Conti che scrive: “La Regione siciliana paga troppi dipendenti poco qualificati e assunti con criteri non meritocratici“.

Breve commento

I fatti dicono altro

Delibera di Giunta n. 516 del 12 dicembre 2018. Piano triennale dei Fabbisogni di Personale (PTFP) 2018-2020′- Approvazione

Sui dipendenti regionali il TGR SICILIA manda in onda un servizio più equilibrato, dopo le critiche della Corte dei Conti

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I dipendenti regionali: le critiche della Corte dei conti

Contestati i numeri complessivi e la trasparenza nell’accesso. Ma oltre la metà dei dipendenti regionali svolge mansioni di cui, nelle altre regioni, si occupano gli statali
di Agnese Licata – montaggio: Pino D’Angelo

La figura del dipendente regionale non è mai stata molto amata dai siciliani. Ritenuto unico responsabile delle inefficienze e, per di più, entrato senza un percorso trasparente. Ma dietro i dati della Corte di conti c’è anche altro.

I numeri: nel 2017 i dipendenti regionali erano quasi 15mila. -12%rispetto al 2015, per effetto dei pensionamenti e del blocco del turnover. Costano 577 milioni di euro l’anno.

“Un esercito più numeroso dell’intera area del Nord Italia” denuncia il Centro Pio La Torre. Ma se questo è vero, è anche vero che molte delle loro mansioni, in tutte le altre regioni sono svolte da dipendenti statali. I beni culturali, per esempio, dove sono in circa 3mila. E poi il corpo forestale, le motorizzazioni, il genio civile, il demanio marittimo.

L’ultimo vero raffronto fatto dalla regione risale al 2011 e rapportandola ad oggi, i dipendenti veramente regionali – diciamo così – sarebbero 5800. Numero che comunque porrebbe la sicilia in testa alle altre regioni, davanti agli oltre 5mila della Campania e ai 4mila del Lazio ma senza distanze siderali.

“È urgente una riclassificazione e una nuova organizzazione” – spiega Dario Matranga, segretario Segretario del sindacato Cobas-Codir. “Ci sono tante mansioni di categoria bassa pensate 20 anni fa quando c’erano dattilografi e simili.” aggiunge. La proposta è utilizzare meglio il personale che c’è e poi dare il via a un vero concorso per le figure che mancano. Anche perché di concorsi, la Sicilia ne ha conosciuti pochissimi e per giunta contestati. Su tutti quello del 2000 per i beni culturali, i cui strascichi giudiziari continuano ancora oggi.

Insomma, l’efficienza e la trasparenza sono lontane, così come denuncia la Corte dei conti, ma il problema più che nei numeri sta nell’organizzazione.

La Corte dei Conti: “La Regione paga troppi dipendenti poco qualificati”

La Regione Siciliana paga troppi dipendenti poco qualificati e assunti con criteri non meritocratici. L’ennesima denuncia arriva dalla sezione Autonomie della Corte dei conti in un corposo capitolo della Relazione 2019 sulla spesa per il personale degli enti territoriali nel triennio 2015-2017 ora diffuso dal Centro Pio La Torre.

La denuncia, mai ascoltata: assunzioni clientelari e non di merito. Risultato: uffici pieni e inefficienti”.

Nell’isola tra il 2015 e il 2017 i dirigenti regionali sono scesi da 1692 a 1350, mentre il personale non dirigenziale è diminuito da 15.365 unità a 13571.

La contrazione della spesa per il personale della Regione è stata pari a 4,5 punti percentuali, pari a 37 milioni di euro, di cui 29 per retribuzioni e 7 per oneri sociali. La Corte tuttavia rileva che “la spinta alla contrazione della spesa appare già in via di esaurimento ed i risparmi conseguiti sui redditi di lavoro dipendente per effetto delle cessazioni, pur significativi nel più recente trend storico, si rivelano, in gran parte, compensati poiché a fronte del decremento della spesa per retribuzioni si registrano, ora, importanti incrementi di spesa per le pensioni”.

Mobilità nel Pubblico Impiego prima dei Concorsi: non è più obbligatoria

tratto da lentepubblica.it

Mobilità nel Pubblico Impiego prima dei Concorsi: non è più obbligatoria

lentepubblica.it • 22 Luglio 2019
Con il Decreto Concretezza ci sono novità sulla mobilità nel Pubblico Impiego prima dei Concorsi: non sarà più necessario espletare le Mobilità in maniera propedeutica rispetto ai concorsi.

La legge 56/2019 (cd. Legge concretezza) porta una ventata di aria nuova per le pubbliche amministrazioni. Soprattutto per quanto riguarda assunzioni e procedure concorsuali.
L’art. 3 introduce misure per accelerare le assunzioni ed il ricambio generazionale, nel solco già previsto dalla legge di bilancio, dal D.L. 4/2019 e dal decreto crescita. In attesa dei provvedimenti attuativi le Pa possono procedere, fin da subito ad assunzioni di personale a tempo indeterminato. Nel limite corrispondente ad una spesa pari al 100 per cento di quella relativa al personale di ruolo cessato nell’anno precedente.
E’ inoltre consentito il cumulo delle risorse, corrispondenti a economie da cessazione del personale già maturate, destinate alle assunzioni per un arco temporale di cinque anni.
Mobilità nel Pubblico Impiego prima dei Concorsi
Fino ad ora l’istituto della mobilità era disciplinato all’art. 30 del d.lgs. 165 del 2001.
Il quale, nel prevedere la possibilità per le amministrazioni di ricoprire posti vacanti mediante il passaggio diretto di dipendenti che abbiano già ricoperto il posto (es. distacco o comando) o che abbiano comunque già conseguito la stessa qualifica presso altra amministrazione, obbligava le medesime ad attivare le procedure di mobilità prima di espletare un concorso pubblico.
La disposizione chiariva, inoltre, che le amministrazioni dovevano, in via preliminare, provvedere all’immissione in ruolo di quei dipendenti che, prestando servizio in posizione di comando o di fuori ruolo, avessero fatto domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in cui si trovano effettivamente a svolgere la propria attività lavorativa
Come recita l’art. 3 al comma 8: “Misure per accelerare le assunzioni mirate e il ricambio generazionale nella pubblica amministrazione”:
Fatto salvo quanto stabilito dall’articolo 1, comma 399, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, al fine di ridurre i tempi di accesso al pubblico impiego, nel triennio 2019-2021, le procedure concorsuali bandite dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e le conseguenti assunzioni possono essere effettuate senza il previo svolgimento delle procedure previste dall’articolo 30 del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001.
Quindi la vecchia normativa adesso è sostituita dalla nuova.

Il ceto medio è diventato sottaceto

Praticamente nessuno fra chi si colloca nei ceti medio-bassi sperimenta un’ ascesa sociale (3,3%). Per lo più rimangono bloccati (60,8%), ma uno su tre (35,9%) vede peggiorare le proprie condizioni. I quattro quinti (80,5%) del ceto medio rimangono bloccati, ma fra questi il 10,7% perde posizioni e una quota analoga (8,9%) ascende.

Per contro, il 69,2% di chi appartiene ai ceti medio-alti mantiene il livello e il 26,3% migliora ulteriormente le condizioni socio-economiche. Quindi, chi si colloca agli scalini più bassi della scala sociale, non ha molte possibilità di cambiare, tanto meno di salire. Anzi, per un terzo la probabilità di scendere ulteriormente è elevata.

Anac. Online gli stipendi di tutti i dirigenti Pa

L’obbligo di pubblicare su Internet redditi e patrimoni si applica anche ai dirigenti di vertice di Regioni, enti locali e Authority. E la trasparenza “minima”, quella che impone di mostrare online almeno stipendi e rimborsi spese, riguarda tutte le figure dirigenziali della Pa, compresi i titolari di «incarichi di funzione dirigenziale» che non hanno la qualifica di dirigente o non sono dipendenti pubblici. L’Anac aggiorna le regole sulla trasparenza.